Sabato, 31/12/2011 - Il 26 agosto 2011 è stata pubblicata in Cile la lista delle persone considerate ufficialmente vittime della dittatura dopo i lavori della Commissione Valech2 (dal nome del vescovo Sergio Valech che ne fu il presidente),- ultima in ordine di tempo tra le Commissioni che hanno affrontato il tema della violazione dei diritti umani nel periodo dei 17 anni della dittatura di Pinochet.
L’elenco delle richieste portava a 40.018 il numero delle persone arrestate e torturate in Cile. Ma l’esame dei casi si è concluso con l'approvazione di soli
9795 "calificados" che riceveranno una pensione, cure sanitarie, cure speciali nel caso di lesioni gravi e permanenti,e una borsa di studio per i propri figli.Un numero irrisorio in rapporto alle domande pervenute, praticamente un esito negativo di quasi il 70 %.
L'uscita del "listado"(elenco) Valech ha risvegliato il disagio, l'esasperazione, la rabbia degli esclusi, mettendo a volte tristemente vittime contro vittime, "salvati" contro "sommersi".
Quello che avrebbe dovuto essere l'ultimo atto del passato per il Cile,ponendo le basi per la riconciliazione,rischia di diventare una ulteriore resa di conti,il ritorno di un incubo di ieri.Alla delusione per quella che viene definita “una lotteria” si aggiungono l’indignazione, il turbamento, la rabbia nel momento in cui paradossalmente figurano tra le vittime che godono dei risarcimenti previsti,anche Miguel Reyno Estay, ex militante comunista passato a collaborare con i servizi segreti della dittatura, condannato all'ergastolo per l’uccisione di 3 professori suoi ex compagni, Manuel Guerrero, José Manuel Parada e Santiago Nattino- e Luz Arce, discussa figura di detenuta socialista diventata torturatrice.
Già, perchè l'uscita della lista Valech, riaprendo il capitolo delle violazioni dei diritti umani nel periodo 1973-1990, riaccende i riflettori su un fenomeno tristissimo e angoscioso per il mondo femminile, offuscando l'immagine della donna meno predisposta alla violenza in quanto creatrice di vita e dotata di una particolare sensibilità ed empatia: il fenomeno delle donne torturatrici.
Descritte dai sopravvissuti con un senso di doloroso stupore (“c’erano anche delle donne”,arroganti,in divisa o comunque sempre in pantaloni,a volte più spietate degli uomini,sono state tante le donne dei servizi segreti DINA e CNI,anche se le più note,le più feroci,quelle che appaiono con più regolarità e con più rabbia nelle testimonanze dei superstiti,quelle che parteciparono direttamente a torture,sequestri, esecuzioni,sparizioni,sono una trentina.
Dietro di loro,tutta una schiera di donne che lavorarono nel ramo amministrativo, permettendo il funzionamento "burocratico" dell'apparato repressivo.
Segretarie dei Servizi segreti,assistenti,tecniche informatiche, dai nomi gentili ed esotici dietro cui si nasconde l'orrore: Mirtha Espinoza,María Gabriela Webar, Marta Teixido, Sandra Montecinos Sepúlveda,Eliana Quilodrán, Teresa Aburto, Enriqueta Salazar Contreras,Maribel Maringue Moya,María Eliana Moncada Prieto,Sara Aguila Márquez,Carmen Avila Ferrada,Alejandra Damián Serrano,Ana María Rubio de la Cruz,sottufficiale dell'Esercito e segretaria di Direzione di “Inteligencia Exterior”, implicata nell'assassinio del generale Carlos Prats e di sua moglie.
Un lungo elenco, che però resta nel grigiore delle statistiche. Più inquietanti sono le donne coinvolte in prima persona in violazioni dei diritti umani a cui si vorrebbe non credere, atrocità che sembravano confinate in altre epoche, incubi sconfitti dalla storia.
La figura più spregevole tra queste "donne del terrore" è Ingrid Felicitas Olderock,sottotenente dei Carabinieri,istruttrice di tortura, che esercitò la sua attività nel centro clandestino "Venda sexy",così chiamato per la prevalenza in esso di torture sessuali.Ingrid Olderock fu l'addestratrice del cane da pastore "Volodia",utilizzato per violentare varie prigioniere.
Durante il periodo in cui Ingrid fu nel campo, morirono per tortura e per assasinio 30 persone.
Rosa Humilde Ramos,una tra le più temute, "lavorò" al centro "José Domingo Cañas" e a “Villa Grimaldi”, dove era conosciuta coi soprannomi di "la comandante" e “la Mala” e dove molte ex detenute affermano che partecipò alle torture rivelando un particolare sadismo.
