Mondo/ Viaggio in Russia-2 - “La povertà è una questione seria e le donne sono le più colpite” Cristina Carpinelli, accompagna noidonne nella seconda tappa di questo viaggio
Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2005
L’autrice del libro “Donne e povertà nella Russia di El’cin” (ed Franco Angeli), Cristina Carpinelli, esperta della società russa e della transizione verso un nuovo sistema politico ed economico, accompagna noidonne nella seconda tappa di questo viaggio. La povertà in Russia oggi sotto il controllo diretto di Putin è una questione molto seria e le donne sono le più colpite. La conversazione con Cristina Carpinelli punta a far comprendere le condizioni di vita odierne di milioni di russe e le ragioni dei tanti cambiamenti.
Lei ha studiato a fondo le condizioni di vita delle donne sia nella Russia sovietica che in quella post-sovietica. Quali differenze ha riscontrato?
Non bisogna cadere nell’errore di pensare il percorso di emancipazione della donna nella pratica sovietica come un trend lineare e positivo. L’attuale involuzione femminile in Russia non è certo solo da imputare al passaggio da un’economia di piano ad una di mercato, quanto all’emergere di contraddizioni più profonde ereditate dal sistema sovietico. Nonostante l’indubbia differenza dei contesti, non è difficile individuare il riproporsi di alcuni nodi tematici che avevano segnato la vita delle donne russe negli anni del socialismo reale, seppure con modalità e intensità diverse: la contraddizione tra emancipazione e ruolo familiare, che resta aperta sia sul piano dell’identità che su quello dell’organizzazione sociale, il nodo della discriminazione e valorizzazione femminile nel lavoro e nel sociale, la differente collocazione di uomini e donne nella società in termini di potere, riconoscimento e valore.
Ma è possibile tracciare, in qualche modo, uno spartiacque che segni diversamente la posizione della donna in epoca sovietica da quella della donna nel corso della transizione russa al liberismo?
Nella storia russa dei movimenti e dell’immaginario femminile, la separazione tra sfera pubblica e sfera privata era stata motivo di lotta, opposizione e resistenza contro un sistema di tipo patriarcale che aveva storicamente assegnato alla donna il ruolo della cura della famiglia e della casa, all’interno della sfera domestica, escludendola dall’ambito pubblico, luogo della politica e del lavoro. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, questa storica separazione era stata annullata. Certo, i teorici del bolscevismo pensavano che la discriminazione della donna si sarebbe facilmente risolta con il suo ingresso nel mondo del lavoro. Una gigantesca semplificazione che ha impedito nel corso del tempo un reale confronto sul rapporto tra uomo e donna in Unione sovietica. Ma, senza negare questo limite, non c’è dubbio che se i livelli femminili d’istruzione e di partecipazione al lavoro sono da considerarsi importanti indici di misura del progresso sociale di un paese, la Russia sovietica, almeno in relazione a queste due grandezze, aveva raggiunto alti traguardi. L’economista Murray Yanovitch afferma che il punto di partenza più ovvio, per una qualsiasi analisi della situazione della donna nella società sovietica, è il tasso insolitamente alto delle donne occupate sul totale della popolazione femminile in età da lavoro. Una percentuale che i sovietici riconoscevano essere “vicina ai massimi livelli possibili”. Essa era pari a quasi due volte quella delle donne degli Stati Uniti. Così, pure, per quanto riguarda il livello di scolarizzazione femminile: alla fine degli anni Ottanta, il 61% delle donne possedeva un’istruzione di grado superiore. La combinazione di questi due fattori, insieme alla possibilità di potere contare su un sistema di welfare dal carattere universale (non rivolto esclusivamente alle fasce sociali non protette) e che includeva in sé tutte le forme di garanzia e di trasferimenti sociali, faceva sì che la posizione economica e sociale della donna non fosse così svantaggiata e vulnerabile come lo è oggi nella Russia indipendente. Con il processo di dissoluzione dell’Unione sovietica e con la radicale trasformazione dei modi e dei rapporti di produzione, l’antica separazione tra sfera pubblica e sfera privata è riemersa con prepotenza sino a esplodere in tutta la sua virulenza a seguito dell’affermazione di un mercato al di fuori di ogni sistema di regole e tutele. Il regresso attuale della donna russa è forse il segno più evidente della crisi di un’intera società. In un contesto di miseria generale, dove ancora agli inizi del nuovo Millennio un cittadino su tre vive sotto la soglia di povertà, l’affermazione del principio di pari opportunità e di parità è reso impossibile. Le difficoltà economiche e la disoccupazione suggeriscono alle donne russe risposte al limite della dignità e dell’accettabilità sociale. Il contrasto è stridente ed è, in una qualche misura, sovrastimato, a causa della perdita quasi totale dei diritti economici e sociali della donna post-sovietica.
