Il 22 dicembre il Senato ha approvato la legge di stabilità 2016 che il 19 dicembre aveva approvato la Camera dei Deputati a larghissima maggioranza in cui, tra tanti codicilli, uno riguarda il “Percorso tutela vittime di violenza” approvato il 15 dicembre dalla Commissione Bilancio della Camera. Il 17 dicembre nella conferenza stampa promossa da tutte le maggiori associazioni delle donne che si occupano di violenza contro le donne (da UDI a Di.re, da Telefono rosa alla Libera Università delle Donne di Milano, Ferite a Morte, Fondazione Pangea, Be Free, Pari o Dispare, dalla UIL alla Cgil, Le Nove, Giuristi Democratici, Ass. Scosse, Casa Internazionale, da Alessandra Bocchetti a Daniela Colombo e parlamentari di diverse forze politiche) hanno spiegato la pericolosità, la superficialità e la illegittimità dell’emendamento 451 bis e 451 ter alla legge di Stabilità detto “Percorso tutela vittime di violenza”.
A questo appuntamento si è arrivate dopo una settimana burrascosa in cui si è tentato un confronto con molte parlamentari e un appello per tentare di far ritirare l’emendamento alla legge finanziaria presentato da parlamentari (a stragrande maggioranza Pd) a prima firma Giuliani: il cosiddetto Codice rosa (potenza degli stereotipi!). Dopo molte discussioni in commissione Giustizia si è arrivati all’approvazione di un sub-emendamento a firma della presidente della commissione Ferranti che mentre sembra modificare il primo emendamento in effetti lo ribadisce in modo confuso. Infatti se apparentemente si vuole rendere più cogente la capacità di aiuto per le donne vittime di violenza maschile che si rivolgono al Pronto soccorso, in realtà si tratta di una scelta che riguarda tutti soggetti che subiscono forme di violenza e che cancella la violenza di genere con un interventismo istituzionale negativo e pericoloso contro la volontà delle donne, considerate incapaci di decidere, impone un percorso che forza le loro scelte. Inoltre non chiarisce come, in questo percorso obbligato, medici, poliziotti e giudici dovrebbero occuparsi di seguirle dopo l’accesso al pronto soccorso.
È evidente che questo emendamento cancella il lavoro politico e le elaborazioni che le donne italiane hanno fatto da decenni e che ha trovato nella Convenzione di Istanbul una riaffermazione forte e cogente. Un emendamento quindi anche contro la Convenzioni di Istanbul.Questo lavoro politico nel corso degli anni ha prodotto analisi, strutture, politiche e metodologie di accoglienza fatte vivere in modo disomogeneo sul territorio nazionale, non certo per colpa delle donne che oggi vedono vanificata la possibilità di una razionalizzazione di questa realtà con il potenziamento della legge 119/2013 e del Piano d’azione (perfettibile)che poteva finalmente cominciare a coordinare a livello nazionale il sistema di prevenzione, protezione, di promozione di una cultura diversa e di punizione dei colpevoli della violenza domestica.
Questi sono infatti i 4 pilastri di Istanbul, in questo ordine! E su questi, la Convenzione richiama la “dovuta diligenza” da parte degli Stati la collaborazione con le associazioni delle donne. L’emendamento al contrario, mentre sembra accogliere l’esigenza della protezione, ne snatura completamente il senso perché riduce questa solo a un percorso medico-poliziesco anche contro la volontà della donna e produce vittimizzazione secondaria. La donna non trovando una struttura statale accogliente e consapevole viene rafforzata nella sua decisione di tacere o di non raccontare quanto patisce. Non si può dimenticare che 7 donne su 10 che si sono rivolte alle forze dell’ordine per l’inadeguata protezione, sono state uccise dai loro partner violenti.
Di questo emendamento in Aula si è proposta la soppressione da parte di Marisa Nicchi, Michela Marzano, Pia Locatelli, Bosso e G. Civati. Questo emendamento, è stato respinto a stragrande maggioranza. Un voto che di fatto disconosce il lavoro fatto precedentemente dal Parlamento stesso, e la firma che il Presidente Renzi ha apposto al Piano nazionale.
