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Le sorelle Vecchi o l'arte di creare costumi

Le sorelle Vecchi o l'arte di creare costumi

- Roberta e Francesca Vecchi, candidate al David di Donatello per i costumi del film ‘Diaz’, raccontano il loro modo di interpretare una professione straordinaria

Bertani Graziella Sabato, 27/12/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2015

Ricordando i film che abbiamo visto difficilmente li pensiamo come “prodotto di una delle principali industrie con una ricca e complessa filiera del nostro paese”. Eppure quante delle sue articolazioni coinvolge soprattutto noi donne!

I costumi, per esempio. Che ruolo hanno in un film? È possibile parlare di ARTE dei costumi? Le sorelle Vecchi - Roberta e Francesca - candidate al David di Donatello come migliori costumiste per il film ‘DIAZ’, ne sono convinte. “Se fatta con ARTE, con cura, con passione, con dedizione, con amore, con cultura, con cuore, con intelletto, come se fosse l’unica e l’ultima cosa da fare, senza anteporre il guadagno, l’affermazione la carriera; se fatta con gioia, divertimento, con umiltà, donando e condividendo… sì è ARTE. Il cinema è un mondo a sé. Quando si progettano i costumi per un film e si segue tutta la realizzazione, dal primo all’ultimo ciack, si appartiene solamente a quel mondo e a quella storia senza avere il tempo per sè…Solo il cinema offre quelle possibilità di studiare, di venire a contatto con temi, situazioni, argomenti, storie, persone che altrimenti mai incontreresti sulla tua strada e nella tua vita. E anche se finzione, il cinema è vivo, è vero! Non solo è arte, è anche impegno sociale e civile: è responsabilità. Fare i costumi per un film è prima di tutto progettare un personaggio che esiste solo sulla ‘carta’ e renderlo credibile. Più cultura e più informazioni si possiedono e si acquisiscono, più facile sarà il punto di partenza, l’idea, l’ispirazione. Progettare i costumi è un atto di cultura, di coraggio e di fiducia. Il confronto col regista è costante e necessario, occorre condividerne l’etica, la poetica perché la direzione presa sia comune e il lavoro risulti corale e non individuale… Per noi il costume è verità, bellezza e giustizia. È un lavoro lunghissimo, infinito e di massima precisione. Mentire è impossibile. Le figure femminili sono sempre le più difficili. Le donne hanno più timore a concedersi ed il lavoro sul loro personaggio diventa un lungo iter progettuale attento al carattere, a ciò che l’attrice ama o detesta. La conquista della fiducia di un’attrice non è un processo semplice. Però, cosi facendo, a volte si giunge a veri e propri ‘miracoli’ di originalità, di cambiamenti e di complicità. I colori, i materiali e le forme devono rispecchiare ciò che ‘si va a raccontare’. Nel film ‘Il Paese Delle Spose Infelici’ di Pippo Mezzapesa per corrispondere alle situazioni e agli stati d’animo - specie quelli nascosti - abbiamo scelto colori non urlati e forti ma annacquati per i momenti più dolci e lividi per quelli più tristi. In ‘Lo Spazio Bianco’ di Francesca Comencini per il personaggio interpretato da Margherita Buy ci siamo ispirate a un’icona della musica: Patty Smith. Per raccontare la sensazione di paura ed abbandono abbiamo scelto colori abbastanza scuri, per indicare la femminilità e la dolcezza abbiamo optato per sfumature pastello. Per rappresentare una prerogativa della parte più dolorosa del film - l’incuria -, abbiamo creato capi che risultavano stropicciati quasi non lavati e indossati a caso. Alla base di tutto c è sempre uno studio attento del periodo storico in cui la vicenda si svolge e i personaggi vivono. Per conferire originalità ci concentriamo su una sorta di ‘astrazione’ dal vero e dal tempo ispirandoci a discipline altre (architettura, musica) e a personaggi del nostro immaginario letterario, teatrale, artistico. Da lì iniziamo a progettare, a distinguere, a separare, a mischiare. Lo stereotipo non ci piace. Anche nella rappresentazione del degrado psichico o sociale la volgarità, il brutto non esistono. C è sempre un’apertura alla delicatezza, alla magia dell’essere umano. C’è sempre una tensione al ‘divino’ e allo spirituale. Nei nostri costumi c è questo..”



