Cultura/ Dedicato a Marisa Zoni - “Le parole accanite fanatiche strillate infilate l’una dietro l’altra in tante collanine variegate, (…) ordini di un canto superiore sorretto da regole, motivi e sintassi proprie” scrive, di Marisa Zoni, Paolo V
Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2005
Marisa Zoni è nata nel 1937 a Castel San Pietro Terme e vive a Bologna. Il suo primo libro di poesie, Testa o croce del soldone (Editrice Quadrivio) è del 1959. Sono seguite, tra le altre pubblicazioni, La scarpinata (Mondadori, 1967); Per una terra isolata (La Pergola, 1974); Dove l’Italia si vede (in collettivo, Guanda, 1978); La quota rovente (Artegrafica Moranti, 1990); La scommessa (Conte editore, 1994); Come un metallo o un tamburo (Manni, 1999); Tu paria dai mille occhi (Pendragon, 2004) dal quale sono stati tratti i testi qui presentati. Marisa Zoni ha conosciuto e collaborato con alcuni tra i più grandi letterati e poeti del Novecento: Paolo Volponi, Lalla Romano, Vittorio Sereni e Roberto Roversi. Nel 1971 Pier Paolo Pasolini sceglie e pubblica su Nuovi Argomenti (che ai tempi dirige con Alberto Moravia e Alberto Carocci) alcune sue poesie. Verso la fine degli anni Settanta Marisa Zoni fonda una tra le prime associazioni in Italia che difendono i diritti civili dei tossicodipendenti. A Bologna collabora con la Cooperativa Dispacci fondata da Roberto Roversi. Di lei ha scritto Gianni d’Elia nel 2001: “Le sue poesie sono tutte un lungo periodo, frantumato da versi brevissimi, pieni di snodi e sorprese ulteriori; pettini stretti e spezzati, che ripassano sul reale e sul desiderio il loro gesto d’amore, di verità accusata”. In queste parole vengono centrati due degli aspetti principali della poesia della Zoni: una tendenza al frammento che verticalizza il dettato spezzando il respiro in un ritmo serrato e contraddistinto dalla quasi assenza di punteggiatura; e un periodare secco che spesso racchiude l’intero testo, quasi che ogni poesia fosse una freccia, un proiettile compatto che entra nella sensibilità del lettore. Come già nell’esperienza di Ungaretti, la guerra e il dolore asciugano il linguaggio, lo puliscono dalle scorie dando valore alla parola e al silenzio che la racchiude; nella poesia allora rimane l’essenziale per esprimere l’inesprimibile. Roberto Roversi ha scritto nella prefazione de La quota rovente: “una bella e forte comunicazione questa della Zoni: vitale, attiva, spesso alta. Sento di dover leggere il continuo ribattere sulla verità atroce della vita reale odierna, sminuzzata in queste pagine in cento frammenti che bruciano. Così ogni testo è come il pezzo bollente di una bomba appena esplosa.”. Si potrebbe definire la poesia della Zoni come poesia civile, se per tale definizione si intende la possibilità finale di denuncia: l’urlo che rimane in questi tempi incerti ed insicuri. Ed è proprio un urlo che emerge dalle cuspidi appuntite dei testi di Tu paria dai mille occhi, frecce che non possono lasciarci indifferenti, che ci svegliano dal torpore saturo provocato dalle immagini di troppe guerre.
Da Tu paria dai mille occhi (Edizioni Pendragon, Bologna 2004)
***
Le madri sono secoli
che piangono i figli
Del loro ventre delle
giornate adoperate
a crescerli: i bimbi
delle guerre hanno
occhi sfaldati
resi cupi dalle botte
del vento dal rumore
dei sassi calpestati
i figli sanno che
la terra li considera
semi: altre voci
verranno e in musica
canteranno per loro
qualcosa.
***
Nelle guerre chi
ci guadagna non
ha fame non scappa
non sale sul mare
con le zattere
nelle guerre chi mangia
ride si veste si lava
ha figli lievitati
dai cibi noi avevamo
sete come torturati
noi con gli occhi
ci mangiavamo
le nuvole.
***
Attaccarsi
alle rocce
stare in bilico
una notte
per sapere se hai
infilato il piede
nello stivale
se questa terra
ti vuole se qualcuno
ti manda indietro
tu paria
dai mille occhi.
***
Oggi che sappiamo
Che il sole ritorna
E dopo aver restituito
all’aria la cavalletta
di Lecce
oggi siamo positivi
vogliamo un caffè
coop in offerta
tre sacchetti
vogliamo baciare
il vento che corre
la ragazza che offre
il suo corpo all’angolo
di via Arno
alta bella
libellula stretta
da manette indegne.
***
Le donne
la loro fortuna
nel mondo
la loro sapienza
attorcigliata
alle vite castrate
tirate insulse
sacrificate
di migliaia
di altre: alle
altre mi unisco
sono con voi
donne del mondo
faccio un soffritto
che illumina
la casa ho un
geranio nutrito
di lacrime secche.
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