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Le donne di Kenge

Le donne di Kenge

Intervista a Patrizia Politelli - Un libro che vuole incuriosire, che genera domande e che non intende dare risposte

Bartolini Tiziana Giovedi, 29/07/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Agosto 2010

È un invito ad una conoscenza rispettosa ed intelligente dei tanti mondi che popolano il mondo. Dopo un soggiorno in Congo (Kenge) Patrizia Politelli ci regala una serie di istantanee, asciutte ed eloquenti allo stesso tempo, attraverso le quali si entra in contatto diretto con una realtà 'altra'. Una delle tante, che è interessante conoscere ed importante imparare a rispettare.



La tua è una narrazione senza giudizio. È stata una scelta o davvero hai vissuto così, per fare un esempio, Maman Christine, la 'carceriera del cibo'?

C’era poco da giudicare: si è trattato di un reciproco avvicinamento. Curioso, sospettoso, generoso. Se avvicini le persone e non i luoghi comuni, ti si presentano in tutta la loro ricchezza e nelle loro sfaccettature, così come anche tu, che puoi essere amabile o irritante a seconda delle situazioni e degli interlocutori.

Maman Christine, per esempio, era simpatica nei momenti di relax e insopportabile quando entrava nel suo ruolo di cuoca. Quello era il suo momento di potere e le chiavi della dispensa lo strumento di controllo, punizione o elargizione.



Il motivo del tuo viaggio è stato un corso di formazione alle donne. Quali erano gli obiettivi delle lezioni e alla fine che idea ti sei fatta?

Abbiamo lavorato insieme sulle storie di vita, sulle autorappresentazioni individuali e collettive, sulle attese, sulle speranze, sui macigni materiali, mentali, politici che si oppongono anche ad un minimo miglioramento. Sulla percezione che comunque è sempre altrove che si decide.

Il soggiorno è stato breve ed è solo un inizio, ma l’impressione che ne ho tratto è di una grande vitalità di relazioni. Loro non hanno certo bisogno di noi per sapere dove operare e come, ma hanno bisogno di riconoscere il valore di quello che fanno e che sia riconosciuto da altre. Hanno bisogno di non essere lasciate sole, di condividere, mettere in discussione e rafforzare la via che stanno percorrendo.

E noi abbiamo bisogno di loro per imparare altre strade, per misurare i pregi ed i limiti di ciò che abbiamo fatto, per aprire l’immaginazione ad una concezione multipolare dell’universo che non ci veda, necessariamente e sempre, protagoniste.



Cosa ti ha più colpito nel tuo viaggio e soggiorno?

La sapienza della vecchiaia e dell’infanzia. Noi stiamo atrofizzando la curiosità e vitalità dei nostri bambini (rimpinzandoli di attività, informazioni e cose) e rinnegando il patrimonio della vecchiaia, dell’esperienza, della storia. Bambini costretti a fare gli adulti e vecchi/e rintanati/e in maschere giovanilistiche senza spessore e senza sviluppo. Tutti gli incontri quotidiani mi riportavano alla semplicità dello scorrere del tempo e alla sterilità dell’eterno presente.



Perchè hai scritto il libro?

Mi sentivo testimone di un lavoro collettivo, caparbio e consapevole della sua necessità e della sua forza, della possibilità di uno sviluppo, della certezza che quelle sono le basi per cambiare il mondo. A partire dalla fatica delle braccia e delle gambe delle donne, dal loro impegno a modificarne l’immagine sociale, normativa, mentale.

 



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Patrizia Politelli

'Di notte si vede ancora di più'

Ed Manni, pagg 100, Euro 12,00



(9 agosto 2010)



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