Le nuove frontiere della maternità. E del biodiritto.
Parliamo di Bioetica - La dissociazione della sessualità dalla procreazione grazie alle nuove tecnologie riproduttive ha reso possibile la non coincidenza tra chi ha partorito e chi ha generato il figlio
Battaglia Luisella Mercoledi, 28/05/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2014
Lo scambio di embrioni avvenuto nel Centro di fecondazione assistita dell’Ospedale Pertini di Roma ha creato una situazione senza precedenti sia dal punto di vista umano che giuridico. Una situazione - occorre tuttavia aggiungere - imputabile non all’impiego di una tecnica ormai ampiamente collaudata ma ad un terribile errore umano, per certi aspetti vicino - come taluni hanno suggerito - allo scambio di neonati in culla. Le differenze sono tuttavia evidenti e tali da sottolineare la novità sconvolgente dell’evento: l’impianto in utero di embrioni di un’altra coppia rende la donna una ‘madre portatrice’, suo malgrado. Esistono, come è noto, madri per contratto che si impegnano a consegnare il bimbo al termine della gravidanza alla coppia committente: è il caso del cosiddetto ‘utero in affitto’ che prevede un compenso in danaro e che considera la gestazione come una sorta di lavoro retribuito. Ma vi è anche chi diventa madre portatrice per un atto di amore, specie nell’ambito familiare, il che colloca il gesto sul piano oblativo. Tuttavia, nel caso in questione, la donna è una madre portatrice ‘involontaria’, in quanto ha subito una maternità surrogata e si trova coinvolta suo malgrado in una storia familiare che non le appartiene. Ciò apre scenari totalmente inediti sul fronte del diritto: i gemelli che nasceranno avranno in teoria quattro genitori, due biologici e due sociali. Come configurare questi rapporti sul piano legale e soprattutto, umano? E ancora, chi è la ‘vera’ madre? Quella che partorisce - come è previsto dalla legge italiana - o colei che ha una parentela genetica coll’embrione? Il nostro codice civile stabilisce infatti che la filiazione si prova con l’atto di nascita in cui è annotato il nome della donna che ha partorito: per il legislatore del 1942 - ma anche per i legislatori successivi che non hanno ritenuto di dover intervenire su questo punto - non vi sono dubbi: madre è colei che ha partorito perché è anche colei che ha concepito il figlio. Sennonché, con le nuove tecnologie riproduttive, la dissociazione della sessualità dalla procreazione ha creato nuovi situazioni, rendendo possibile la non coincidenza tra chi ha partorito e chi ha generato il figlio (come, appunto, nel caso della maternità surrogata, peraltro non ammessa nel nostro ordinamento).
La vicenda drammatica del Pertini polverizza dunque decenni di certezze giuridiche chiamando il pigro legislatore a regolare il rapporto straordinariamente complesso tra la coppia che farà nascere i gemelli e quella che, avendo fornito il materiale genetico, si sente comprensibilmente legittimata nel chiedere la restituzione dei figli che nasceranno. Cosa prevarrà - ci si è chiesti - la legge del cordone ombelicale o la legge del DNA? Come decidere delle buone ragioni di entrambe le coppie? Ma, soprattutto, qual è l’interesse primario da tutelare? Certo quello dei neonati. Ma chi potrà con certezza stabilirlo?
Si tratta di interrogativi che ci danno il senso della complessità delle sfide che siamo chiamati ad affrontare, nella consapevolezza che ogni progresso scientifico rende più difficile il diritto e la morale. In casi come questo avvertiamo l’insufficienza delle regole generali e la necessità di un attento discernimento che consideri le condizioni concrete in cui un evento si svolge. Certamente un nuovo diritto, il biodiritto, dovrà dare risposte alle situazioni non previste dai vecchi codici, prendendo in seria considerazione le nuove realtà create dalle biotecnologie e configurando doveri, diritti e responsabilità per il mondo che ci attende. Sul piano propriamente etico e bioetico credo tuttavia che questo caso, per la sua stessa drammaticità, ci chieda di uscire dalla logica stringente dei diritti in competizione per accedere alla dimensione della cura, di quell’etica della responsabilità che il pensiero delle donne ha valorizzato e rivendicato come propria del mondo femminile e legata all’esperienza della maternità. L’etica del prendersi cura ci ricorda che siamo soggetti in relazione, non atomi isolati gli uni dagli altri, e che la vita stessa è un tessuto di relazioni a cui tutti apparteniamo. Le due coppie, che hanno intrapreso la stessa trafila biomedica per realizzare il loro desiderio di genitorialità, si trovano loro malgrado protagoniste di una storia dal futuro incerto che potrà generare o un conflitto doloroso, quale ne sia la soluzione sul piano giuridico, o una condivisione responsabile fondata su una coraggiosa elaborazione del ‘lutto’ che le accomuna.
In tale ottica non si può non rilevare che la donna che ha scoperto di aver ricevuto l’impianto di embrioni non suoi ha subito un danno incalcolabile sul piano biologico e affettivo ma, assumendosi l’impegno di portare a termine la gravidanza, sta dando prova di una generosità non comune. Si ‘prende cura’ di embrioni altrui, li custodisce in sé, li porterà alla nascita, da vera madre. “Questi bimbi - ha dichiarato - vivono dentro di me, li ho sentiti battere sul mio cuore, crescono e sono sani. Come posso decidere del destino di due creature così attese?” Da qui la sua decisione di continuare la gravidanza: ”I nostri valori sono questi”. È impensabile, pertanto, che non possa essere considerata anch’essa ‘madre’ nella prospettiva - auspicabile - di una famiglia allargata che sappia trovare le ragioni della solidarietà e della condivisione degli affetti. Certo, perché ciò possa avvenire, occorrerà l’intervento mirato e puntuale del legislatore, chiamato a regolare in modo specifico tutti gli aspetti problematici della vicenda, ma anche quello di un’équipe che segua le coppie per sostenerle e assisterle, se lo riterranno opportuno, sul piano psicologico e sociale. Vedremo se vincerà, al di là del diritto, sul piano etico e affettivo, il principio della responsabilità e della cura.
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