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Le responsabilità della politica e delle immagini

Le responsabilità della politica e delle immagini

Francesca Comencini - Il film ‘Un giorno speciale’ segna il ritorno della regista, da sempre impegnata a raccontare la realtà e l’impegno civile. Intervista a Francesca Comencini

Colla Elisabetta Lunedi, 03/12/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2012

Ci sono opere che parlano senza urlare, mostrando spaccati della realtà dei nostri tempi attraverso storie e personaggi senza orpelli, ma proprio per questo, forse, più efficaci. Ne è un esempio l’ultimo film scritto, diretto e sceneggiato da Francesca Comencini. ‘Un giorno speciale’ è tratto dal romanzo ‘Il cielo con un dito’ di Claudio Bigagli. Una lunga sequenza iniziale indugia sulla fila di case popolari tutte uguali di un quartiere della periferia di Roma, quasi a fissare bene nella mente dello spettatore l’ambiente squallido da cui i due giovani protagonisti vogliono affrancarsi. Gina, la giovane e bella Giulia Valentini alla sua prima esperienza su un set, si prepara ad un incontro ‘importante’, la cui natura non viene chiarita, con un onorevole che può raccomandarla per la sua carriera di attrice; la madre estetista la veste e la pettina quasi fosse una sposa (viene in mente Bellissima, solo con una figlia più grande, del resto la Comencini ha chiesto alla sua giovane protagonista di ispirarsi alla Magnani), mostrandola a tutto il quartiere come un trofeo da esibire. Marco, quel Filippo Scicchitano conosciuto come il simpatico protagonista di ‘Scialla’, è l’autista che viene a prendere Gina, un ragazzo al suo primo giorno di lavoro, schietto e preoccupato di fare bella figura: l’appuntamento, rimandato fino alla sera, consentirà ai due giovani di conoscersi meglio, di aprirsi e di scoprire che nessuno dei due è veramente quello che vuole far credere, finché la telefonata del parlamentare, che attende la ragazza per prestazioni ben diverse da un semplice colloquio - e che hanno tristemente caratterizzato il nostro Paese e numerosi dei suoi politici - li riporterà entrambi alla realtà. Girato in sei settimane, con un piccolo budget ma una troupe d’eccezione (basti pensare al direttore della fotografia, il grande Luca Bigazzi), il film rappresenta, secondo la Comencini, un ‘piccolo miracolo’. Fra i suoi pregi, quello di presentare una Roma fuori dagli stereotipi, che mostra luoghi-limite della città - terza protagonista del film - dalla Via Condotti dei negozi di lusso, alla periferia dei centri commerciali, alla bucolica campagna romana. Presentata alla 69esima Mostra di Venezia, la pellicola, piena di spunti di riflessione, ben s’inserisce nella filmografia della regista, da ‘Mobbing’ (Mi piace lavorare), a ‘Lo spazio bianco’, al documentario ‘Carlo Giuliani, un ragazzo’. Nel corso della conferenza stampa di presentazione del film la regista ha risposto alle domande dei giornalisti, confermando la sua 'forza tranquilla', motivando le proprie scelte ed argomentando con spessore le proprie idee, su arte e responsabilità.



Come nasce l’idea di girare ‘Un giorno qualsiasi’ e qual è per te il tema centrale del film?

Era già un po’ di tempo che volevo raccontare una storia sul mondo dei giovani che fosse anche legata a certi temi di attualità e quando ho letto il romanzo di Claudio Bigagli ho capito che era quello che stavo cercando, anche se poi nella sceneggiatura ho inserito alcune modifiche. Il film non ha un solo tema: al centro c’è innanzitutto la storia di due ragazzi, con le loro emozioni, ma dietro c’è un tema forte, di etica politica: dobbiamo chiederci, nelle nostre scelte, che valore pensiamo di dare oggi ai giovani, ai nostri ragazzi, che hanno visto e vissuto situazioni come quelle di questi anni…

 

Come hai scelto la protagonista femminile, una ragazza romana brava e piena di talento, e come vedi la relazione che s’instaura fra lei ed il giovane protagonista?

Ho cercato la protagonista andando in zone di periferia ed attaccando ovunque (nelle palestre, nelle scuole e altri luoghi frequentati da giovani) annunci dove cercavo ragazze intorno ai 20 anni per fare un film: fra le tante è venuta anche Giulia, una studentessa di Tor Bella Monaca, che non aveva mai recitato prima, e mi è sembrata quella giusta. Per tutta la storia è Gina, la ragazza, che conduce il gioco della relazione, apparentemente sfrontata e trasgressiva, ma alla fine c’è un ribaltamento, la forza e la debolezza passano dall’una all’altro. Mi ha sempre colpito vedere le ragazze che da adolescenti, nei gruppi, nei rapporti, sono più forti, più decise dei compagni maschi ma poi, crescendo, spesso si ritirano, diventano più accomodanti. Marco, il protagonista, trova proprio in Gina la forza di ribellarsi e disobbedire, perché lei dà l’esempio per tutto il film ed è ancora più insopportabile l’idea che alla fine adotti una forma di rinuncia.



Come vedi le mamme, come quella di Gina, che spingono le figlie verso il successo ‘facile’, con qualsiasi mezzo?

Nel mio film non ho voluto giudicare né la mamma e né la ragazza. Nel descrivere il rito della preparazione della figlia all’incontro con l’onorevole, che sembra quasi la preparazione ad un matrimonio, la madre è completamente in buona fede. Sono convinta che molte mamme credano veramente che questo sia il modo migliore per far ‘vivere’ bene le figlie, per dare loro tutto il meglio.



Diversi film iniziano ad affrontare il nostro recente passato….

Si, si dovrà tornare ancora per molti anni su queste tematiche, il rapporto fra maschi, potere e ‘bunga bunga’ è ancora ben presente. Non mi piace affatto che, ad esempio, l’espressione ‘bunga-bunga’, come altre, sia entrata nel nostro ‘lessico familiare’, venga pronunciata da mio figlio di 13 anni e da tanti ragazzini della sua età, e che tutti noi, compresi ovviamente i nostri figli, apprendano questo ‘linguaggio’ e vedano immagini come quelle di ragazze giovanissime che baciano facce di maiale…Noi che lavoriamo con le immagini abbiamo una grande responsabilità, dovremmo proporre immagini belle per contrastare la tempesta di immagini brutte che ha invaso il nostro Paese. Penso che si debba tornare ad una certa ‘semplicità’, e questo per me coincide con la maturità. Sono appassionata della realtà, non del realismo, ed ho voluto raccontare una storia con naturalezza: credo che il nostro Paese, se intende tornare ad una politica democratica, debba riflettere sulla ‘normalità’, per troppo tempo si è andati avanti con le rimozioni, oggi è tempo di riflettere. Ma sono convinta che ci sia speranza altrimenti non farei film, perché tutto ciò che faccio lo faccio prima di tutto come cittadina e nel finale del film, anche se sembra molto duro, credo ci sia un’apertura possibile.

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