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Le indios Huaorani per l’ambiente e lo sviluppo dell’Amazzonia ecuadoriana

Le indios Huaorani per l’ambiente e lo sviluppo dell’Amazzonia ecuadoriana

Ecuador: viaggio nell’alleanza delle diversità / 4 - I petroleros costrinsero gli Huaorani a lasciare la loro terra in cambio di beni di consumo e agli Huaos furono commissionati omicidi e stragi di altre etnie. Accadde dal 1967, dopo la scoperta delle

Di Pietro Maria Elisa Martedi, 21/04/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2009

Nel 1943, a 5 anni, Dayuma fu la prima a lasciare la comunità di Banemo, nell’Oriente ecuadoriano, in fuga dalle consuete lotte tra tribù per la contesa del territorio. Accolta e istruita da una religiosa, fu esibita come “selvaggia della giungla” ai telespettatori statunitensi, attirando attenzione sulla sua gente. Oggi, al suo posto, la piccola Wene corre e si lancia sulle liane, tra alberi e arbusti della selva, vestita di una sola collana con appeso un dente di delfino. Dal 1967 la scoperta delle grandi riserve di petrolio presenti in quest’area ha inciso sul territorio e le condizioni di vita degli Huaorani. I petroleros li manipolarono per costringerli o convincerli a sfollare le terre in cambio di beni di consumo irrilevanti e di occupazioni temporanee e malpagate presso gli impianti; agli Huaos furono commissionati omicidi e stragi di altre etnie. L’ingresso nelle aziende petrolifere, così profondamente destabilizzante per le comunità della selva, è stato anche la prima tappa di un itinerario al femminile. Mentre i giovani erano reclutati sottocosto, le donne si resero conto per prime dell’emergenza che le attività petrolifere stavano diffondendo: infezioni cutanee, cefalee, sifilide e alcolismo; il cancro, che nelle zone petrolifere causa il 32% dei decessi (oltre il doppio della media nazionale), è una piaga soprattutto femminile, come l’epatite e i danni all’apparato riproduttivo. Di qui la reazione, sorretta dalla dottrina sociale egualitaria degli Huaos, che esige rapporti di genere paritari. Le donne sono mediatrici: trasmettono il valore della solidarietà familiare e un’autentica cultura ecologica mediante usi, prassi agricole e artigianali; veicolano la comunicazione tra comunità tramite radiotrasmittente per saluti, informazioni, rifornimenti e passaggi in canoa. Tengono un dialogo aperto con le compagnie petrolifere, anche dopo aver provocato lo scontro che, tra il 2004-2008, ha portato alla denuncia e alla sospensione delle attività.Le testate latinoamericane titolarono: “Indigene dichiarano guerra a Petrobas in difesa delle loro terre”; “Donne vittime del petrolio e protagoniste della resistenza”. Decise a sottrarre i figli al lavoro sottopagato, consapevoli dei rischi ambientali e sanitari, hanno affiancato e sollecitato gli uomini nell’opposizione all’apertura dei pozzi al settimo Congresso del Popolo Huao. La posizione femminile ufficiale fu espressa nel 2005 dall’Associazione delle Donne Wuaorani dell’Amazzonia Ecuadoriana, costituita dal Consiglio Nazionale delle Donne Ecuadoriane con ruolo propositivo e l’obiettivo di migliorare la qualità della vita difendendo i valori tradizionali. La Presidente, Alicia Cahuiya, sollecitò la rescissione dei contratti petroliferi, la visita del Relatore Speciale per i diritti indigeni e la moratoria decennale delle attività petrolifere. Seguirono inchieste, denunce e manifestazioni a #foto5sx#partecipazione femminile.Di pari passo alla lotta contro le multinazionali del petrolio, negli ultimi anni è migliorata l’offerta ecoturistica. Gli indios credono che l’autogestione giovi alla conservazione del territorio e offra opportunità di guadagno. Riservano ospitalità e premura a turisti selezionati, interessati a conoscere la realtà locale e disposti a offrire aiuto e assistenza. Il rischio sta nell’eventualità che si arrechi disturbo ai pueblos ocultos, cioè Tagaeri e Taromenane, due etnie Huaos in isolamento volontario dalla civiltà nella Zona Intangibile della Riserva Etnica.

I danni causati dalle compagnie petrolifere sono più evidenti nei villaggi vicini alle strade, resi artificiosi dall’impronta della civilizzazione, mentre il tenore di vita tradizionale resiste nelle comunità interne, dove operano missionari e volontari. Lo stile di vita femminile si adegua alla modernità: le anziane portano orecchini di legno che le giovani hanno smesso; nella quotidianità tutte indossano abiti sportivi e il costume tipico solo per danze tradizionali o nella selva; le ragazzestudiano o lavorano in città; le più piccole frequentano scuole missionarie o aule fatiscenti in luoghi remoti. Tra indios il razzismo è impensabile per la riconosciuta corrispondenza di valori comuni, ma nel Paese i pregiudizi razziali verso gli indigeni sono radicati.

Gli Huaos rivendicano diritti in quanto individui e in quanto popolo. Non inseguono i sogni di benessere del mondo civilizzato, ma aspirano a vivere con dignità, secondo scelte e valori propri, nel modo corretto d’intendere la Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo (1992).

