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"Le dee del miele" di Emma Fenu. Recensione di Altea A. Gardini

Una saga familiare, ispirata alla realtà, in una Sardegna intrisa di mito e memoria, in cui spetta al mondo muliebre vegliare sulla vita e sulla morte. Una storia di creature legate dai fili del destino fino a divenire parte l’una dell’altra,

Giovedi, 21/04/2016 - Emma Fenu, "Le dee del miele", Milena Edizioni, 2016.



Sinossi:

Una saga familiare, ispirata alla realtà, in una Sardegna intrisa di mito e memoria, in cui spetta al mondo muliebre vegliare sulla vita e sulla morte.

Una storia di creature legate dai fili del destino fino a divenire parte l’una dell’altra, tramite un cordone ombelicale di sangue, luna, farina, miele, mistero e agnizioni.



Una storia di Donne.

Donne madri, forti come Dee,

capaci di rinascere dopo infinite eclissi.

Donne mamme, lune piene, dolci come miele.

Dee del miele.



Vorrei presentarvi l’ultimo libro che ho letto, “Le dee del miele” di Emma Fenu.

C’è un respiro di echi lontani mentre scorrono le pagine "Le dee del miele" di Emma Fenu, un maestoso, seppur breve, inno alle divinità madri.

Un’eterna ascesa all’altare del sacrificio di moltitudini di vestali, vergini di paure e impudiche di osservazioni. Una costante, continua preghiera all’alto degli dei e cicliche discese tra il mondo degli uomini per spargere caldo miele e chicchi di dolci melagrane, a memento dell’eterna mortalità ma promessa di costante rinascita.



Siamo tutte delle dee delle méssi, che accompagnano la primavera al suo culmine e la custodiscono quando il gelo del distacco dall’amore di nostra figlia Persefone si fa più presto.

Un circolo verso l’alto e una discesa verso i misteri di culti e antri fatati. La rivelazione di cosa si cela dietro il velo della casa di sorella Ade.

Un mondo fatto di voci lontane e vicine, di spiriti eroici di altri prima di noi, provati da saggezza e punizioni. Ade non è malevola ma carezzevole a chi la sa ascoltare.



Di rado è concesso di sentire le voci di Ade, le piace giocare con le gocce di pioggia che baciano il terreno sotto cui vive, i fiori che le ricordano la sua amata Persefone, sua figlia e sorella senza che sia stata lei a darle la vita, ma che le ha donato la possibilità di sapere che nulla c’è da temere dalla morte.

Lei e Demetra, madri di uno stesso ciclo vitale, spettatrici di creazioni e sincretismi di chicchi di melagrana che si trasformano in alveare, per dare al mondo e alle donne il miele, cosi che possano profumare le loro pelle e formare connessioni infinite tra ulteriori cicli.



Il romanzo "Le dee del miele", di una dolcezza tempestuosa, parla di donne. Parla di Demetra, di Persefone e di Ade che sono talvolta tre, altre volte una, come l’eco e il suono che lo ha generato. Un circolo di donne che si innalzano all’altare come sacrifici ma ne rinascono come cibo amalgamato a conoscenza.

Un fluido scorrere di oro giallo che ci tiene una vicina all’altra contando petali di rose, all’interno di una teca, che sfioriscono finché non avremo ascoltato le voci del passato o della persona che nessuno, tranne noi, vede alla nostra sinistra, e l’avremo amata e ci saremo svegliate salvate e cresciute.



Ora ho il piacere di rivolgere tre domande all’autrice, Emma.



Buongiorno, Emma, descriviti in tre parole.

Buongiorno e grazie Altea.

Sono: complessa, femminile, entusiasta.



Come si è formata la tua penna?

È in via di formazione, ha i mille volti delle Dee e di Alice, con i dovuti limiti.

La ho nutrita di centinaia di libri, racconti orali e sogni.



Come è nato "Le dee del miele"?

È germogliato nella terra gelata, sotto i fiocchi di neve di Copenhagen, in cui vivo come espatriata: ho ricordato la mia terra, la Sardegna, le mie ave, la mia infanzia, la mia identità che non è chiusura, ma consapevole apertura all’accoglienza dell’altro, che può arricchirci immensamente senza sottrarci il dono prezioso della memoria.





di Altea Alaryssa Gardini

archeologa e recensore

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