Movimenti / 2 - Continua la riflessione comune su reti, gruppi, associazioni femminili e femministe
Ribet Elena Lunedi, 12/07/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2010
Codrignani afferma che «lo slogan “uniti si vince” non ha mai persuaso le minoranze, sempre ostili alla militarizzazione del consenso prodotta da chi ha o mira ad avere il potere» (in noidonne di maggio, ndr).
L’universo dei gruppi e dei movimenti “femminili” e “neofemministi” non sempre riesce a costruire una rete in grado si sbloccare i meccanismi che negano la rappresentanza e gli spazi alle donne. Inoltre le differenze fra i vari gruppi rischiano di rappresentare un ostacolo, nella misura in cui diventano una competizione intellettuale, sui luoghi, sulle opportunità. Le differenze sono anche una ricchezza, certamente. Il problema è la frammentazione degli obiettivi.
In generale, nella società di oggi esiste una grande quantità di (di)visioni, di micro-tappe, di individuali o individualistici oggetti del desiderio, di bisogni più o meno indotti che, se da un lato hanno rafforzato le soggettività, dall’altro hanno indebolito i valori condivisi, quindi paradossalmente hanno minato la percezione dei diritti fondamentali, dei beni primari, del senso collettivo della realtà e persino dell’autostima. L’egoismo ipertrofico ha degli effetti collaterali, che consistono nel dover rinunciare alla propria umanità, nell’incapacità di costruire e mantenere alleanze, nella difficoltà ad avere una visione a medio e lungo termine. Ci imbattiamo così nelle nuove schiavitù, in nuovi pericoli e in nuove alienazioni. Volenti o nolenti, siamo nella stessa barca dove hanno trovato posto l’autoreferenzialità, il consumismo, lo spreco, la politica avida e privilegiata che guarda solo al proprio orticello.
Il futuro, ma anche il presente, è nelle nostre mani. Rimbocchiamoci, ancora una volta, le maniche.
Dopo aver dato la parola su questi temi a Elisa Davoglio e Sara Ventroni (noidonne di giugno, ndr) diamo la parola a Piera Egidi Bouchard, torinese, scrittrice e giornalista. Fra le sue pubblicazioni, "Incontri", "Voci di donne" "Sguardi di donne", "Frida e i suoi fratelli", "Eppur bisogna andar", "Nuovi Incontri" (editrice Claudiana).
Farsi intendere dalle giovani
Mi è stato chiesto di intervenire nel dibattito aperto dalla sempre stimolante riflessione di Giancarla Codrignani.
Certamente viviamo in un periodo di frammentazione e di scarsa “visibilità” del movimento delle donne nel suo complesso. Impera invece una massiccia visione reazionaria e sessista - veicolata dalla pubblicità e dai mass-media - del “femminile”. Siamo in un periodo storico difficile, caratterizzato in Italia dal crollo di partiti e movimenti creati a partire dalla Resistenza e dal dopoguerra. Le ragioni sono complesse, nazionali e internazionali, e non è qui possibile analizzarle: la fine della “guerra fredda” – durata un quarantennio – va tenuta inevitabilmente sullo sfondo.
Viviamo ogni giorno le difficoltà del ricomporsi di nuovi partiti – a causa anche delle diverse visioni presenti - in forti radici storiche e culturali differenti. Il variegato e composito movimento delle donne soffre a sua volta di difficoltà di interrelazione – difficoltà di tutta la democrazia italiana - anche se ritengo che mantenga una “trasversalità” potente e una condivisione di temi e di affetti molto importante e feconda.
L’Unione donne italiane ha avuto una sua specifica e originale fisionomia, organizzazione e “visibilità”, e insieme ad altre storiche forze organizzate – e dagli anni ’70 coi movimenti femministi - ha condotto le battaglie e le vittorie per le leggi a tutela del lavoro, della famiglia, dei servizi, della libertà di scelta e per la dignità delle donne: senza la centralità di queste forti organizzazioni femminili – che avevano le loro referenti nei partiti e in parlamento – non sarebbero state possibili. Nei nostri anni recenti, a partire appunto dagli anni ’90, tutto il panorama politico generale è mutato, e al tempo stesso il movimento delle donne nel suo complesso ha iniziato un percorso diverso, ma non affatto ininfluente: più raccolto nella riflessione, nelle iniziative culturali, nel coinvolgimento capillare e poco visibile - “dall’interno” - delle strutture in cui le singole donne si trovano ad operare: sindacati, chiese, enti locali, luoghi di lavoro, territorio. Magari riservando al proprio gruppo l’approfondimento dell’analisi, e al tempo stesso proponendo all’esterno alcune “parole d’ordine” condivisibili ad ampio raggio, penso ai temi della violenza, ad esempio. Ho esperienza di molti gruppi e aggregazioni diverse di donne - laiche e credenti - che infaticabilmente lavorano in tutto ciò, contribuendo anche a ritessere il tessuto democratico del nostro paese.
Le reti e le relazioni esistono già, e si sono esplicitate “all’esterno” in alcuni precisi momenti negli ultimi anni. Bisognerebbe fare un’analisi di tutto ciò, con inchieste e testimonianze, e il “Noi donne” può dare un ottimo contributo. Il problema a mio parere è oggi soprattutto come farsi intendere dalle giovani, e intenderle: noi, generazioni del dopoguerra, abbiamo retto e reggiamo la fiumana reazionaria, ma bisogna trovare le forme della condivisione per poter nel tempo “passare il testimone”
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