Martedi, 22/05/2018 - In occasione del quarantesimo anniversario della legge 194 segnali inquietanti arrivano dal fronte istituzionale. Difatti la contraccezione d’emergenza, ovvero la cosiddetta pillola del giorno dopo, non è stata inserita nell'elenco dei farmaci indispensabili da tenere sempre in farmacia. Così risulta dall’esame dell’aggiornamento della Farmacopea Ufficiale, realizzato dal tavolo tecnico istituito dal Ministro Beatrice Lorenzin e pubblicato qualche giorno fa sul sito del dicastero. “Un'occasione mancata - afferma Emilio Arisi, presidente della Società Medica Italiana per la Contraccezione (SMIC)- perché offrire alle donne italiane la sicurezza di poter trovare in ogni farmacia del territorio nazionale un anticoncezionale d'emergenza (pillola del giorno dopo), senza essere costrette, come ancora avviene, a passare da una farmacia all'altra, è un fattore importante per ottenere una efficace prevenzione e di conseguenza un ulteriore auspicabile calo delle Interruzioni volontarie di gravidanza anche negli anni a venire".
Eppure dall’ultima Relazione ministeriale sullo stato d’attuazione della 194 il sensibile calo delle interruzioni di gravidanza era stato attribuito proprio al rilevante aumento della vendita della contraccezione d’emergenza. Conseguentemente appare illogica la scelta operata in sede ministeriale, soprattutto alla luce della circostanza per la quale La Farmacopea Ufficiale della Repubblica Italiana costituisce il “Codice farmaceutico italiano”, identificativo anche dei medicinali di cui le farmacie devono essere provvisti obbligatoriamente. In Italia già ci troviamo di fronte a difficoltà oggettive in capo alle donne che intendono ricorrere ad una legittima interruzione di gravidanza, a causa delle altissime percentuali di medici obiettori di coscienza nelle strutture ospedaliere pubbliche, che in alcuni ambiti territoriali arrivano a sfiorare il 100%. Peraltro tale prestazione sanitaria rientra nei Livelli Essenziali d’Assistenza e dovrebbe essere garantita ogni qualvolta se ne faccia richiesta ed invece non rari sono i casi di obiezioni da parte di interi reparti ospedalieri.
Succede così che il nostro Paese, dopo il Consiglio d’Europa, è stato bacchettato anche dal Comitato per i diritti umani dell’Onu, che ha invitato l’Italia a «garantire i servizi» in tema di aborto e rispetto del diritto delle donne all’interruzione volontaria di gravidanza. Servizi in cui rientra anche l’aborto farmacologico, verso il quale è in atto un vero e proprio ostruzionismo da parte dei presidi pubblici, contrasto illogico solo considerare che esso si configura quale alternativa all’aborto chirurgico indubbiamente più invasivo. Tentativi di evitare l’obbligatorietà del ricovero per tre giorni, non conformi ai protocolli sanitari internazionali, non sempre hanno buon fine, come anche quelli di fare somministrare il corrispondente farmaco, la Ru 486, in regime ambulatoriale. Recente è la petizione con cui si “chiede al Ministero della Salute, alla Conferenza Stato Regioni e all'AIFA, secondo le rispettive competenze, di rivedere le linee di indirizzo, permettendo la possibilità di espletare la procedura in regime di day hospital o in regime ambulatoriale, anche in consultori adeguatamente attrezzati”.
Al riguardo dei consultori tali presidi sanitari, volutamente depotenziati, necessitano di opportuna rivitalizzazione, per portare a compimento i propri fini istituzionali, sanciti dalla stessa legge 194, tra cui anche lo svolgimento di efficaci campagne di contraccezione per evitare di affrontare chirurgicamente le conseguenze di gravidanze non desiderate. Conseguenze peraltro attribuibili, per quel che riguarda gli adolescenti, anche alla mancanza di una congrua educazione sessuale nelle scuole italiane, circostanza che rende il nostro Paese tra i fanalini di coda dell'Unione europea, ove nella sua quasi totalità invece è obbligatorio tale insegnamento nelle scuole. Cosicchè il mancato inserimento della contraccezione d’emergenza nella Farmacopea ufficiale finisce per essere la ciliegina sulla torta del rispetto dei diritti riproduttivi femminili, torta avvelenata dalle innumerevoli mancanze imputabili alle istituzioni pubbliche competenti.
Se a questo collage si aggiungono i costanti assalti alla legittimità della 194, di cui peraltro in una recente conferenza stampa al Senato un parlamentare leghista avrebbe richiesto ufficialmente “il tagliando”, e le campagne di palese disinformazione da parte di associazioni oltranziste, gravemente lesive della dignità delle donne che sono ricorse all’interruzione di gravidanza, si comprende come sia sotto duro attacco la loro autodeterminazione in tema di maternità. Con petizioni on line, lettere aperte alle parlamentari, manifestazioni pubbliche e quant’altro possa essere messo in campo, a salvaguardia della legge 194, non si fa altro che suffragare l’assunto per il quale “La maternità oggi è una libera scelta, non un obbligo, non un dovere, né una merce, risponde solo a un desiderio, ma questo desiderio è importante per la vita di tutti, per la vita della società stessa, poiché infelice è colui che nasce senza il desiderio della madre” (lettera aperta Le donne sono qui). Ma, al di là delle confliggenti posizioni in campo, da un lato i pro choise e dall’altro i pro life, ci deve essere lo Stato che, in qualità di soggetto terzo, assicuri l’espletamento della prestazione sanitaria di interruzione legale di gravidanza. Un diritto di civiltà, sancito da una legge di quarant’anni fa posta in essere per tutelare la vita delle donne che ricorrevano agli aborti clandestini perché interrompere una gravidanza era un reato. Un diritto di libertà che non si può contestare, in quanto una maternità non può essere imposta per legge.
Nel 1989 a Corleone Maria Mannina morì intossicata da una bevanda al prezzemolo da lei stessa preparata per liberarsi di una gravidanza non voluta. Nell’ospedale del suo paese i sette medici, dal primario all' assistente, erano tutti obiettori di coscienza, nonché gli ostetrici. I movimenti femminili palermitani allora dissero che quella morte era un atto d' accusa contro la campagna di terrorismo psicologico che aveva colpevolizzato le donne, spingendole ancora una volta nella clandestinità, pure in presenza di una legge statale che doveva garantirle la vita all’atto di interrompere una gravidanza indesiderata. Oggi si acquistano in rete farmaci con effetti abortivi, che possono anch’essi portare a gravi conseguenze, finanche letali, a riprova che gli aborti continuano a praticarsi in sordina. La legge 194 fu predisposta per salvaguardare la salute delle donne ed ancora oggi deve essere tutelata, pena il ritorno alle mammane, alle barbarie ed ad una clandestinità che andrebbe a configurarsi quale l’ennesima sconfitta di uno Stato che abdica al suo ruolo istituzionale, condannando le donne a subire le conseguenze delle sue colpevoli omissioni.
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