Si parla di femminilizzazione della povertà. E’ un’esagerazione oppure la situazione è così catastrofica?
Purtroppo non è un’esagerazione. L’analisi dei livelli di povertà delle famiglie conferma l’emergere della femminilizzazione della povertà anche in Russia, intendendo con ciò il fenomeno per cui le donne costituiscono una porzione sempre più elevata di assistiti e poveri. Molti studiosi occidentali hanno già da tempo considerato la povertà femminile come uno dei fenomeni più significativi degli anni Ottanta e Novanta sia nei paesi in via di sviluppo sia in quelli sviluppati. Essa è in genere interpretata come un effetto della globalizzazione, che ha messo in moto processi contraddittori: convergenza/divergenza; stagnazione/crescita. Laddove si sono manifestati tassi di crescita rallentati o, addirittura, in ribasso, e un aumento delle disuguaglianze, si è parallelamente assistito ad un incremento della povertà femminile. Per quanto riguarda le economie in transizione, come quella russa, i programmi di aggiustamento strutturale imposti dal Fondo monetario internazionale hanno generato alti livelli di disoccupazione, la divaricazione della forbice sociale e lo smantellamento della rete di sicurezza sociale. E’ chiaro che le prime ad essere allontanate dal mercato del lavoro, a subire le conseguenze dell’iniquità di reddito e della distruzione dello stato sociale sono state le donne. I meccanismi impietosi delle economie in transizione hanno prodotto forme estreme e stagnanti di povertà tali per cui oggi le donne in Russia risultano essere “le più povere tra i poveri”. Inoltre, il metodo di rilevazione della povertà ufficialmente adottato in Russia, basato sul confronto tra redditi monetari nominali e livelli ufficiali di sussistenza, tende ad offuscare lo stato reale d’indigenza della popolazione. Soprattutto di quello delle donne, che essendo state più colpite degli uomini dalla contrazione del mercato del lavoro, nel corso della transizione liberista, hanno dovuto maggiormente concentrare i propri redditi nell’economia informale. E poiché la gran parte di questi redditi sono generalmente più bassi sia in termini monetari sia come merci o servizi (l’economia russa negli anni Novanta è stata pesantemente demonetizzata, causando la diffusione di pratiche quali il baratto), le statistiche di fatto forniscono una stima per difetto dei livelli femminili di povertà.
Anche in Russia ci sono state trasformazioni che hanno portato alla luce realtà sociali come quella delle donne (madri e anziane sole, vedove, separate o divorziate) che devono provvedere autonomamente al proprio sostegno e a quello dei figli o di altri componenti del nucleo familiare, e che hanno concorso all’impoverimento?
Si. Sono trasformazioni che hanno fatto la loro comparsa negli anni Ottanta e che si sono rivelate particolarmente drammatiche in questo paese, piuttosto che in altri con economie più solide e stabili, deprivando in modo particolare le famiglie monoparentali con la donna capofamiglia e quelle unipersonali costituite prevalentemente da pensionate di età avanzata.
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