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Le in-differenze politiche

Le in-differenze politiche

Donne e partiti - Il pensiero femminile non attecchisce nella politica e anche dove le donne hanno potere non si scorgono cambiamenti

Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2007

Non so se sia un'impressione solo mia, ma continuo a restare perplessa quando constato che il comportamento delle donne impegnate in politica si allinea come se le differenze fossero scomparse. In questo modo diventa quasi ovvio che le giovani credano "neutra" la cittadinanza.
La scelta dello "stare", con Fassino, Mussi, Rutelli e compagni vari dovrebbe venire formulato, per coerenza con politiche non neutre, "come donne". C'è un giudizio femminile sulle dislocazioni del centro-sinistra? C'è, soprattutto una prospettiva di genere nelle politiche presentate?
Oppure accettiamo per sempre che si parli di noi in paragrafi aggiuntivi?
I politici sentono, e in qualche momento perfino dicono, che non c'è salvezza senza le donne; ma restano del tutto incapaci di fare spazio al pensiero femminile, per non parlare delle "poltrone" dalle quali i maschi faticano a schiodarsi, ma alle quali noi si dovrebbe accedere solo con la certezza di
non essere subalterne. Le relazioni dei segretari di partito e dei dissidenti così come i commenti
dei giornalisti e dei politologi dimostrano che con la miglior volontà gli uomini non riescono a pensare a noi se non come a un pezzo del sociale a cui indirizzare eventuali benefici: la vecchia storia delle donne come i lavoratori, i giovani, gli anziani. Nei discorsi programmatici, nei ragionamenti sociologici, nelle prassi organizzative possono perfino mettere al primo posto le donne, senza che diventino mai la metà di tutto. E' così che si finisce per accettare le quote. E l'omologazione al modello unico delle politiche.
Che le donne siano la metà di tutto, dall'asilo nido alla casa di riposo dovrebbe essere evidente. Eppure, si fa conto di ignorare che la regola aurea della rappresentanza è quella maggioritaria; e noi siamo, in Italia, il 52% dell'elettorato, mentre la rappresentanza massima, storicamente è quella del 17% dell'attuale Camera dei Deputati (se ci mettiamo il Senato si abbassa).
Tutte le percentuali relative alle donne sono sfasate. Sono di più a scuola, di meno al lavoro. Esistono le casalinghe, ma non i casalinghi. Si abbandona il lavoro per dedicarsi ai figli, ma non è mai un uomo a farlo. In compenso sono ancora più numerosi i soldati delle soldate. E' ancora verificabile che la compressione delle potenzialità femminili danneggia l'intera società; ma per quanto tempo, se avanzerà anche nel nostro territorio l'adeguamento a un sistema che rende indifferenziato il meccanismo delle norme e delle strutture?
Lo spreco del contributo culturale e sociale delle donne è così grande che dà meraviglia vedere che le donne stesse lo accrescono, facendo il maternage alla politica dei maschi e sostenendo il modello neutro. Accettare che la salvezza della patria, della sinistra, del partito, del segretario del partito venga prima degli interessi delle donne, significa che saremo sempre cooptate sul principio della maggior fedeltà agli obiettivi scelti da un'entità politica maschile e, di conseguenza, costrette all'omologazione. Le rivoluzionarie russe, che riponevano la loro fiducia nei soviet, si sono trovate la parità davanti al martello pneumatico e non nelle cariche del partito e nella programmazione politica.
Il Partito Democratico è una realtà, che può piacere o meno: è caduto dall'alto, ha unificato due componenti, riesumando il fantasma del compromesso storico: pensiero della differenza, zero. Idem per la nuova formazione che si presenta in un paese in cui tutti vituperano i partiti ma non pensano ad altro che a crearne di nuovi. Tuttavia viva la libertà, compresa quella di critica. Ma, se si è donne, prendiamo posizione dopo aver giudicato documenti e patti. Non aspiriamo ancora alla presidenza della Repubblica come la Francia di Ségolène; ma non si capisce l'imbarazzo dei maschi, non a nominarla leader, ma a riconoscere la superiorità di Anna Finocchiaro. Ancor meno si capisce la scarsa attenzione, da parte degli esperti pubblicitari, agli interessi di partito e al simbolico delle immagini per attrarre alla politica il mondo femminile. Le donne alla guida dei partiti e dei governi farebbero ancora, per molto tempo una politica sostanzialmente neutra, anche se ci fossero quelle che sommano razionalità a passione, competenza a equilibrio, senso dello stato a coraggio; tuttavia rispecchierebbero meglio la voglia di rinnovare la vita politica che abbiamo tutti, uomini e donne. Risponde al vero che, poi, le donne, o perché abituate alla miseria storica o perché così distaccate
dal potere da non accettarne le sfide, non si candidano e non si votano. In Norvegia, in Gran Bretagna, in Islanda, ora in Germania sono state o sono al governo, senza che la base dei paesi veda la spinta a sostenere l'innovazione politica. Le raccomandazioni delle Nazioni Unite e, forse, un
furbo buon senso, hanno indotto anche paesi africani a immettere le quote nelle istituzioni: è cambiato qualcosa in Rwanda, dove il 49 % del Parlamento è donna?
(30 maggio 2007)

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