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L'ebola colpisce di più le donne

L'ebola colpisce di più le donne

LIBERIA / SIERRA LEONE / NIGERIA - Sono più esposte al contagio e anche le più discriminate. ActionAid spiega come e perché le donne sono vittime due volte dell’epidemia

Antonelli Barbara Lunedi, 03/11/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2014

 Ebola non accenna a fermarsi. Anzi secondo il centro USA per il controllo delle malattie (Cdc) ogni persona infetta ne contagia altre due e si prevede che a gennaio 2015 il numero dei contagi sarà di 1,4 milioni. Dopo Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone, il virus continua la sua espansione nell'Africa occidentale. Ma anche nei paesi europei. Lo scorso settembre il presidente internazionale di Medici senza frontiere (Msf) Joanne Liu, in un discorso davanti alle Nazioni Unite, ha detto che i leader mondiali stanno fallendo nell’affrontare la peggiore epidemia di ebola della storia. Sono diverse le organizzazioni umanitarie che ritengono che la risposta internazionale, non abbia ancora compreso a fondo l’urgenza e la gravità dell’epidemia. Il virus continua a fare vittime nei paesi interessati, tra gli operatori sanitari che assistono i malati. E tra le vittime, tre su quattro sono donne. "Il 75 per cento delle persone infettate dall'ebola sono donne", ha detto il ministro della parità di genere e dello sviluppo in Liberia Julia Duncan-Cassell. Uno squilibrio “di genere” che si deve, come ha ben spiegato la ministra, al ruolo che la donna riveste nella società africana. In Africa occidentale sono principalmente le donne a occuparsi della preparazione dei funerali e del mantenimento della casa, della famiglia e dei malati: questo le rende più esposte al contatto con animali e liquidi corporei che possono trasmettere il virus. Le donne poi costituiscono la maggior parte del personale sanitario, negli ambulatori e negli ospedali: un esercito di ostetriche, infermiere e addette alle pulizie. Sono sempre le donne quelle che si occupano del piccolo commercio e quindi ancora una volta più esposte al rischio di contrarre il virus. Molti malati, soprattutto nelle aree rurali, rifiutano di recarsi negli ospedali: anche in questi casi, le donne sono obbligate e prendersene cura, il che aumenta la probabilità di contagio. Sono diverse le strutture sanitarie in Liberia che stanno chiudendo o rifiutano i pazienti, per mancanza o completa assenza di strumenti e forniture necessarie a proteggere il loro personale sanitario, come ad esempio guanti in lattice e cloro. In Liberia c'è un medico ogni 86mila persone (sono 51 i dottori in totale per 4.4 milioni di persone), mentre in Sierra Leone ce n'è uno ogni 45mila: questo costringe i dottori a non poter ricoverare pazienti affetti da malattie comuni. Una situazione che è pericolosa non solo per il contenimento del virus e il trattamento delle vittime, ma anche per i pazienti affetti da patologie meno gravi ma che comunque andrebbero curate. Gli operatori di ActionAid, organizzazione che è presente sia in Sierra Leone che Libera, raccontano che nella principale clinica di Monrovia più di 50 persone, tra cui anche donne incinte, sono morte a causa di patologie curabili, per mancanza di mezzi adeguati o per l’impossibilità ad essere ricoverati. Le donne in stato di gravidanza sono tra le categorie più colpite, e non solo per mancanza di personale sanitario disponibile ad assisterle. In alcuni ospedali della capitale liberiana, racconta lo staff di ActionAid, si è diffuso il sospetto che diverse donne incinte siano infette, con la conseguenza che vengono mandate via dagli ospedali. Anche le donne che non contraggono l'ebola possono pagare il prezzo di questa epidemia, perché subiscono l’isolamento dal resto della società. Kumbah Fayiah è una vedova liberiana. Qualche settimana fa suo marito è morto di ebola. "Sono così stanca di vivere per il modo in cui guardano me e la mia famiglia. Nessuno ci viene a trovare, persino i nostri amici hanno paura di venire a farci visita", ammette con dolore Kumbah. Anche Siah è una giovane vedova liberiana: vive in una delle più povere aree della comunità di St. Paul Bridge, nel nordovest della Liberia, e si ritrova, dopo la morte del marito, con sette figli a carico e nessuna entrata economica. La famiglia di Siah sta pagando sulla propria pelle lo stato d’emergenza in cui versa la Liberia: gli spostamenti sono difficili e la paura sembra aver paralizzato i villaggi vicini. Tutti, anche gli amici più stretti, temono il contagio e si guardano bene dal frequentare l’abitazione della donna. Siah non ha l’elettricità né cibo a sufficienza. ActionAid è presente in Liberia, Sierra Leone e Nigeria, e insieme ad alcuni partner locali è in prima fila per arginare l’emergenza dell'ebola. L’approccio adottato dall’organizzazione è quello di partire dai soggetti più colpiti, le donne, che hanno un ruolo chiave nella prevenzione e nella cura dei bambini.

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