Si tratta di una contraddizione non rilevata da nessuno come da nessuno è stata rilevata la bizzarria della proposta di un direttorio costituito da tre ministri presso la Presidenza del consiglio che dovrebbero, loro, stilare delle linee guida diverse da quelle del piano nazionale. Forse ha ragione Alfano (primo proponente due anni fa del codice rosa) quando esprime la centralitàdell’NCD nelle politiche del governo A meno che, come ha fatto rilevare qualche anima maligna, l’avvicinarsi di nomine ministeriali vacanti non abbia acceso brame di incarichi ministeriali e farlo sulla pelle delle donne, anche maltrattate, non è una novità soprattutto se rafforza la convinzione che si tratta di persone fragili che qualcuno/a deve tutelare e proteggere. Ma anche se si tratta solo, come è in realtà, di tutelare soggetti vittime di violenza altrui dagli anziani ai minori, dagli immigrati agli omossessuali, il problema rimane perché il governo ha presentato dei subemendamenti che negano risorse aggiuntive alla sanità per questo percorso di protezione dalla violenza.
Rimangono un paio di domande politiche. Perché tutto il mondo delle donne e del femminismo che aveva denunciato sia il modo che il metodo e il profondo errore dell’emendamento, considerato un’enorme salto all’indietro, sia stato considerato così inessenziale per le forze in Parlamento che hanno votato a favore. Perché questa forma di “minoria” (come l’ha giustamente definita Alessandra Bocchetti) in cui si tenta di ricacciare le donne banalizzando la violenza di genere in un percorso autoritario e generico nei pronti soccorsiche avrebbero bisogno di essere coinvolti, formati e coordinati con tutte le esperienze locali, come da anni le donne chiedono , costruendo reti competenticome prevedono anche tutte le leggi regionali, sia stata fatta dal Parlamento “più rosa” della storia della Repubblica e che esso abbia avuto bisogno, grazie ad alcune donne, di un atto simile di straordinaria misoginia.
Ignoranza, superficialità o anche una questione democratica che si esprime contro le donne non a caso su un tema così sensibile non è solo questione di metodo sbagliato. Sembra essere un segnale politico preciso a chi pensa che in tempi in cui le donne sono ridotte continuamente sulla difensiva, dalla mancanza di lavoro, dalla mancanza di autodeterminazione sulla maternità, dalla crisi dello stato sociale arrivando fino alla proposte di regolamentazione della prostituzione e la teoria del gender impazza, provare a “normare” a prescindere da loro, potrebbe essere interessante.
Che avvenga dopo il 25 novembre dove tutti e tutte le istituzioni sguazzano sulla retorica contro la violenza di genere, la dice lunga sulla profonda ipocrisia politica in cui siamo immerse. Se i centri antiviolenza e le associazioni non si faranno intimorire ricorrendo anche al Consiglio d'Europa per violazione della Convenzione di Istanbul, tutte sappiamo che è l'inizio di un percorso difficilissimo. Denunciare in tutte le sedi internazionali l’Italia che dovrà rispondere puntualmente delle sua gravi responsabilità per donne abusate, maltrattate e uccise non sarà solo un danno per l’immagine dell’Italia ma consumerà energie preziose che meglio sarebbero state impegnate per continuare a costruire un sistema accogliente e consapevole contro la violenza maschile a livello locale e nazionale.
Ancora una volta le conquiste delle donne italiane, tanto richiamate nei talk show per affermare la superiorità dell’Occidente nei confronti del mondo musulmano e considerate come un dono “naturale” delle nostra civiltà invece che di 70 anni di lotte politiche delle donne, appaiono come una tela di Penelope che mentre le donne tessono viene da qualcun altro continuamente disfatta. La domanda è a vantaggio di chi o di cosa?
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