L' autoconvocazione del 29/30gennaio 2005 - "Tutte quelle sedie sono state occupate da donne di tante città del sud e del nord, a dispetto di un Paese che implode"
Stefania Cantatore Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2005
Chi è entrata nella sede dell’UDI Nazionale per l’autoconvocazione del 29 gennaio, e a dispetto del freddo polare ha trovato tutte le sedie occupate, pur laicamente, ha pensato ad un piccolo prodigio. Sì, perché quelle sedie sono state occupate da donne di tante città del sud e del nord, a dispetto di un Paese che implode e dove nulla funziona a dovere. Non è stato facile, ma tante, se non quasi tutte le più desideranti, quelle della nuova progettualità politica sono lì, con l’incertezza del treno per il ritorno e con la certezza che sarà sempre più complicato spendere i frutti di un lavoro politico figlio di tanta passione.
La libertà, l’autonomia hanno un costo alto, e l’associazione sta mostrando di saperlo pagare, e se i bilanci sono sempre sul filo del centesimo, i contributi in lista letti da Pina Nuzzo hanno nomi e cognomi, nessun mistero. Dipende tutto da queste donne sedute in sala: vogliono l’Udi e se la pagano. Va bene così!
Il valore politico dell’autofinanziamento, la necessità di una tesseramento responsabilmente di sostegno, ma anche non simbolica adesione, un vero e proprio impegno di lavoro e di costruzione di una casa politica ambiziosa: si parla di questo perché tutte sanno di non avere a che fare solo col poco denaro che si gestisce, ma del piccolo costo di grande scommessa.
È la scommessa lanciata in un congresso dove le differenze erano tante, dove nessuna dubitava di avere la responsabilità di riprogettare lo stare in politica delle donne, di dover rispondere al silenzio assordante calato sulle idee, sulle proposte e sulle risposte politiche che le donne sanno dare.
Questa UDI che continua il suo cammino, non vuole essere il tutto di un patrimonio così sterminato come il femminismo ma tutte le anime che la compongono, i circoli di buona memoria, le Udi territoriali (si troverà mai un termine che rispecchi lo stare insieme di donne che tra alterne vicende non hanno mai gettato la spugna?), ne sono una parte esemplare, va detto.
Si sta, come avevano cominciato a delineare nell’entropia del congresso, continuando, da quelle differenze, a costruire ambiziosamente un soggetto della politica in generale corrispondente al desiderio, questo sì, profondamente condiviso, di essere paradigma per la politica maschile.
Desiderio, elaborazione e finalmente, dopo anni un’iniziativa nazionale, faticosamente ma velocemente assunta da tutte, l’esempio dell’essere condiviso delle donne dell’Udi:
“le donne chiamano” contro la guerra, contro l’idea che la politica armata possa far danni e lasciare cocci e morte altrove. senza che cittadine e cittadini ne chiedano conto; una piccola grande impresa che ha dentro di se qualcosa di inedito. L’associazione ha affidato a Lidia Campagnano la stesura del testo che ha raccolto più di 10.000 firme da tutta Italia, per chiedere il ritiro del contingente dall’Iraq. La modalità inedita per un femminismo storico, di rivolgersi a donne e uomini è la concretizzazione di un primo passo di quel progettare politica da donne buona verso le persone e dura contro il patriarcato. Un primo passo esemplare, continuando a praticare nei territori le proprie tradizioni, rispettare le identità, e rispettare le regole della condivisione di un progetto per tutta l’associazione nel Paese.
Questa nuova udi, che nei territori continua ad essere quello che è ed a proporsi a tutte attraverso la rete telematica, e che vuole regole organizzative certe per viverle fisicamente, può essere una risposta per la voglia di politica alta che come un fiume carsico emerge da tante donne che non stanno più al gioco delle promesse della parità apparente? Se la raccolta di firme è stato un successo anche in questo senso, lo vedremo il 23 febbraio quando saranno consegnate al Parlamento.
Una scommessa è però già vinta: produrre un’iniziativa pacifista fuori dalle parole d’ordine dei partiti, sullo stile “non so farlo in parlamento, aiutami in piazza”, portata a termine senza manifesti e supporter illustri, pubblicata anche su testate nazionali non per raccomandazioni, ma perché parla alle intelligenze.
Nell’enorme confusione di un paese che non riesce a far sistema intorno a nulla, intanto nell’udi il lavoro di sempre continua, soprattutto quello intorno al generare, un lavoro importante e articolato nella lunga relazione di Laura Piretti: si sviluppa attorno quello che servirebbe alla politica di tutti i livelli per cominciare un lavoro organico e dare risposte alle persone.
Generare: la complessità dei saperi, il rapporto della corporeità femminile con tecniche e possibilità scientifiche che dilatano il pensiero sulla natura, l’accoglienza del territorio, i costi e le risorse in relazione all’autodeterminazione, ma anche e sempre la conciliazione dei desideri all’interno di una condizione lavorativa sempre meno sottoposta a regole certe, ed ancora mobbing e maternità, la guerra che interrompe stagioni naturalmente regolate su passaggi di testimoni sempre più difficoltosi. Di fronte a tutto questo appare chiaramente l’importanza che questa discussione avvenga in un’associazione che si pone segnatamente come laboratorio politico per la riscrittura dei codici della cittadinanza sessuata. Leggi, come quella sulla fecondazione assistita, ma ovviamente non solo, segnano la differenza e la separazione voluta, da parte delle istituzioni, verso il genere femminile. Difficile scommessa entrare (o rientrare?) in gioco, ma che l’UDI scelga di fare la sua parte, appare inevitabile. Davanti a tutte, certamente il referendum come forte opportunità, ma anche quel che viene da una sanità pubblica sempre più ostile all’interezza femminile.
Che storia c’è dietro tutto questo! Una mostra itinerante è il tentativo di raccontarla a tutto tondo, e guardare con tenerezza ed orgoglio quelle madri e quell’essere differenti in un mondo differente, lo stile di presentazione di Marisa Ombra non permette facilonerie neanche nel trasporto dei materiali.
Marisa: l’arte di inventare, assemblare e quantificare in modo magistrale.
Dar conto di un lavoro non significa automaticamente condivisione: è il presupposto, la condizione necessaria. Tra le passioni vissute da singole e da gruppi, ci sono i tempi, si spera sempre meno lunghi, per raggiungere il sentire comune che permetta di dire “la posizione dell’UDI”, e ci sono soprattutto le regole che queste donne si sono date: le regole per la libertà.
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