Intervista a Helga Schneider - L’autrice di “La baracca dei tristi piaceri” affronta una delle pagine meno note del nazismo
Cristina Carpinelli Lunedi, 18/01/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2010
Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, una ricorrenza istituita in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati italiani nei campi nazisti. Per questa ragione, “noidonne” ha deciso di intervistare la scrittrice Helga Schneider, che ha di recente pubblicato “La baracca dei tristi piaceri” (Salani 2009), un romanzo che parla dell’esistenza dei bordelli nei Lager nazisti. Con questo libro, Helga Schneider squarcia il velo dell’ultimo tabù, affrontando una delle pagine meno note del nazismo.
Durante una conferenza, Lei ha detto: “Ho guardato tutto per non dimenticare niente, e poterne poi scrivere”. E, infatti, Lei è autrice di diversi libri sul nazismo e la guerra. Vi è una ragione particolare che l’ha spinta a scrivere “La baracca dei tristi piaceri”?
Ho pensato a questo libro per diversi anni. L’idea mi frullava in testa fin dal 2004-2005, e si rafforzò quando i media cominciarono a trattare con frequenza il tema della violenza sulle donne. Trovai una motivazione ulteriore nel fatto che, quando nel corso di una conferenza accennavo ai bordelli esistiti nei campi di concentramento nazisti, riscontravo ogni volta espressioni di sorpresa e incredulità, e ciò mi dava la sensazione che fosse un tema assolutamente sconosciuto. Anche questo mi spinse a scrivere “La baracca dei tristi piaceri”.
Ci sono testimonianze di donne sopravvissute ai bordelli del Lager?
Sì, e subito dopo la guerra queste donne erano ancora disposte a denunciare e testimoniare, ma persero presto l’iniziativa a causa dell’atteggiamento dei loro compagni di prigionia maschi, che tendevano a considerarle non vittime dell’abuso nazista, ma semplicemente prostitute che si fecero avanti volontariamente per il bordello per viltà e opportunismo.
È possibile tracciare un identikit delle donne selezionate per questo mestiere all’interno del Lager femminile di Ravensbrück?
All’inizio dovevano essere selezionate solo le prigioniere internate come “asociali”, poi si arrivò a scegliere anche le detenute colpevoli di aver intrattenuto “relazioni proibite”, ovvero con un ebreo o con un lavoratore forzato straniero. Non erano, in nessun caso, ebree (escluse per principio), ma tedesche, polacche o bielorusse al di sotto dei 25 anni. Quando l’attività al Sonderbau (bordello del campo di prigionia di Buchenwald) le rendeva ormai alcolizzate, esaurite, sfiancate e malate, queste donne erano semplicemente rispedite al Lager di origine, dove finivano per essere sfruttate ulteriormente come cavie negli esperimenti sadici dei medici delle SS, o inviate ad Auschwitz per l’eliminazione.
Qual era, invece, l’identikit dei frequentatori del bordello? Vi erano delle regole a cui dovevano sottostare per “consumare il servizio”?
I frequentatori erano semplici detenuti del Lager o i cosiddetti prigionieri “privilegiati”, più avanti usarono il bordello anche le SS. L’accesso al bordello era disciplinato in modo pedante: il detenuto doveva presentare domanda, farsi inserire in un’apposita lista d’attesa e, infine, attendere di essere convocato durante un appello. Prima di entrare nel bordello doveva sottoporsi a una visita, in realtà solo “visiva”, al Revier, l’infermeria, e doveva fare una doccia. Se non aveva il bonus, pagava 2 marchi per il servizio. Il rapporto non poteva superare i 15 minuti ed era permessa una sola posizione.
Il bordello era vietato agli ebrei e ai prigionieri di guerra sovietici, ed era frequentato principalmente da coloro che svolgevano compiti di sorveglianza all’interno del Lager (decani o kapò).
Erano previste forme di tutela della salute e dell’igiene della donna? Erano utilizzati metodi anticoncezionali? Se una donna rimaneva incinta, cosa succedeva?
Non erano permessi i contraccettivi per le donne. E se le vittime, malgrado ricevessero iniezioni per renderle sterili, rimanevano incinte, erano costrette ad abortire in condizioni aberranti e senza anestesia.
È vero che le donne volontariamente reclutate come guardiane SS nei Lager erano sottoposte ad un addestramento desensibilizzante per renderle capaci di azioni disumane e criminali?
È verissimo. Me lo confermò perfino mia madre che era una guardiana ad Auschwitz-Birkenau.
Rientrava nell’omofobia nazista il sadismo che gli uomini delle SS esercitavano sulle prostitute?
Il sadismo rientrava nell’ideologia scellerata, feroce e criminale delle SS, un’associazione che rappresentava una sorta di Stato nello Stato nazionalsocialista, un cancro all’interno di un cancro.
Come mai i clienti-prigionieri del Sonderbau, uomini spesso ridotti pelle e ossa, desideravano fare sesso, riversando spesso sulle prostitute il loro senso d’impotenza e odio?
Me lo sono chiesto anch’io. Forse l’istinto sessuale nel genere maschile é l’ultimo a morire, essendo talvolta più forte della fame, della malattia, della disperazione e della consapevolezza che in un campo di sterminio nazista si era comunque condannati a essere eliminati entro breve tempo. Non lo so, si dovrebbe chiedere a un esperto in materia.
Nell’ambiente del Sonderbau, vero girone dell’inferno, vi erano sentimenti di solidarietà e sorellanza fra donne?
