Giovedi, 17/05/2018 - Il 15 maggio Repubblica ha azzardato - a pag. 22, di spalla - la questione che nessuno, nemmeno le femministe, ha finora osato evocare, anche se la scadenza del significativo anniversario è vicina e mezzo mondo ha ricevuto i messaggi preparatori (e perfino la richiesta di fondi) del Movimento Pro Vita a cui si sono aggregate decine di associazioni e gruppi intransigenti cattolici. Infatti il 22 maggio ricorreranno quarant’anni dalla votazione storica della legge sull’interruzione di gravidanza, la meglio nota 194.
Probabilmente è stato prudente non incoraggiare in anticipo la campagna antiabortista. Si spera, tuttavia, che nessuno/a sia stato con il cervello in vacanza e che senza perdere le staffe si ricordi al paese che il valore della vita è al sicuro non solo nell’utero, ma nella mente e nella coscienza delle donne, consapevoli di poter essere, tutte, potenziali madri. A Roma sono ricomparsi i manifesti con i tristemente noti bambolotti scampati al feticidio, prontamente rimossi, ma anche quelli che pubblicizzano l’aborto come “la prima causa di femminicidio nel mondo”. Se non si trattasse di tragedia, la scritta appare quasi ridicola: infatti è proprio la legge 194 che ha permesso di “passare dalla criminalità alla legalità” e, infrangendo la clandestinità, ha posto fine per sempre (nel nostro paese, non in quelli più poveri, evidentemente inesistenti per le anime belle) alla morte per ferri da calze e prezzemolo. A meno che la scritta non intenda autorizzare la vendetta del violento che oppone alla decisione libera della “sua” donna la difesa del suo seme. Ma attenzione: ai tempi delle fake news anche strumentalizzare parole e immagini può avere successo. Tuttavia una campagna antiabortista è in arrivo. In tutta Europa perseverano tentativi di restaurare il valore della famiglia “secondo natura”. In Italia si spera che nemmeno Salvini - che, rosario in mano, ha già sponsorizzato un’iniziativa antiabortista - oserà toccare la 194. Ma sarà bene non fidarsi dei politici se nessun partito nella recente competizione elettorale ha pronunciato la parola “donna”: a meno che non vogliamo esser contente della presidenza senatoria alla Scassellati o dell’immaginaria candidatura di una prima ministra per togliere le castagne dal fuoco. Forse è tempo di giocare al rialzo e far avanzare la richiesta di eliminare l’obiezione di coscienza: in troppe strutture pubbliche la legge viene disapplicata per il numero delle obiezioni. Le leggi vanno “tutte” applicate e va contestata l’apparente analogia con l’obiezione al servizio militare obbligatorio che riguardava un principio costituzionale. E dovrebbe avere forza di legge la libertà delle donne nelle scelte che riguardano la loro persona andrebbe cancellata una legge che obbliga una donna senza dovere in qualche modo chiederne l’autorizzazione allo Stato per scelte che riguardano il suo corpo e la sua libertà.
Ma le donne possono voler proporre la loro etica ad una società che ricorre alla politica dei divieti per rimuovere le proprie responsabilità. Davanti alla prevista escalation farmacologica che ha portato dalla contraccezione alla pillola del giorno dopo e alla pillola abortiva è tempo di aprire una diversa campagna per impiantare una cultura della nascita e della famiglia che distingua il valore della sessualità dalla genitalità e che non rimuova, nel matrimonio (o in qualunque libera unione) la responsabilità della buona convivenza a partire dalla disponibilità libera alla scelta genitoriale.
Quando fu votata la 194 tutti si impegnarono a modificare la cultura che ne è causa: “per non abortire”. Data per scontata l’ipocrisia umana, oggi è bene cercare almeno di discutere la possibilità che un uomo possa chiedere alla donna di ricorrere un paio di volte all’anno alla pillola. L’educazione sessuale nelle scuole fa ancora paura alle anime belle che vogliono tenere al riparo dai pericoli i loro bambini; che a nove anni corrono pericoli davvero perché si informano sui siti porno di internet forniti anche di inviti e indirizzi. Questo genere di privatizzazione rischia di sostituire la vecchia clandestinità, mentre solo la conoscenza dà dignità alle relazioni e ai sentimenti umani consapevoli e, perciò, liberi.
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