Il racconto di un femminicidio dovrebbe essere ben calibrato anche nell'utilizzo di parole, che possono indurre a facili giudizi di valore contro le vittime di violenza sessuata.
Giovedi, 26/09/2013 - Sin dal ritrovamento del cadavere di Marilia Rodrigues Martins i resoconti giornalistici non definivano la vittima per sé stessa, ma per “la brasiliana”, anzi, “la bella brasiliana”. Sembrava proprio obbligatorio pensare a lei per la sua avvenenza fisica e non per la circostanza che fosse l’ennesima vittima di femminicidio. Indubbiamente un pensiero macabro, se lo declina con l’evento che ha messo fine ai suoi giorni. Eppure delle altre donne assassinate dai loro uomini non se ne legge in tali termini, perché a nessuna mai sfiorerebbe l’idea di coniugare l’uccidere con i pregi estetici della donna assassinata. Per Marilia, invece, sì, da quella definizione automaticamente sarebbe dovuto discendere, come conseguenza altrettanto naturale, che lei fosse “una dai facili costumi”, quasi a voler costringere la nostra mente ad un giudizio che nasce estetico e si conclude moralistico.
Invece non è stato qualificato come “il cattivo italiano” il suo assassino, ossia Claudio Grigoletto, il titolare della società per cui la donna lavorava. Non si è puntato il dito immediatamente su di un uomo che aveva sì moglie e figlie in tenera età, ma nel contempo intratteneva una relazione con la vittima. Si è preferito attendere i debiti riscontri oggettivi per riuscire a confutare la tesi iniziale per la quale si pensava ad un suicidio di Marilia. La presenza di acido muriatico e di un impianto a gas manomesso, difatti, avevano, nell’immediatezza della scoperta del cadavere, indirizzato gli inquirenti a tale orientamento investigativo. Durato poco, a dir la verità, perché, man mano che pervenivano i risultati delle singole analisi scientifiche, l’impianto iniziale franava via via. Si è pervenuti così a formulare nei riguardi di Claudio Grigoletto l’accusa di omicidio con tanto di dovute prove, così specifiche che l’uomo si è dichiarato colpevole. Senonchè nella ricostruzione dell’evento l’assassino ha dato una particolare versione, già peraltro confutata dagli investigatori e gettata nel cestino delle verità di comodo. Il reo confesso ha parlato di movimenti inconsulti di Marilia in seguito ad una caduta al culmine di una lite, perché la vittima voleva raccontare alla moglie dei suoi tradimenti e minare in tal modo l’unità familiare costringendolo ad andare via di casa.
Per chi legge la notizia si ribaltano nel racconto di parte i ruoli e così Marilia diventa anche cattiva, ossia la donna perfida che prima fa innamorare di sé l’uomo e poi lo ricatta. Eppure la madre della donna assassinata, giunta dal Brasile, con toni estremamente pacati ha raccontato del desiderio della povera figlia di vivere in Italia con la persona che amava e a cui avrebbe presto dato il figlio che aveva in grembo. E’stato proprio il comportamento avuto da questa donna davanti alle telecamere, il suo incedere lento, ma fermo, nel racconto, il suo perdono esplicito, congiunto altresì alla richiesta di giustizia per la figlia uccisa, che mi ha indotto a pensare a quanto sia facile con le parole far morire due, tre e tante altre volte Marilia.. Sì bella, affascinante, ma anche rovina famiglie, mangia uomini, cattiva.
A noi, fruitori di fatti di cronaca sempre più intrisi di sangue femminile, è facile cadere nella trappola dei facili giudizi di valore. Se solo ci fermassimo un po’, se solo entrassimo idealmente in quelle vicende dolorose con un atteggiamento scevro da posizioni preconcette, se solo ci spogliassimo dei comodi luoghi comuni sulle varie tipologie di persone protagoniste degli accadimenti portati a nostra conoscenza, allora vedremmo i fatti per quelli che sono. Ossia un uomo che voleva continuare a tenere Manilia come amante e che non ha per nulla gradito l’idea che la donna potesse volere un figlio da lui. Un figlio d’amore ucciso dall’odio che quell’uomo ha riversato sulla vittima, perché non voleva rimanere solo ed esclusivamente la sua amante. Di Claudio Grigoletto ora si occuperanno le cronache giudiziarie, di Manilia Rodrigues Martins si dirà che, a prescindere dalla sua bellezza e dalla sua nazionalità, è stata l’ennesima vittima di femminicidio, punto e basta.
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