Domenica, 20/05/2012 - Raramente trascorro il mio tempo a dibattere sui blog altrui questioni varie e tuttavia qualche volta mi accade.
La più recente è legata alla lettura del titolo civetta “Dell’aborto non mi importa nulla”, che l’autrice del pezzo si affrettava a smentire fin dalle prime battute, pur mantenendolo però ben in vista e utilizzandolo di fatto per spiegare che si sarebbe interessata e occupata di altro: di cose, cioè, da lei ritenute più importanti ed urgenti, su cui convogliare attenzione e commenti.
Poiché non mi risultava né mi risulta adesso che la giornalista fosse o sia persona che pensi a cuor leggero di operare contro le donne (normalmente si schiera e con forza a loro fianco), mi son chiesta perché mai non avesse notato l’assoluta improponibilità di quella frase, a così breve distanza dalla nota manifestazione romana dei ProVita-embrionale, condotta con le modalità che sappiamo.
Non mi rimaneva che una spiegazione ipotetica: che l’autrice del pezzo fosse vittima in prima persona dei condizionamenti culturali correnti, al punto da non riuscire a valutare la pesantezza della scelta operata.
Cosa di meglio, allora, che provocare una discussione su quel blog, rinviando al mio articolo sulla 194 che già dal titolo - non meno provocatorio di quello - contesta la manovra dei ProVita-embrionale, affannati a definir mamma fin dal primo istante del “concepimento” la donna, per vietarle ogni diritto al rifiuto e definire l’aborto un assassinio?
Detto fatto - anzi, pensato fatto - ho sintetizzato al massimo il contenuto del mio scritto di cui al link che trovate in questa pagina e… uh, quanti commenti! Tutti di persone raggelate dal gelo dell’espressione utilizzata.
“Ospitalità gravidica”? E che sarà mai? “Fermate il mondo voglio scendere!” era pronto a gridare uno degli intervenuti sentendosi minacciato, chissà poi perché, dall’essere stato definito un ex embrione cresciuto, evoluto in feto, poi in bambino e quindi nato da una madre che lo avrà sicuramente accettato e accolto con amore e calore… No, forse m’inganno: sarà arrivato al mondo su una slitta, già bell’e confezionato dall’inizio, e non nel modo che, nella mia profonda ignoranza delle vicende umane, mi risulta essere quella propria di tutti i mortali.
La discussione però non è stata né infruttuosa né, tutto sommato, sgarbata o violenta - ed è già tanto con quello che accade talvolta nei blog. E poi, diciamolo: io volevo proprio provocare lo sdegno generale, per poi svelare da quale luogo improprio nascesse.
Per l’esattezza uno degli interlocutori ha invece dichiarato di essere d’accordo con me, ma gli altri non lo hanno nemmeno calcolato per non amplificare a loro svantaggio il suo apporto. Malgrado ciò, il succedersi dei commenti ha riportato le cose in un alveo più ragionevole.
A parte il caso di un tale che voleva invitarmi al Colosseo, non si sa se per farmi sbranare da qualche fantasma di leone sopravvissuto nei secoli o per altro, un effetto più confortevole è arrivato: è sparita dal dibattito la Dichiarazione d’Uguaglianza - non dei diritti dell’uomo di storica memoria, ma tra fecondazione e maternità automatica - ed è comparso, sia pure da una voce soltanto confermata dal silenzio del gruppo, il compromesso ragionevole di definire la gravidanza una “maternità potenziale”.
Un risultato che mi va benissimo, a patto che alla parola potenziale non si voglia attribuire il percorso inarrestabile verso la maternità in atto, nel qual caso non saremmo davanti a un gioco di parole innocuo ma ad un mascheramento della realtà femminile.
Provate a chiedere a una donna violentata quanto si possa definir madre di un embrione che quasi mai potrà sentire come figlio, come le sarebbe accaduto o le accadrebbe per una vita nascente da un rapporto di procreazione volontaria; provate e sentirete cosa vi risponderà.
Provate anche con una donna non violentata, ma che è rimasta intrappolata suo malgrado in un avvio di gravidanza non voluta: vi parlerà di senso d’invasione, di violenza non da parte di un uomo ma della natura stessa che procede per suo conto, come quando non vi chiede il permesso per sviluppare in voi una malattia.
Insomma: provate ad ascoltarle davvero le donne, invece di supporre i loro sentimenti a misura dei vostri o della vostra utilità del momento. E soprattutto tenete conto del momento storico in cui talune affermazioni incaute si collocano: perché se per caso c’è stata poco prima la Marcia degli antiabortisti romani, che armati di croci e bambolotti scandivano accuse infamanti rivolte alle donne, per terrorizzarle come nei tempi andati con gli anatemi, allora sarà meglio che certi titoli choc non li usiate. Per rispetto delle altre donne e di voi.
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