 Voi, la violenza alla DIAZ e sulle donne...

Diaz è una storia a sé. Entrato subito nelle nostre corde, per individuare la chiave per cui ciò che era “documento” non fosse solo ‘documentato’, ma avesse un cuore, un’originalità e si distaccasse dal documentario e facesse capire l’atrocità della violenza esercitata gratuitamente. L’ idea è stata usare gli stessi colori, le stesse tonalità sia per i costumi della polizia, che dei politici e dei ragazzi all’interno della Diaz. I blu, gli azzurri e i grigi sono i colori degli abiti dei politici, sono i colori delle divise: cosi anche quei 90 ragazzi là dentro erano vestiti di quei colori, di quelle sfumature quasi ad indicare la loro predestinazione a quel destino violato, rubato, tolto dai politici e dalle forze dell’ordine e armate. Fuori invece si contrapponeva il mondo, il colore: tutti gli altri giovani che manifestavano e che potevano urlare la loro vita.



 Recuperare capi originali fu davvero difficile, ma per noi era un dovere morale attenerci a quella realtà. Abbiamo fatto ristampare migliaia di magliette della varietà presente a Genova nel 2001 nei giovani da tutto il mondo, mondo che abbiamo ricreato. 143 attori principali 13mila figurazioni… Un lavoro infinito durato otto mesi che ci ha cambiato la vita e la nostra stessa percezione della vita e richiesto un anno di riposo. Non esiste la donna provocatrice. Esistono donne. Esistono uomini. Esiste la violenza. Esiste il libero arbitrio. Esiste la disuguaglianza. Esiste il maschilismo. Esiste la forza. Ma esiste anche la dolcezza. Ed è con quella che noi combattiamo e rappresentiamo quel dolore. C’è dolcezza nell’abito lungo largo e nero della donna abbandonata incinta ne “Lo Spazio Bianco”, c’è dolcezza nei calzettoni di lana grossa della ragazza incompresa, derisa e schernita ne “Il Paese delle Spose Infelici”. La donna prima e dopo… è come l’immagine di un fiore. I colori sono gli stessi. Sempre. Prima sono accesi, sgargianti, vivi e il fiore è dritto, rigoglioso, profumato. Dopo si avvizzisce, china il capo, si piega su se stesso perde di intensità e di profumo, perde di calore e colore. Tutto si sfuma di livido e scuro e buio.



 Voi e "il posto"  (http://ilpostotheplace.tumblr.com) …

“Il posto” è il nostro studio dove di giorno lavoriamo e progettiamo i costumi per i film o i video musicali prima di partire per il luogo delle riprese. È il nostro showroom con un vastissimo archivio di abiti, calzature ed accessori vintage dagli anni ‘30 proveniente da set cinematografici, teatrali, di videoclip musicali, da sfilate di moda e da vent’anni di ricerca in Europa e Stati Uniti. È un luogo dove le discipline e l’arte si mescolano e si contaminano dando vita a nuovi progetti originali, è un luogo di incontro e di condivisione di ciò che amiamo E creiamo ciò che ci piace e che non troviamo nella nostra città. Non è un salotto. “Il posto” è un appartamento situato in un palazzo antico nel cuore del centro storico di Modena che abbiamo risistemato personalmente cercando di creare un’atmosfera evocativa da set cinematografico mischiando oggetti di recupero a alcuni pezzi di design (Castiglioni, Bauhaus), materiali poveri a stoffe, pizzi e sete antiche e pregiate. Alle pareti abbiamo appeso su cavi d’acciaio abiti indossati dai protagonisti dei nostri film … Contaminando otteniamo originalità. Il nostro motore è la musica. La musica è stata la nostra strada la nostra formazione il nostro credo. Tutte le nostre risposte, le nostre passioni, i nostri amori i nostri talenti erano rinchiusi lì. “Il posto” è la zona più profonda e più creativa, è la zona bianca che riempiamo con i nostri sogni e che magicamente ogni volta diventano realtà.



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