Lea Melandri, dopo la vittoria di Trump su Hillary Clinton ha espresso (Comune/Info 13 nov.) il suo punto di vista: “Oggi, a fronte di uno svelamento evidente dei legami che ci sono sempre stati tra sessualità e politica, interessi, bisogni e desideri personali e istituzioni - una contaminazione di cui parla l’antipolitica populista, l’aziendalizzazione dello Stato, l’uso privato del denaro pubblico, il declino delle forme tradizionali della partecipazione, il saccheggio che il consumismo sta facendo della vita intima -, colpiscono prese di posizione, riguardo alla volontà delle donne di “contare di più” nei luoghi decisionali del potere, che sembrano riportare indietro il tempo e la coscienza critica creata pazientemente dalla storia del femminismo: considerazioni contrastanti sulla questione donne e politica, ma accomunate da logiche di genere, sia pure con un singolare ribaltamento di parti. Il rimprovero che viene fatto alle femministe è la facilità con cui i loro gruppi continuano a “dividersi, frammentarsi, disgregarsi”, allontanandole dall’obiettivo di una presenza paritaria in politica”.
Sì, è in gran parte così. Tuttavia io credo che il femminismo non poteva essere "antagonista" senza una "filosofia del potere" propria. L'esempio della sinistra (da cui le donne sono state dipendenti) non ha avuto progettualità di genere né con i soviet né con il riformismo socialdemocratico: fallita la prima, in via di cedimento la seconda.
Il femminismo è nato contrapponendosi all'emancipazionismo. Ma dire "io sono mia" poteva essere la base di un pensiero totalmente "altro"; che è rimasto al palo e la Clinton non può essere difesa come "politica", perché è sempre stata "un" politico. La ragione l'ha davvero Rossanda, citata da Lea: "le donne sono state il sintomo più evidente della crisi della politica e l’embrione del suo possibile ripensamento".
Appunto, il sintomo. E' mancato il ripensamento, la re-invenzione del potere.
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