Negli stessi centri operò Alicia Gómez,detta "Carola",passata da militante del MIR ad agente della DINA, poi della CNI. Lei e altre collaboratrici organizzavano vere e proprie "sfilate di moda" con i vestiti delle prigioniere assassinate.
Palmira Isabel Almuna,detta "la Pepa", anche lei tenente dei Carabinieri,lavorò per la DINA e la CNI.Tra i suoi incarichi anche quello di istruire agenti-donne che svolgevano un lavoro di infiltrate. Fu responsabile della sparizione di decine di militanti comunisti e del Mir.Andò in pensione col grado di tenente colonnello e fu condannata solo nel 2009.
Abbondano le testimonianze di crudeltà e di sadismo su Teresa Osorio Navarro,-una funzionaria entrata a lavorare come "impiegata" per la DINA,che poi sposò Basclay Zapata, uno dei dirigenti presenti a Villa Grimaldi.
Nélida Gutiérrez Rivera,segretaria e amante di Manuel Contreras,capo della DINA,divideva il suo tempo tra il lavoro nel campo, e l'elegante boutique chiamata Manè in onore del loro rapporto di coppia (Manuel-Nelida).
Nella Brigata Purén,dedicata alla repressone dei Partiti socialista, comunista e DC, operarono Ximena San Juan, Elsa Lagos Salazar, Francisca del Carmen Cerda e Nancy Edulia Vásquez;nel gruppo Halcón II era attiva María Gabriela Ordenes,che molti ex detenuti hanno testimoniato di aver visto presente a sessioni di tortura.
L' infermiera María Eliana (Carlota) Bolumburú lavorò per la DINA in cliniche clandestine insieme a vari medici che presenziavano alle torture. Fu condannata nel 2007 per responsabilità connesse all’uccisione con gas nervino del caporale Manuel Jesús Leyton(1977).
Viviana Lucinda Ugarte Sandoval, detta “la Pochi”,era una soldatessa della FACH (forze armate), distaccata al "Comando Conjunto”, torturatrice nei centri clandestini "Nido20" e "Nido18". Fu complice della sparizione di Reinalda Pereira, dottoressa ventinovenne, e di Edrás Pinto, militante comunista. Processata durante la dittatura per associazione illecita criminale, fu poi amnistiata.
Molti testimoni riferiscono dell'attività di Marcia Alejandra Merino,detta "la flaca Alejandra", ex militante del MIR prima detenuta e torturata, poi diventata agente della DINA, responsabile dell’arresto di molti suoi ex amici e compagni. Oggi è una delle accusatrici della DINA nelle azioni giudiziali in cui si raccolgono testimonianze.
Simile il “percorso” di Luz Arce Sandoval, militante del Partito Socialista passata alla DINA, trasformatasi da torturata a torturatrice. I sopravvissuti la ricordano presente alle sessioni di tortura a Villa Grimaldi, a Londres 38 e a Cuatro Alamos. Alla fine della dittatura, si mise a disposizione dei tribunali per dare informazioni in casi di desaparecidos. La Commissione Valech2 addirittura l'ha riconosciuta come "vittima".
Di fronte a questa presenza femminile nel mondo della tortura, il nostro pensiero va alle soldatesse di Abu Graib, al vergognoso e doloroso episodio che in tempi ancora più recenti ha turbato profondamente la coscienza delle donne.
Eppure il binomio donna-violenza nella società odierna è comunque un'eccezione. Statisticamente le donne protagoniste di episodi di violenza o crudeltà sono un numero poco rilevante rispetto alla popolazione maschile;le donne detenute sono quasi sempre accusate di reati minori e per quanto riguarda i delitti le carceri sono praticamente appannaggio del sesso maschile.
I primi dati per l’anno 2011 parlano di 92 donne uccise da uomini. Molte ricerche affermano che la violenza contro le donne è una tra le prime cause di morte, e quasi sempre gli assassini sono partner o familiari..
Le donne quindi sono più spesso vittime piuttosto che protagoniste della violenza.
Ma, come afferma Primo Levi, "meditate che questo è stato".
Sì, questo è stato. E dunque è nostro compito, nostro dovere non rifugiarci nell'idealizzazione della donna come creatura al riparo dalle pulsioni di crudeltà e di morte, nè illuderci che le nostre caratteristiche “di genere” ci contraddistinguano sempre e comunque come nemiche della violenza.
La violenza si insegna e si impara. La violenza si respira in particolari situazioni,intossicando anche le donne che dovrebbero esserne le naturali nemiche.La violenza va combattuta facendo terra bruciata attorno ad essa.Va combattuta in primo luogo dove tutto comincia,nel territorio dell’infanzia,a cominciare dall’educazione,e poi sempre nel quotidiano,cogliendo ogni segnale d’allarme,dando spazio al rispetto per gli altri e all’amore.
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