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'Le fiabe sono mie': 17 tele per raccontare il valore femminile

'Le fiabe sono mie': 17 tele per raccontare il valore femminile

Laura Piccininni, artista, professoressa, e scenografa di formazione, ha canalizzato la sua rabbia per i molti femminicidi e le troppe violenze sulle donne, con 17 tele sulla fiaba

Martedi, 01/09/2015 -
E' stata inaugurata lo scorso 29 agosto, presso le Scuderie Aldobrandini di Frascati, la personale dell'artista e Professoressa Laura Piccininni 'Le fiabe sono mie'. Un'interessantissima serie di opere in tecnica mista consacrate al fiabesco, tese alla rivisitazione e alla rilettura delle figure femminili presenti nei canoni europei maggiormente divulgati - come quelli dei fratelli Grimm e di Andersen.



L'inaugurazione – affatto partecipata – si è giovata di due interventi critici (a cura del Prof. Paolino Gianturco e della Dott.ssa Marta Mariani) ed è stata poi coronata dalle encomiastiche parole della Consigliera del Comune di Frascati, la Dott.ssa Francesca Neroni.



La mostra, visitabile fino al 13 settembre prossimo, declina il concetto di donna tentando continuamente una rivitalizzazione del femminile, quindi un originale connubio delle virtù femminee con il tipico mondo dell'immaginazione infantile.

Del resto, il mondo vivo, fisico della natura e quello dell'essere umano, con le sue molte e fabbrili attività, non sono affatto così nettamente separati l'uno dall'altro come generalmente si crede – lo asseriva già il Goethe naturalista – poiché ad unirli sono leggi comuni ad entrambi ed affini alle leggi della fiaba.



«Non a caso, protagoniste ricorrenti delle opere di Laura Piccininni sono proprio le donne. Il tema, data la complessità con cui viene trattato dall’Autrice, meriterebbe un approfondimento a parte: ma sarà sufficiente – e al tempo stesso necessario per comprendere il discorso sotteso alla sua esperienza artistica – fare qualche esempio per avere almeno un’idea della completezza e del rigore con cui esso viene trattato.

Ne “La mela”», ha ben detto il Prof. Gianturco, «si adombra la vicenda di Biancaneve: sulla strada della conoscenza, che è costitutivamente costellata di rischi, la protagonista compie un atto di forte volizione, scegliendo consapevolmente il proprio destino.

In “C’era una volta il lupo”, invece, scopriamo una rilettura potente della fiaba di Cappuccetto Rosso, dove conosciamo una donna che ribalta il destino e lo tiene vigorosamente in pugno, osservandolo a distanza con il sorriso sicuro e saggio di chi sa cosa fare. Questo sorriso può addirittura diventare affermazione gioiosa e volitiva del sé, come ne “La pretenziosa”, che ci narra una Principessa sul pisello tutt’altro che ingenua e sprovveduta.

La donna di Laura Piccininni, al contrario, è talmente forte da arrivare a ri-comprendere il tutto in se stessa, poiché capace di armonizzare, innanzitutto nel proprio corpo, il caos in cui bene e male si trovano mescolati: questo il caso della Cenerentola de “Il trionfo del bene”.

Ma forse, in questo discorso sul femminile, l’opera di sintesi è “Ragione e sentimento”, che interpreta visivamente la fiaba dell’Ape regina: qui troviamo una donna forte e consapevole, diremmo archetipica nella sua compostezza che, nel racchiudere in sé i sentimenti di tutte le donne, ci fissa come una moderna icona bizantina. È lei a guardarci, infatti, perché, per usare un’espressione di Clarissa Pinkola Estés, è una donna 'que sabe'.

Queste donne, dunque, possono essere adeguatamente rappresentate da un pensiero della Estés, tratto da quello che forse è il suo libro più famoso, 'Donne che corrono coi lupi': 'Riparare l’istinto ferito, bandire l’ingenuità, apprendere gli aspetti più profondi della psiche e dell’anima, trattenere quel che abbiamo appreso, non volgerci altrove, proclamare a gran voce cosa vogliamo… tutto ciò richiede una resistenza sconfinata e mistica'».



«Le fiabe nascono per intrattenere non solo i bambini ma anche gli adulti che fortunatamente non hanno dimenticato di esserlo», ha affermato ancora la pittrice Laura Piccininni, «l'importanza delle narrazioni di fantasia è spesso sottovalutata».



La sottovalutazione cui l'artista fa riferimento – e che vuole risarcire con le 17 opere pittoriche esposte – è legata alla mortificazione delle tradizioni fiabesche a cui la nostra cultura attinge.



Il mondo delle fiabe, infatti, primitivo e vichiano come è, ha subìto fatali contraccolpi dal momento in cui la conoscenza di miti, fiabe, favole e leggende è stata vista in contrapposizione con il mondo della scienza e delle sue certezze. Grave errore, questo: pensare che delle fiabe, adulti e bambini possano fare a meno; supporre cioè che una civiltà intera possa vivere e sopravvivere senza dare fede ad un serbatoio di immagini o di metafore che diano senso e ragione alla grande e misteriosa avventura dell'esistere.



Bisogna, almeno per un momento, smettere di credere che totem e tabù, selvaggi, spiriti della vegetazione, miti e culti dei morti siano inutili bizzarrie, per cercare nella fiaba e nel mito il segreto di qualcosa che tutti ricordano e ammirano un po' straccamente – ribadiva Cesare Pavese a metà Novecento.



Con questa serie di opere, l'artista ha voluto suggerire una diversa chiave di lettura delle fiabe tradizionali, «evocando atmosfere, sensazioni e memorie», affidando altresì a uomini e donne, spunti valoriali su cui far leva nei momenti più densi e difficili della vita, come: il coraggio, la generosità, l'ascolto.



Il visitatore, dunque, soffermandosi sulle opere pittoriche, può lasciarsi finalmente guidare nell'esplorazione di sensi e semiosi riposti in fiabe note e certamente familiari, come quella di Cappuccetto Rosso, della Sirenetta, di Cenerentola, o della Bella addormentata nel bosco, approfittando di testi e didascalie (curati anch'essi dall'artista), capaci di dialogare con le opere in modo inusitato e profondo, di bisbigliare all'orecchio dello spettatore suggestioni molteplici.



Il corredo iconografico, inoltre, con il suo tratto dettagliato e raffinatissimo, ispirerà nello spettatore un senso di pienezza e di semplicità (come le fiabe che conoscemmo nell'infanzia) che la Piccininni ha sapientemente reso, grazie ad una lenta e accurata sedimentazione di ricchezza simbolica ed emotiva, in un posato, semplice e misurato canone del bello.

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