Campagna Yasunì


Il Parco Nazionale e Riserva Mondiale di Biosfera Yasuní è la conca amazzonica con una della più alte biodiversità del pianeta ed è un territorio in cui vivono popoli indigeni come i Tagaeri-Taromenani in isolamento volontario. Le prospezioni petrolifere hanno scoperto, negli ultimi anni, abbondanti pozzi. Il governo ecuadoriano, con il presidente della repubblica Rafael Correa, ha presentato già nel 2007, davanti al’Assemblea delle Nazioni Unite, una proposta di moratoria estrattiva petrolifera nel campo petrolifero ITT (Ishpingo, Tiputini, Tambococha) che si trova proprio in una porzione nel Parco Yasunì, il più importante del paese e che rappresenterebbe il 20% delle riserve nazionali. Il progetto consiste nel non estrarre il petrolio a patto che la comunità internazionale compensi l’Ecuador per i mancati proventi perlomeno con il 50% dei profitti che avrebbe ricevuto in caso di estrazione. La mancata estrazione (846 milioni di barili di petrolio) eviterà inoltre la combustione del petrolio e quindi l’immissione nell’atmosfera di 407 tonnellate di CO2, per un valore complessivo sul mercato del carbonio di 11,7 miliardi di dollari. Malgrado la buona volontà e l’innovatività della proposta a quasi due anni dal lancio della campagna ancora non esiste un reale e concreto appoggio da parte della comunità internazionale anche se alcuni governi dei paesi occidentali hanno espresso interessamento al progetto. La Campagna è stata lanciata anche in Italia ed accolta da ONG e Associazioni che si occupano di difesa ambientale.

(N.A.)



Breve storia dell’oro nero in Ecuador



La scoperta dei giacimenti petroliferi è stata vissuta dal paese andino come l’immagine del progresso e della modernità tanto che il primo barile di petrolio arrivò nella capitale, nel 1967, accompagnato da una processione quasi religiosa. La storia dell’oro nero in Ecuador inizia nel 1920 con le prime esplorazioni da parte di compagnie che però non ebbero molto successo fino agli anni ‘60 quando la multinazionale statunitense Texaco-Gulf scoprì una grande riserva di idrocarburi nel nord dell’Amazzonia ecuadoriana e inaugurò il primo pozzo – Lago Agrio 1. L’entusiasmo dei primi momenti era legato al progetto nazionalista dell’elite militare che allora governava il paese ma svanì a breve dato che i contratti di sfruttamento concessi alle imprese straniere invece di favorire l’economia interna servirono solo ad arricchire le casse delle compagnie. Le classi dirigenti ecuadoriane progettavano di costruire l’unità nazionale sul petrolio sia dal punto di vista economico che sociale; l’esigenza era quella di ‘civilizzare’ e integrare pienamente i popoli ancestrali amazzonici, la maggioranza dei quali non erano ancora mai stati contattati, e la penetrazione, grazie ad infrastrutture costruite dalle compagnie petrolifere in cambio delle concessioni, nelle zone più remote. Furono i missionari, i coloni e i tecnici, per decenni, i primi e unici interlocutori delle popolazioni indigene amazzoniche. Negli anni ’80, con il ritorno della democrazia, lo scenario cambiò principalmente a causa della necessità di aumentare la produzione petrolifera per pagare il debito estero nel frattempo accumulatosi. Inoltre 60 anni di esplorazione ed estrazione avevano devastato l’Amazzonia causando impatti ambientali, morte e malattie tra i suoi abitanti. Si sognavano ricchezze e civilizzazione e si erano ottenuti morte e distruzione. Cominciarono così i primi conflitti ambientali che culminarono negli anni ’90 con la nascita del movimento ecologista nazionale e con la resistenza indigena in alcune aree. Cominciò a formarsi l’idea che le stesse imprese dovessero assumersi la responsabilità degli impatti sia ecologici che sociali derivati dalla loro attività e quindi iniziò una relazione nuova tra le multinazionali del petrolio e popoli ancestrali. Si firmarono accordi nei quali le compagnie si impegnavano a dare lavoro, a costruire scuole, posti di salute, strade; a regalare motori per le canoe, abiti e persino cibo alle comunità in cambio della pace sociale; si misero cioè in atto strategie di controllo che però non hanno impedito un crescendo di conflitti e, con l’appoggio del movimento ambientalista, la denuncia e il blocco delle operazioni di estrazione per molte multinazionali. I popoli amazzonici hanno mantenuto, durante questi anni, atteggiamenti tra loro molto differenti che vanno dalla collaborazione con le compagnie allo scontro, spesso anche molto forte, per la difesa della propria terra e della propria cultura; dalla rassegnazione alla quasi completa assuefazione ai costumi occidentali.



Attualmente malgrado i cambiamenti introdotti nei contratti petroliferi dal nuovo governo ecuadoriano, il maggior controllo che questo attua, la maturazione politica delle comunità indigene e i vincoli previsti dalla nuova Costituzione per la riappropriazione della sovranità sulle risorse naturali, nell’Oriente del paese continuano ad esistere 20 blocchi destinati allo sfruttamento petrolifero con un’estensione approssimativa di circa 200mila ettari ognuno, che sono gestiti, su concessione del governo, da differenti compagnie o consorzi petroliferi; tra questi è presente l’italiana Agip, che opera nel blocco 10.

(N.A.)



(20 aprile 2009)






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