Iran - Vestite di nero, con i ritratti di mariti, figli e fratelli scomparsi o uccisi, ogni sabato dall’estate 2009 manifestano nel Parco Laleh, a Tehran. Piangono e lottano per le centinaia di iraniani vittime del governo
Antonelli Barbara Lunedi, 18/04/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2011
La liberazione dei prigionieri per i reati di opinione, il processo ai responsabili delle incarcerazioni, torture e uccisioni avvenute dopo le elezioni presidenziali del giugno 2009, l’abolizione della tortura e della condanna a morte. Sono queste le richieste delle Madri di Parco Laleh.
Come le Madri argentine di Plaza de Mayo, come le Donne in Nero nate a Gerusalemme alla fine degli anni Ottanta, e le donne curde del Galata Sarai, a Istanbul, con le foto dei loro figli scomparsi. Come loro, le Madri in lutto iraniane, le madri del sabato, non permettono che l’ingiustizia subita dai loro mariti, figli, fratelli venga dimenticata.
Oltre 6000 iraniani sono stati arrestati a partire dal giugno 2009, secondo i dati diffusi dall’organizzazione Human Rights Watch. Molti di loro rimangono in detenzione senza alcuna specifica accusa.
86 persone sono state uccise dall’inizio del 2011, secondo i dati diffusi da 6 organizzazioni in difesa dei diritti umani (tra cui HRW, Amnesty, Reporters Without Borders). Almeno 8 tra quelli uccisi a gennaio erano prigionieri politici, accusati di “moharebeh” cioè di “ostilità a Dio”.
Maryam Hekmatshoar, attivista iraniana trapiantata in Germania, del gruppo a sostegno delle Madri del Parco Laleh racconta: “Nel 2009 dopo le elezioni presidenziali in Iran, quando si scoprì che quelle elezioni erano state truccate, centinaia di migliaia di manifestanti scesero in piazza a Tehran, e tante donne accorsero per sostenere le Madaràn Azadàr, le madri in lutto”.
Il 20 giugno, Neda Agha-Soltan, una ragazza che manifestava a Tehran, nei pressi del Parco Laleh (il Parco dei Tulipani), durante le proteste duramente represse dalle autorità, fu brutalmente uccisa e la sua morte ripresa da un video amatoriale che ha fatto il giro del mondo. Una settimana dopo, le madri che non avevano avuto il permesso di seppellire i loro figli vittime di quelle repressioni, né di piangerli, decisero di manifestare in quel luogo, nel Parco dei Tulipani. Contro gli arresti di massa dei dissidenti, contro una politica repressiva che nega alle associazioni e ai movimenti anche di manifestare. Contro chi non ha permesso alle famiglie nemmeno di rivedere i corpi dei propri cari.
Una decisione nata e sostenuta dall’appello di Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace 2003, che nel corso di una manifestazione a luglio del 2009, da Amsterdam, invitò le donne di tutto il mondo a ritrovarsi nello stesso giorno e alla stessa ora, ogni sabato alle 18.00, in un parco delle loro città. Così altre donne in paesi europei si sono mobilitate per dare voce alle Madri del Parco Laleh, organizzando gruppi di sostegno e proteste nei parchi di tutto il mondo, a Oslo, Dortmund, Francoforte, Amburgo, Londra, Parigi, Vienna, Los Angeles. In Italia, quell’appello è stato raccolto dalle Donne in Nero, che a fine febbraio hanno rilanciato una campagna a loro sostegno. “Non solo in segno di solidarietà - spiega Luisa Morgantini, già Vice Presidente del Parlamento Europeo - ma perché ci riconosciamo nella forza che le donne hanno nel respingere la violenza.”
Dal giugno del 2009 le madri iraniane, in silenzio, vestite di nero, con in mano i ritratti dei loro figli uccisi o incarcerati si sono radunate ogni sabato. Per mesi. La polizia governativa ha cominciato ad assalirle, maltrattarle, arrestarle, ripetutamente, ma loro hanno continuato. A metà gennaio sempre Amnesty lanciò un appello per la liberazione di 33 madri, malmenate dalla polizia (10 finirono in ospedale) e incarcerate nel centro di Vozara (a Tehran). Ora le autorità iraniane hanno deciso che nemmeno la protesta silenziosa e pacifica è più consentita.
“Sono idealmente le madri di tutti gli iraniani, dei condannati a morte, dei torturati, dei prigionieri politici. Non piangono né chiedono giustizia solo per i loro figli ma per tutti quelli che sono stati dimenticati, che non hanno nemmeno più una madre che pianga per loro”, spiega ancora Maryam Hekmatshoar.
Tra le donne iraniane in prigione ancora oggi, ci sono attiviste, avvocate, giornaliste, studentesse. “Come è avvenuto per una mia stretta collaboratrice - spiega Shirin Ebadi - Nasrin Sotudeh, che conosco da oltre 20 anni e che da sempre combatte contro la pena di morte.” Nasrin è in carcere da oltre 6 mesi, condannata a 11 anni di reclusione e 20 di interdizione dalla professione di avvocato. “Nei giorni successivi al suo arresto (avvenuto a settembre 2010, ndR) - continua Ebadi - le hanno chiesto di testimoniare contro se stessa, lei non ha accettato e la persona che la interrogava ha giurato che avrebbe chiesto al giudice di darle più di 10 anni di carcere. I tribunali iraniani non sono indipendenti, ma ‘a disposizione’ degli agenti governativi. Ho presentato il suo caso all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e Navy Pillay ha promesso di dare assoluta priorità al caso di Nasrin.” In carcere, Nasrin ha rifiutato di mettere la benda sugli occhi per incontrare i suoi familiari, quindi le autorità le hanno negato tutte le visite; solo a metà febbraio è riuscita a vedere i suoi figli, di 4 e 11 anni, per la prima volta da settembre.
“Dopo la Cina, l’Iran è il paese con il più alto numero di pene capitali - spiega il Premio Nobel - negli ultimi 2 anni le esecuzioni sono triplicate, e tra le persone giustiziate vi sono anche i detenuti politici, tra cui anche minori. In Iran infatti l’età della responsabilità penale è molto bassa, 15 anni per i maschi e 9 anni per le femmine, questo vuol dire che se una bambina commette un reato, può essere giustiziata.”
Il sito ufficiale in lingua inglese delle Madri del Parco Laleh è:
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