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Le occasioni perdute delle donne ‘potenti’

Le occasioni perdute delle donne ‘potenti’

A proposito di Grecia - Quando hanno il potere dimenticano di cercare idee nuove nella loro antica cultura di genere. Peccato

Giancarla Codrignani Domenica, 06/09/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2015

 Bisognerà che anche noi diciamo qualcosa a margine - le donne sono sempre "al margine" - di ciò che è successo in Europa per la tragedia dei greci (e delle greche) che si è rappresentata a Bruxelles. Le osservazioni che può fare il nostro genere (attente al "gender", sommerso in questi giorni da incredibili accuse da parte cattolica!) non sono poche: già il fatto che parole come "i greci" - o "gli europei" - stiano a indicare l'intero popolo può essere normale quando la crisi economica, come il terremoto, sconquassa uomini e donne. Ma intanto conferma che non esiste nessuna rappresentanza critica "di genere", nessuna competenza politica che rappresenti il contributo femminile alla discussione: evidentemente nel 2015 abbiamo fatto passi avanti soltanto nell'essere brave, forse più brave, nelle competenze neutre, come dimostrano Merkel, Lagarde, Mogherini. Potrebbe bastare, non fosse che, in questo caso, l'empowement è rimasto emancipazione e omologazione. Non rispondiamoci che la Merkel non è mai stata femminista: lo sappiamo bene, ma, in quanto alla rappresentanza, ha dimostrato il diritto femminile a fare la stessa carriera politica di un uomo, non a contribuire a dare voce propria alle donne quando sono in gioco i problemi della popolazione. Le donne nello Stato subiscono. Più o meno come in famiglia. Più o meno come nel lavoro. E il gioco dell'oca torna alla casella iniziale…



Quindi torniamo anche noi dentro la complessa materia di una crisi che non è stata un conflitto fra buoni e cattivi, fra Tsipras e Merkel. Spero che nessuna pensi che si è gridato al lupo mentre il lupo non c'era. I lupi ci sono ancora tutti e hanno i denti pronti a sbranare tutti, soprattutto perché si trovano in una strada senza uscita e non si arrenderanno senza continuare a cercare agnelli da sbranare. Il neo-capitalismo, da quando è diventato più finanziario che economico, procede sulla ben nota strada delle distruzioni e attenta gli equilibri democratici. Tuttavia sta anch'esso collocato dentro l'onda della trasformazione radicale a cui la storia ha pilotato la globalizzazione e ormai gestisce il dominio nel vuoto virtuale e improduttivo dei derivati, delle bad bank e della compravendita perfino dei debiti di paesi insolventi.

Come cittadine democratiche e moderne sappiamo (sappiamo?) che si dovrebbero evitare gli effetti di crisi non volute, per non subirne i dolori. Ripassando la storia europea del secolo scorso vediamo i nessi che collegano i default economici alle due guerre mondiali e a fascismo, nazismo, franquismo, salazarismo, petainismo: forse non dobbiamo perdere l'opportunità di tentare di capire dove va l'Europa. Che è la sola concreta speranza che abbiamo per rendere proficua l'interdipendenza.

Se, infatti, l'Europa fosse stata una vera "Unione" avrebbe avuto non solo una moneta unica, ma anche un bilancio unico e una legislazione fiscale unica. E il caso greco non sarebbe mai nato. Se ci sentissimo davvero europei - magari in attesa di diventare cittadini/cittadine del mondo - capiremmo perché la sovranità nazionale - lo dice esplicitamente la Costituzione italiana - deve compiere un passo indietro davanti alla sovranità europea. E capiremmo che è una follia che 28 paesi spendano 28 caterve di miliardi in eserciti nazionali incapaci di reale difesa.



Oggi la confusione non è poca e chi "sta a sinistra" si è trovato al fianco di Beppe Grillo, Salvini e Melloni; per non citare Le Pen, Farage e Alba Dorata. Intanto le socialdemocrazie del Nord Europa, ormai impossibilitate a far crescere il benessere sociale, hanno ceduto il governano alle destre e assistono alla crescita di strani partiti: in Finlandia i "Veri finlandesi", in Danimarca il "Partito popolare danese", in Norvegia il "Partito del progresso" (quello dell'attentatore Breivik), in Svezia i "Democratici svedesi"; mentre nella Germania dei cristiano democratici della vecchia CDU è cresciuta l'Alternative fur Deutschland temuta dalla Merkel e Pegida, il Partito degli Europei contro l'Islamizzazione. È la vecchia lebbra del nazionalismo che, quando i tempi si fanno complessi, si fanno forti della difesa dello "spazio vitale", dispiegando la grande trappola in cui cadono gli umani istinti egoistici quando si diffondono paure e insicurezze.

L'Unione non era un'utopia nemmeno per i fondatori della Lega della Pace e della Libertà che, nel 1867, volevano una federazione repubblicana europea e una Costituzione comune per prevenire le guerre e rappresentare una garanzia di pace fra le nazioni. Se pensiamo al titolo della loro rivista, Les Etats-Unis d’Europe, ci domandiamo perché abbia avuto così poco ascolto la Carta di Ventotene e perché Altiero Spinelli in quel Parlamento europeo eletto nel 1979 con così grandi speranze, si trovò con le mani legate dal prevalere dei poteri decisionali del Consiglio dei capi di governo, quasi una troika, e si dovette educare alla pazienza. Ma i profeti anche se hanno vita dura, restano “i saggi”; il guaio, anche per loro, è quando la saggezza sembra incompatibile.

Le donne hanno saggezza secolare, non vorrebbero mai risolvere i problemi con le sfide (e le guerre), non amano i debiti, hanno loro ricette per superare i sacrifici, sanno che la solidarietà è un interesse e non una virtù. Ma quando stanno nelle Università, nelle dirigenze d'impresa, nei partiti, movimenti e governi si ritrovano così imbevute del pensiero unico che dimenticano di cercare idee nuove nella loro antica cultura di genere. Peccato.





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