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Legge 194, LAIGA: Roma chiama Milano

Legge 194, LAIGA: Roma chiama Milano

Aborto e politica - Il secondo Convegno Nazionale di Laiga lancia un nuovo allarme sull’applicazione della 194 e sul ruolo dei medici. Riflessioni all’insegna di uno slogan ‘fidarsi solo di chi rispetta le nostre scelte’

Silvia Vaccaro Martedi, 02/04/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2013



Aldilà di una facile retorica, la giornata della donna ha visto due appuntamenti (a Roma e a Milano) dedicati alla piena applicazione della 194, legge che regola l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). A Roma il dibattito si è svolto attorno al secondo Convegno nazionale di LAIGA (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’applicazione della legge 194), nata nel 2008 e presieduta dalla dott.ssa Agatone. A LAIGA aderiscono circa quattrocento medici che hanno scelto di fare rete, uscendo così dall’isolamento forzato in cui sono stati relegati dal sistema sanitario nazionale che mal sopporta chi non obietta. I numeri dell’ultimo Rapporto del Ministero della salute parlano chiaro: nel 2010 il 69,3% dei ginecologi si dichiarava obiettore, insieme al 50,8% degli anestesisti e al 44,7% del personale non medico. Ma i dati variano molto da regione a regione, toccando quote allarmanti come il 91,3% del Lazio e l’oltre 85% in molte regioni del Sud. Partendo da questa considerazione è evidente l’esistenza di un forte disequilibrio tra i diritti garantiti alle donne dalla legge e il numero di medici disposti a renderli effettivi. Quelli che lo fanno sono esposti a critiche, pressioni, stop alle possibilità di carriera e in alcuni casi anche a guai giudiziari. Del resto gli attacchi alla legge (e a chi vuole applicarla) spuntano dietro ogni angolo. Risale a circa un anno fa la mozione depositata in Parlamento da parte di Luca Volontè (UDC) in cui si chiedeva di difendere ad ogni costo l’obiezione di coscienza che “rappresenta il simbolo, oltre che il diritto umano, della libertà nei confronti degli Stati e delle decisioni ingiuste e totalitarie”. Leggere i nomi dei firmatari rivela chiaramente che la battaglia pro-life, in Italia, è politicamente trasversale. Lo dimostra anche il milione di firme raccolte dal Movimento per la vita che, insieme ad alcune associazioni analoghe in Europa, ha lanciato una campagna per il riconoscimento dell’embrione come portatore di diritti in quanto essere umano. Ultima in ordine cronologico è la notizia della firma di Professori di cinque cattedre di Ginecologia ed Ostetricia delle Università Romane di un documento in cui si parla di diritti del feto che devono essere “maggiormente conosciuti, anche se non scritti”, documento che è stato poi consegnato al cardinale vicario Agostino Vallini circa due mesi fa. Nonostante l’articolo 15 della 194 impegni questi cattedratici a promuovere “l'aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull'uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza”, pare evidente che l’orientamento degli atenei romani in questo senso sia un altro. I medici di LAIGA, che tutti i giorni si scontrano con questo potere granitico, hanno organizzato questa due giorni di interventi al fine di animare il più possibile il dibattito sullo stato dell’arte e sulle possibili strade da intraprendere per continuare a difendere la legge. Si sono alternati paper sulla salute riproduttiva, sulla contraccezione d’emergenza e post IGV e sulla diagnosi prenatale. Perché in Italia la situazione è molto complessa sotto tanti punti di vista. Oltre al numero dei medici obiettori si registrano altri due fenomeni preoccupanti: il ricorso molto limitato all’aborto medico e la diminuzione dei consultori, considerati ingiustamente strutture di serie B. Nonostante alcune esperienze virtuose - come in Emilia Romagna o nella Asl pugliese della provincia BAT, la prima rappresentata dalla dott.ssa Lenzi e la seconda dal dott. Belpiede - l’aborto medico rappresenta solo il 3,3% delle IVG totali della penisola (dati 2010) e la RU486 resta di difficile reperimento. Il confronto con altri paesi europei ha confermato ulteriormente la nostra arretratezza. Elisabeth Aubey, ginecologa parigina della rete FIAPAC, è stata invitata per presentare l’esperienza dell’aborto medico “a domicilio”, in grande crescita in Francia. A poche centinaia di chilometri da noi le donne praticano l’IGV assumendo una compressa presso lo studio del medico di famiglia, che le istruisce su come assumere la seconda compressa nelle ore seguenti direttamente a casa e senza assistenza particolare. I medici sono tenuti ad osservare un rigido protocollo e ricevono una formazione ad hoc che consente loro di fronteggiare qualsiasi emergenza. “L’aborto migliore è quello che si sceglie liberamente”, ha ricordato Aubey in chiusura del suo intervento precisando che, quale che sia il metodo prescelto, ogni donna ha il diritto di sentirsi libera e serena nell’affrontare un momento molto personale. In Italia invece chi decide di abortire e chi pratica l’IVG, come ha ricordato Mirella Parachini, ginecologa del San Filippo Neri di Roma, viene fortemente stigmatizzato: la donna buona è soltanto colei che procrea e l’IGV rappresenta, nell’immaginario collettivo, un vero e proprio omicidio. È necessario ribaltare questa prospettiva mostrando invece che sono i medici obiettori a negare alle donne il diritto di scelta garantito dalla legge. Carlo Flamigni, ordinario di Ginecologia a Bologna, ha suggerito di cominciare ad auto-definirsi medici “pro-choice”, perché anche se dolorosa e imprevista, come per i casi di interruzione terapeutica di gravidanza - tema appassionatamente trattato dalla dott.ssa Scassellati del S. Camillo di Roma - si tratta sempre di rispettare la scelta di una donna libera. Nella sala gremita di professionisti, provenienti da quindici regioni, il confronto è stato vivace immaginando soluzioni, proponendo misure e raccontando le proprie ricerche ed esperienze sul campo. La dott.ssa Agatone ha tirato le fila e presentato alcune proposte concrete, frutto delle discussioni delle due giornate, tra cui: l’adozione di misure incentivanti per i non obiettori, la creazione di unità dipartimentali per l’IVG, la possibilità di effettuare diagnosi prenatali solo per gli ospedali dove si pratica l’interruzione. Colpisce la passione di queste/i professioniste/i, combattive/i e determinate/i nonostante le difficoltà quotidiane in cui lavorano.

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