VIVALASCUOLA/2 - Recuperare la fierezza per le nostre tradizioni e modificare senza paura quello che non va più bene. Intervista a Cristina Comencini
Bartolini Tiziana Mercoledi, 03/08/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2016
“È in atto un cambiamento gigantesco e tutte le scuole, non solo quella italiana, sono arretrate rispetto al tempo in cui viviamo. Ovunque c’è il problema di che scuola fare in questo mondo nuovo e noi ce lo ritroviamo esattamente come negli altri paesi”. Cristina Comencini, regista e scrittrice, risponde alle domande di “NOIDONNE” sulla scuola non da “esperta” ma con lo sguardo e la sensibilità di una attenta osservatrice.
Chiediamo alla donna, all’intellettuale e anche alla mamma e nonna, quali problemi vede nella scuola?
Tra i problemi più grandi, in generale, vedo i cambiamenti degli strumenti di comunicazione; occorre capire il futuro attraverso l’uso di nuovi strumenti di approfondimento. Sono questioni che riguardano tutto il mondo, mentre un nostro problema specifico sono le strutture scolastiche: antiquate e talvolta fatiscenti. Se faccio un confronto con quello che vedo all’estero mi sembra che abbiano strutture migliori, più nuove delle nostre… poi magari hanno problemi nei contenuti. Noi abbiamo una tradizione molto importante nella scuola. Penso, ad esempio, a Maria Montessori e al suo metodo pedagogico all’avanguardia. Anche il liceo è solido, ha radici profonde che hanno costruito le basi di grandi movimenti. Movimenti che hanno consentito una mobilità sociale, insegnanti che hanno permesso di andare avanti anche a chi non aveva alle spalle una famiglia abbiente o che era cresciuto in case senza libri. Questo non c’è più ed è una questione molto seria. La scuola si deve mettere al centro di questo problema, deve tornare ad essere il motore della mobilità sociale, che è la cosa più importante per una comunità. Le classi medie sono il fulcro di un paese e il fatto che ci possa essere un rimescolamento sociale, che le persone delle classe più modeste possano diventare classe dirigente, è decisivo sotto molti aspetti. È linfa vitale per tutta la società.
Ha citato uno tra i nodi strategici che la scuola deve affrontare…
La scuola è una cosa enorme. Uno dei punti salienti della società. Dobbiamo tutti sentire una fierezza per la nostra scuola. Soprattutto gli insegnanti devono trovare nella nostra tradizione la forza per andare avanti, consapevoli però che non basta più. Poi le situazioni sono tante e diverse. Mi capita di andare nelle scuole, soprattutto le superiori, e vedo tante differenze tra le varie realtà. Incontro delle eccellenze, ma non sempre e non ovunque.
Quello delle differenze è un tema importante. Ci sono tante buone pratiche, ma spesso rimangono casi isolati e non riescono a fare il passo successivo, cioè essere condivisi su larga scala e diventare sistema. Manca un’idea complessiva?
Sì, un metodo generale condiviso sembra mancare, come per esempio avviene in Francia, mentre da noi prevale un’idea di lavoro individuale. Occorre valorizzare il fatto che ci siano sempre più scuole pubbliche di eccellenza sapendo che questo porta, nei fatti, a innalzare il livello complessivo. Penso anche che la scuola, come la famiglia, sia uno specchio della società. L’una si specchia nell’altra. Osservo, infatti, che nelle città che funzionano meglio anche le scuole sono migliori, pur non dipendendo dall’amministrazione locale. La cosa importante è lo stato d’animo con cui si lavora. Bisogna permettere alle insegnanti di potersi adeguare e di rinnovarsi. Non è qualcosa riconducibile solo dalla loro volontà - che magari alcuni hanno e altri meno - ma che dipende da una possibilità reale di tempo e di economia. L’importante è che la scuola non diventi una routine, soprattutto in un momento di trasformazione così profonda.
Il rapporto con le famiglie è un altro aspetto molto delicato…
Il rapporto tra scuola e famiglia non funziona tanto, mi pare. La famiglia è sempre prevalente rispetto alla scuola. È come se, in qualche modo, le insegnanti sentissero questa invadenza della famiglia che tende a occupare uno spazio che non è di sua competenza. La famiglia deve essere tale nel momento in cui il ragazzo torna a casa; è lì che i genitori avrebbero tanto da fare... Invece la scuola deve essere il luogo in cui ha inizio il rapporto con l’autorità, con la società…
In conclusione, secondo lei, qual è il senso dell’insegnare e dell’andare a scuola oggi. Per imparare cosa e perché?
Si va a scuola sempre per le stesse ragioni, per entrare in contatto con i vari aspetti della cultura intesa in senso ampio; si va a scuola per poter capire se stessi e il proprio mondo; si va a scuola per trovare lavoro, anche se in questo ci sono parecchi altri problemi. Insomma a scuola si va per un apprendimento e una crescita generale. Il problema centrale per gli studenti e per le studentesse è quello della concentrazione, della capacità di applicarsi per il tempo necessario a capire un testo lungo e complesso. Mi rendo conto che negli adolescenti - i nativi digitali - l’abitudine all’uso di questi sistemi veloci di comunicazione ha prodotto una difficoltà ad applicarsi e dopo pochissimi minuti l’attenzione sfugge. È un problema che vediamo in famiglia e che a scuola ha un impatto. Naturalmente la tecnologia non va demonizzata, ma la scuola deve capire che quello della concentrazione così labile è un tema da affrontare. E che va risolto, assolutamente.
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