No, nessuno. Queste donne condividevano, detestandosi a vicenda, il medesimo inferno che escludeva ogni possibile sentimento fra di loro.
La costruzione dei bordelli nei Lager era stata motivata dal regime con la necessità di contenere l’omosessualità tra i deportati. Cosa ne pensa?
No, la questione era un’altra. Nel 1941 la società tedesca IG Farben costruì nella cittadina di Auschwitz una grande fabbrica chimica con l’intenzione di utilizzare mano d’opera gratis proveniente dai detenuti del vicino campo di concentramento, appunto Auschwitz. Ma fin dall’inizio la produttività si rivelò molto bassa perché i lavoratori forzati erano fiacchi e demotivati a causa del vitto scarso, dei continui maltrattamenti che ricevevano e, non da ultimo, delle lunghe marce che dovevano compiere prima di raggiungere la fabbrica. Nel 1942 la produttività risultò così bassa che la IG Farben si lamentò con Himmler. E Himmler introdusse un sistema a premi per incentivarla, tra cui un supplemento vitto, sigarette, un taglio dei capelli militare, quindi l’esonero dall’obbligo della testa rasata e - questa era la novità - lo zelante lavoratore forzato (ovvero prigioniero) poteva guadagnare dei “bonus” per frequentare il bordello del Lager. Da quel momento Himmler diede l’ordine di costruire dei bordelli in 10 grandi campi nazisti.
Può spiegare meglio il concetto che compare sulla copertina del suo libro: “il sesso forzato come strategia del nazismo”?
I nazisti sfruttavano il corpo femminile a scopi bellici. Pensavano che, gratificando i prigionieri, ovvero i lavoratori forzati, col sesso, questi avrebbero contribuito ad aumentare la produzione bellica del Reich per far vincere ad ogni costo la guerra a Hitler.
Cosa succedeva alle donne deportate nei Lager - se non subito sterminate - che non rientravano nel modello femminile ariano?
Le donne deportate nei campi di concentramento erano, per i motivi più disparati, considerate indegne di fare parte della collettività tedesca. Una volta entrate nel Lager erano indistintamente considerate “insetti da eliminare” - naturalmente dopo averle sfruttate nei modi più abietti e criminali.
Secondo Lei, le protagoniste dei bordelli sono riuscite a chiudere quel capitolo doloroso della loro vita e a ricostruirsi, terminata la guerra, una nuova esistenza?
Ci sono diverse testimonianze di reduci dai bordelli che sono riuscite a ricostruirsi una nuova vita, ma certamente con enorme fatica. Altre, spezzate e oppresse da quella tragica esperienza, piuttosto di denunciare preferirono tacere. Come la testimone Margarethe W. (all’epoca fu deportata prima a Ravensbrück e poi, tratta in inganno con le solite promesse false, fu trasferita al Sonderbau di Buchenwald, dove rimase dal 1943 al 1944.) Dopo la guerra, come tante altre vittime di questo orrore, Margharethe W. tacque per il resto della sua vita. Solo quando si sentì vicina alla morte, spinta dal desiderio “in extremis” che finalmente si sapesse, si decise a testimoniare.
Ci sono state opere di riabilitazione e/o risarcimento nei confronti delle donne vittime della prostituzione forzata nei Lager?
Credo che tuttora sia disattesa l’opera di riabilitazione e di risarcimento delle vittime (o dei relativi familiari) della prostituzione forzata subita nei bordelli durante il nazismo.
Che messaggio si sente di dare oggi come donna e scrittrice se si trovasse di fronte ad una platea di ragazze?
Che la violenza sulle donne non è solo un problema fra uomini e donne, ma é la forma più odiosa di negazione della libertà, del progresso e della dignità individuale. Finché questo principio non sarà radicato nel genere maschile, qui e altrove, la violenza sulle donne continuerà, così come finora ha travalicato indisturbata i confini delle nazioni, dei tempi e delle civiltà.
Breve scheda bibliografica di Helga Schneider
Nasce nel 1937 in Slesia, ora Polonia. Nel 1941 Helga e suo fratello Peter, rispettivamente di 4 anni e 19 mesi, con il padre già al fronte, vengono abbandonati a Berlino dalla madre che decide di farsi arruolare come ausiliaria nelle SS. Inizia così per Helga una vita difficile: il rifiuto di una matrigna che la respinge e la interna in istituti di correzione per bambini difficili, e che le procura tanta sofferenza. Una sofferenza che raggiunge l’apice negli ultimi mesi del 1944 fino alla fine della guerra quando, insieme con altri familiari e condomini, è costretta a vivere in una cantina a causa dei continui bombardamenti degli alleati, patendo freddo e fame, e soffrendo dell’aperta ostilità della seconda madre.
Dal 1963 Helga vive in Italia, dove ha pubblicato undici libri (alcuni dei quali tradotti in 15 lingue estere), in cui racconta gli anni duri della dittatura hitleriana. Nei suoi libri autobiografici l’autrice riferisce episodi inediti come quello del suo incontro, a cavallo tra il 1944 e il 1945, con il Führer nel suo famoso bunker sotto la Cancelleria, o del suo incontro con la madre a distanza di 30 anni a Vienna, avendo ignorato fino a quel momento che é stata guardiana nel campo di sterminio Auschwitz-Birkenau. Visita che si rivela per Helga scioccante a causa dell'irremovibile fede della donna nell’ideologia nazista.
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