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LE DONNE IMPRENDITRICI REAGISCONO ALLA ‘NDRANGHETA

LE DONNE IMPRENDITRICI REAGISCONO ALLA ‘NDRANGHETA

Intervista a Maria Teresa Morano. Presidente nazionale della FAI (Federazione Antiracket Italiana) dal 2011, oggi nel direttivo. La sua famiglia nel ’90 /‘91 subisce intimidazioni dalla ndrangheta. Da allora è impegnata nella lotta contro il rackett

Mercoledi, 30/01/2013 - Presidente nazionale della FAI (Federazione Antiracket Italiana) dal 2011 fino a due mesi fa, oggi nel direttivo. La sua famiglia di imprenditori a Cittanova nel ’90 /‘91 subisce intimidazioni dalla ndrangheta, dopo le loro testimonianze insieme ad altri 11 imprenditori, gli imputati sono stati condannati in via definitiva. Da allora Maria Teresa Morano è attivamente impegnata nella lotta contro l’usura e il racket.





Che reazione ha l’imprenditrice donna rispetto alle pressioni e alle richieste di pizzo da parte della ‘ndrangheta?

In tutte le realtà sia del nord che del sud rispetto alle pressioni della ndrangheta una donna è molto meno disposta ad accettare il compromesso. Le donne sono molto ostinate e molto più convinte a non accettare ricatti della criminalità che si introducono nelle attività, che richiedono il pagamento del pizzo, delle tangenti, è più combattiva, più forte. In un contesto così difficile, una scommessa come quella imprenditoriale è una cosa che coinvolge totalmente, nella quali si ripongono tutte le energie e il compromesso è l’anticamera della perdita della tua azienda, la perdita della potestà decisionale.





Le donne reagiscono di fronte alle vessazioni della ‘ndrangheta in modo deciso. Ci sembra un dato che in questo contesto diventa molto forte

Molte delle storie di imprenditori che hanno denunciato il racket sono storie al femminile di imprenditrici. E molto spesso sono gli uomini che hanno al loro fianco compagne, mogli, figlie che li spronano a intraprendere questo percorso. L’elemento femminile in qualsiasi vicenda di opposizione al pagamento del pizzo ha un ruolo da protagonista, perché anche quando l’imprenditore è impaurito se ha accanto una donna forte, una donna intraprendente, una donna decisa, una donna che lo accompagna e condivide questo percorso è sicuro che egli possa intraprendere un percorso come quello. Questo noi lo riscontriamo sempre: quando un imprenditore si trova nella fase della scelta, quando si chiede e ci chiede cosa fare, è in quella fase che se hanno a fianco una donna forte il percorso continua altrimenti no.





Una donna imprenditrice è molto determinata e appassionata quando si tratta di difendere i propri interessi, se poi pensiamo ai ruoli “in negativo” anche nella “impresa” ndrangheta il ruolo della donna diventa di particolare importanza

E’ così. Una donna deve dimostrare più di un uomo le proprie capacità, anche solo il fatto di farsi rispettare quando ci si confronta negli uffici con il mondo della burocrazia. E sapendo quanta energia si è impiegata si difende con maggior vigore quello che si è creato.

Fino a qualche tempo fa la donna nella ndrangheta era ritenuta una figura di secondo piano oggi dopo le varie inchieste si scopre che le donne oltre ad avere ruoli secondari, hanno un ruolo decisionale e incisivo nelle cosche. Pensiamo all’inchiesta “Artemisia” in cui le donne incitavano alla vendetta per la morte dei padri. Dunque la donna è l’elemento fondamentale come istigatore alla vendetta. O nel processo “Medusa”, ad esempio, in cui sono coinvolte figure femminili in cui alcune facevano da collettore per le tangenti, altre avevano un ruolo attivo di individuazioni dell’imprenditore e coordinavano i componenti della cosca ad andare da un imprenditore piuttosto che da un altro, e quanti soldi chiedere.





Cosa ti ha spinto a lavorare così attivamente nell’antiracket, oltre la componente familiare, in cui hai rivestito e rivesti ruoli di primissimo piano

In quell’esperienza iniziale non c’ero solo io. Quelle persone del clan a Cittanova girarono intorno a diverse attività presenti in città che si conoscevano tra di loro, i quali riuscirono a condividere e a mettersi insieme e a fare una denuncia collettiva. Io conoscevo una ragazza che fu minacciata con le armi, la quale poi testimoniò. Insieme a lei da figlie e da donne ci siamo rese conto che l’esperienza non poteva concludersi solo in sede processuale, quindi ci siamo messe alla ricerca e abbiamo fondato la prima associazione antiracket in Calabria. Poi la mia esperienza mi spinse a trasferire la mia esperienza ad altri e contrariamente a quanto si possa immaginare è stata molto positiva perché tutte quelle imprese che hanno denunciato hanno continuato a prosperare fino alla seconda generazione, mentre quelle aziende che hanno deciso di pagare oggi non esistono più sul mercato.





La ndrangheta, secondo lei, è cambiata negli anni, è diventata più efferata o meno incisiva?

E’ cambiata moltissimo e in termini negativi ha creato delle metastasi che è sempre più difficile da identificare. Mentre prima era la famiglia che controllava quel territorio e tutti dovevano rispetto ed obbedienza era, se vogliamo, “riconoscibile”. Ora che è entrata nell’economia diventa molto più difficile da individuare. Oggi ci sono attività commerciali che muoiono nel giro di pochi giorni. Il meccanismo è molto più insidioso perché anche la richiesta del pizzo in denaro diventa sempre un caso più raro. Ora si impone di dover prendere il materiale da quel grossista o vengono ad importi i servizi che devono fare alcune imprese piuttosto che altre. D’altra parte questi hanno fatto studiare i figli nelle migliori università, e ora sanno muoversi, sanno parlare in italiano senza inflessioni dialettali, sanno presentarsi nel mercati finanziari nelle banche del nord vestiti in doppio petto Armani a portare borse piene di soldi.





Quando vedo ipermercati enormi in zone di ndrangheta mi chiedo se un imprenditore onesto potrebbe fare tutto da solo, investire in questi territori, secondo lei è possibile”?

La risposta è no, non potrebbe mai farlo, purtroppo la risposta è no.

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