CHIEDI AL CRASFORM - Gli strumenti giuridici della legge 53 sono un punto di partenza per il sostegno della maternità e la conciliazione.
Castelli Alida Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2006
Stiamo parlando della legge 53 dell’8 marzo 2000 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”, legge che risponde alle indicazioni comunitarie per l’incremento dei livelli di occupazione delle donne e per la conciliazione tra lavoro e famiglia.
L’Italia rischia seriamente di non raggiungere l’obiettivo proposto dall’Unione europea per accrescere i livelli minimi di occupazione femminile al 60% entro il 2010.
Il percorso di tutela della maternità si è concluso, dal punto di vista giuridico, con la ricomposizione nel Testo Unico del 2001 (dl 26 marzo n.151 e 23 aprile n.115 del 2003), di trenta anni di leggi dalla 1204/71 fino alla legge 53/2000.
Più che un punto finale, da varie parti viene sottolineato come tali strumenti giuridici rappresentino un punto di partenza per il completamento della disciplina.
Una delle direzioni in cui muoversi sarebbe indubbiamente quella della semplificazione: le casistiche e le tipologie individuate (rispetto alle tipologie di contratto, ma anche rispetto ai familiari destinatari o alla tipologia dei fruitori dei permessi) sono veramente molte. Le recenti modifiche del mercato del lavoro nel frattempo hanno ampliato la gamma di queste tipologie: occorrerebbe aver ben chiari i casi dove i trattamenti sono discriminatori.
A questo proposito va segnalata l’esclusione dalle nuove norme di un intera categoria, quella delle collaboratrici familiari (colf e badanti), esclusione che ci preme rimarcare, per il ruolo di sostituzione che questi lavoratori, ma sappiamo che sono soprattutto donne, operano rispetto al lavoro di cura. Alle colf infatti non sono riconosciuti i congedi parentali, i riposi giornalieri, né i congedi per malattia del figlio, né viene applicato il divieto di licenziamento nel periodo previsto per le altre categorie di lavoratrici subordinate. Sarebbe poi opportuno riflettere sulla tutela della maternità e la fruizione dei congedi parentali delle lavoratrici autonome, delle libere professioniste iscritte o non iscritte agli ordini professionali.
Un’ulteriore criticità è rappresentata dal non ancora pieno utilizzo dei fondi dall’applicazione dell art 9 della legge 53/2000. Infatti, se le richieste di accesso ai fondi sono in costante aumento, rimane problematica la parte relativa al comma c) dell’articolo 9 riguardante la sostituzione dell’imprenditrice e della libera professionista in congedo di maternità. Pur oggetto di interventi esplicativi (cfr. le circolari applicative della legge 53, e 14 del /02 e 4/03) questo punto è di difficile applicazione, sia per alcune incertezze interpretative, sia per le differenze oggettive di ruolo delle destinatarie (artigiane, libere professioniste, imprenditrici ecc).
Un altro punto da monitorare è relativo al capo VII (articolo 22 e seguenti) su “i tempi delle città”: il fondo per l’armonizzazione dei tempi della città, (previsto dall’articolo 28) è diventato, con provvedimento della legge finanziaria del 2002, parte del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali. L’applicazione della norma nelle Regioni è decisamente varia: dalla presenza di casi di eccellenza, all’utilizzo di fondi che solo in senso lato rispondono al dettato della legge 53.
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