Roma, non solo teatro - Dall’omonimo libro inchiesta di Ilda Bartoloni, l’adattamento teatrale di Daniela Giordano e due dibattiti sul corpo, il lavoro, la famiglia e la maternità
Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2008
Le immagini proiettate su uno schermo sono la tessitura che sostiene la narrazione di un passato, visto come indispensabile piattaforma del futuro possibile per le donne. Il corpo e la famiglia, il lavoro e le relazioni affettive, i ricordi dell’infanzia e ‘della prima volta’ sono raccontati dalle cinque protagoniste che, a partire dalle loro storie, in un intreccio sapiente - e a tratti ironico - di dialetti, età e sensibilità realizzano un affresco del femminile odierno. Tratto dall'omonimo libro inchiesta di Ilda Bartoloni, lo spettacolo ‘Come lo fanno le ragazze’ è una ricognizione di sentimenti, aspettative, paure, certezze, contraddizioni e frustrazioni femminili che l’appropriata regia di Daniela Giordano è riuscita a proporre in un efficace linguaggio teatrale. Bravissime le attrici Caterina Corsi, Federica De Cola, Cinzia Spinelli, Marzia Tedeschi, Jessica Ugatti e perfetto lo staff. “Cosa ne hanno fatto le ragazze della libertà sessuale che abbiamo loro consegnato? Come vivono la sessualità e il piacere le figlie e le nipotine di quelle donne che hanno fatto o attraversato il ’68, e si sono trovate grazie a loro con l’emancipazione in tasca e un corpo liberato? Cosa è diventata per le ragazze di oggi la gioiosa ipotesi di liberazione delle loro madri? E cosa ne sanno della loro storia, del loro faticoso percorso?”
Questi gli interrogativi ai quali intendeva dare risposta Ilda Bartoloni, giornalista Rai ideatrice e conduttrice di programmi sulle donne, quando ha scritto il libro uscito nel 2005 e oggi edito nuovamente in una versione economica. Poi l’idea si è ulteriormente sviluppata e, presentato in occasione della chiusura delle celebrazioni romane per il Centenario dell'8 marzo, il progetto ha visto la luce con il sostegno della Regione Lazio, della Provincia e del Comune di Roma. Due i convegni organizzati in contemporanea, sempre nel teatro Piccolo Eliseo di Roma con la partecipazione di scrittrici, storiche, politiche ed esperte di livello internazionale.
“L’assenza di lavoro è nemica delle donne e le politiche a favore dell’occupazione femminile sono quelle che sostengono le famiglie, cioè le madri e i padri, nell’accudimento dei figli. L’accesso ai congedi parentali per entrambi i genitori è un modo concreto di aiutare la famiglia”. E’ stata Rosy Bindi, ancora Ministra, ad aprire la due giorni di dibattito entrando nel vivo dei problemi che il titolo del convegno “E se Cenerentola fosse stufa?” sollecitava: occupazione, stipendi, servizi.
“Nel nostro paese fare la madre implica un’assunzione del lavoro di cura: non è così per gli uomini - ha osservato Emma Bonino, nella veste al momento di Ministra -. Siamo nel pieno di un fenomeno di regressione, bisogna indignarsi e in Italia manca un movimento organizzato delle donne”. Prendiamo esempio dalla Francia, dove “il contrasto alla legge sul precariato ha visto la mobilitazione persino degli studenti universitari”, come ha ricordato Aitanga Giraldi della Cgil. Gli strumenti normativi ci sono, ma non bastano e, accanto al lavoro delle Consigliere di Parità, Isabella Rauti, esperta Pari Opportunità, ritiene urgente legiferare sul mobbing, mentre occorre “mettere mano al sistema dei servizi e all’inclusione sociale” secondo Alessandra Tibaldi, Assessora Regionale del Lazio. Sempre in tema di discriminazioni è stata Francesca Brezzi, docente di Filosofia Morale all’Università Roma Tre a ricordare che “le disparità non mancano neppure nel mondo universitario e della ricerca” e Rita Corneli, della Cooperazione Internazionale della Provincia di Roma ha denunciato il lavoro sommerso delle immigrate, che “nella maggioranza dei casi fanno il lavoro di cura” e la mancanza di tutele per quelle donne in caso di maternità.
“Domandiamoci quando e perché la parola pubblica sulla sessualità femminile si è attenuata”. Edda Billi, femminista storica, è entrata senza mezzi termini nel vivo del dibattito ‘La libertà del corpo femminile’, tema di pungente attualità, affrontato sulla base della ricognizione storica di Elettra Deiana. Ma i tempi incalzano e il velo è oggi protagonista della scena come strumento di negazione del corpo femminile. “È diffusa in Italia e in Occidente una forma di relativismo culturale in nome della tolleranza e della libertà che giustifica le discriminazioni come parte di una certa cultura – ha osservato Giuliana Sgrena -. I tabù, la verginità, il delitto d’onore, le tradizioni, l’islamizzazione e patriarcalizzazione, i rapimenti, il velo, sono tutte forme di controllo della sessualità della donna”. In sintonia con questa lettura in negativo dell’integralismo religioso che cerca di riappropriarsi del corpo delle donne è la Ministra francese per le Politiche urbane, Fadela Amara, che anche in nome dell’associazione “Ni putes ni soumises” (Né puttane né sottomesse) ha denunciato “un regresso dell’emancipazione femminile”, tanto più grave visto che “la lotta femminista è una lotta universale e internazionale, perché l’asservimento delle donne è ovunque”. Determinante il ruolo delle donne al potere. “Chi lotta per la libertà non può accettare il velo, che è una forma di sottomissione delle donne. Serve una lotta di civilizzazione contro oscurantismi di vario tipo e in questo è grande la responsabilità storica delle donne al potere di condurre la lotta delle femministe senza nessuna arretramento”. Dovrebbe tornare a tintinnare il “campanello della ricreazione” che ha interrotto la lezione del “tu no perché sei femmina” ricordato dalla storica Emma Baeri, descrivendo del femminismo la potenza rivoluzionaria del self help, quell’autodeterminazione che ha “dato il coraggio della parola pubblica alle donne, facendo entrare i loro corpi nella storia”. La preoccupazione di Alessandra Graziottin, Direttore del Centro Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati di Milano, riguarda la “mancanza della consapevolezza del corpo e la capacità di una sana contraccezione”. Infatti, ha detto, “c’è un uso strumentale del corpo. Su 350.000 pillole del giorno dopo, più della metà è somministrata a ragazze tra i 14 e i 20 anni e le malattie sessualmente trasmissibili aumentano molto di più rispetto alle altre. Questo certifica il fallimento dell’educazione sessuale, l’aver ignorato il significato politico della contraccezione”. Il punto cruciale è nelle relazioni. “Da un’indagine risulta che il dialogo madri-figlie è aumentato dal 20 al 70% negli argomenti dell’estetica, palestra e shopping. Politica e cultura sono ai minimi storici. Questo significa che si è smarrito il senso più profondo del valore dello scambio, del parlarsi davvero”. E’ ancora grande il lavoro da fare per le donne, secondo la sociologa della Columbia University Shere Hite, che devono anche liberarsi di una “idea stereotipata dei maschi”, i quali a loro volta dovrebbero “riappropriarsi di una loro dimensione… definendo una nuova sessualità, un nuovo concetto di piacere”.
Lascia un Commento