UDI / Intervista a Stefania Cantatore - Grande attivista a Napoli per la campagna ‘Stop femminicidio’ e con l’affissione delle Bacheche rosa presso i commissariati della città
Colanicchia Ingrid Domenica, 19/12/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2010
Intervista a Stefania Cantatore dell’Udi di Napoli, che è stata in prima linea nel 2007 per la campagna ‘Stop femminicidio’ e con l’affissione delle Bacheche rosa presso i commissariati della città. A tuo avviso, qual è il legame che intercorre tra la violenza di genere e l’immagine della donna che ci viene trasmessa dai mezzi di comunicazione?
Il femminicidio è comprensivo di tutti gli atti che lo precedono e lo evocano. Basta un uomo per uccidere una donna, in una solitudine apparente. Basta un criminale, che troverà la rete della cultura ufficiale pronta a metabolizzare il suo crimine: dalla narrazione accademica alla pubblicità.
Ma offendere le consumatrici, parlando loro come possibili vittime, è poco conveniente! Bisogna allora fare un passo indietro e guardare a quella che solo apparentemente è una novità nel rapporto tra economia e politica: il/la cittadino/cittadina compra con le merci l’identità, anche socio politica. Il buon compratore è quello adattato all’ordine vigente nel quale ci si muove e si lavora. È per questo che anche la pubblicità riproduce la minaccia della violenza. Ma una cittadina che ha paura non è una consumatrice serena, quindi la pubblicità ripropone la vittimizzazione femminile suggerendo però la gratificazione secondaria. In poche parole: non puoi decidere, ma come oggetto puoi essere adorata e comparire, cioè essere.
Ma se la pubblicità non è che la riproposizione di un messaggio, nei tempi, sempre presente nella cultura ufficiale, varrebbe poco adoperarsi “solo” sulla pubblicità, nella pluralità mediatica. La pubblicità propone una sua ideologia (Naomi Klein), che precorre, aggiungo io, più audaci imposizioni verso il genere femminile. Per questo la protesta verso le pubblicità lesive va ben oltre l’affermazione del decoro femminile: approda all’assertività civile, non solo di un altro consumo.
Il comune di Castellammare di Stabia ha recentemente approvato un nuovo regolamento di polizia urbana, in cui, tra le competenze da affidare ai vigili, è previsto anche il controllo dell'abbigliamento delle cittadine. Cosa leggi in questa proposta e come si è mossa l’Udi di Napoli?
Castellammare ha una grande tradizione operaia, costretta a confrontarsi con la chiusura dei Cantieri navali: la richiesta, da parte delle donne, di presenziare al consiglio in questione era un’occasione per “entrare con le donne e poi parlare del lavoro”. Ci siamo mosse subito perché la protesta era nostra, ma anche perché pensavamo che il nostro striscione, il simbolo di ‘Stop femminicidio’, avrebbe dato visibilità a quell’identità stabiese emancipata e femminista importante almeno quanto quella operaia.
Leggendo la delibera vi si trova molto di più che la questione ‘minigonna’: all’art. 17 si parla dell’obbligo di tenere le case pulite e della sanzione pecuniaria per la trasgressione. Questo mette le cose in ordine: vestite, come dice papà e marito, a fare le pulizie in casa.
Tutta la delibera è pervasa di forzature che tendono, a meno di non prevedere che chi l’ha stilata fosse totalmente ignorante della legislazione vigente, a far parlare: ma come sempre la scelta è quella di farlo sul corpo delle donne.
Si può dire che questo tipo di controllo e la sovraesposizione del corpo femminile siano due facce della stessa medaglia?
La politica non vuole necessariamente né spogliare, né vestire le donne, le vuole conformare. Non ad un modello prefissato, ma ad un modello che sia contrario a quanto le donne scelgono o possono scegliere. Dire che ti devi spogliare se sei vestita e che devi vestirti se sei spogliata, e costituire un obbligo morale o scritto sull’una o sull’altra cosa, vuole comunicare alle donne che qualsiasi cosa scelgano autonomamente è sbagliata. Certo è grave che qualcuno pensi che il decoro pubblico abbia come luogo di elezione il corpo femminile, ma credo che, a parte l’impugnazione della delibera, ci aspetti una riflessione più puntuale sulle evoluzioni del potere maschile.
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