Mondo/ Afghanistan - Il libro di Elena Montecchi sull'Afghanistan è ricco di dati, storie, citazioni. Un testo che fa riflettere sulle condizioni del Paese e sul suo possibile futuro
Giulia Salvagni Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2005
“Sono partita quasi per caso per Kabul (…) a rappresentare il Gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra nel Gruppo di contatto delle Deputate italiane”, racconta Elena Montecchi. Da quel viaggio è scaturito una sorta di diario pubblicato oggi dalla Aliberti editore con il titolo “Le bimbe di Kabul”. Il testo è ricco di dati, storie ed opinioni della deputata emiliana che riflette sulle condizioni delle donne afgane e sul futuro delle bambine: “Ma il loro futuro non si giocherà solo in Afghanistan. Spetta anche ai governi e all’opinione pubblica occidentale capire la complessità di quel Paese, nel quale non vi saranno né democrazia né rispetto dei diritti umani sino a quando le donne non otterranno lo statuto e la dignità delle persone”.
Gli obiettivi di quella missione erano due, valutare lo stato di avanzamento della ristrutturazione di due scuole femminili nel 7° distretto di Kabul, finanziato dalla Camera dei Deputati, e aiutare le candidate alle elezioni politiche afgane, attraverso uno scambio di esperienze.
L’autrice rifiuta la definizione “islamici moderati” cita piuttosto molti intellettuali del Terzo mondo, tra questi diversi sono islamici, per sostenere l’idea della necessità di una “laicizzazione dello Stato”.
“L’unità di misura, per parlare di democrazia, è sempre così. Andare a guardare cosa accade ad un preciso sesso, quello femminile” afferma la deputata intervistata da noidonne. E aggiunge: “In quei Paesi dove si combina ‘appartenenza etnica’ a ‘tradizione tribale religiosa’ la cosa diventa esplosiva a discapito delle donne. Sta accadendo anche in diversi Paesi dell’Africa che si stanno islamizzando. Noi abbiamo una grossa responsabilità nei confronti di quelle nostre sorelle. Ed io condivido il tema che pone Emma Bonino, che conosce molto bene quelle realtà, sul promuovere la crescita di una società civile femminile”.
In Afghanistan ci si trova a competere con una cultura che supera le interpretazioni più intransigenti dei codici tribali. I talebani hanno sempre vissuto in comunità esclusivamente maschili, le madrase; i mullah (i loro maestri) hanno dipinto le donne come pericolose tentatrici. Non a caso i talebani imposero alle donne di non cantare per non attirare l’attenzione di “gente indegna che non le guarda con occhio giusto”.
Elena Montecchi cita nel suo libro Fatema Mernissi, scrittrice di “Islam e democrazia”, e racconta che anche uno dei leader del fondamentalismo algerino, Abbas Madani, mette in guardia i giovani: “Donne e vino sono alla base dei disordini economici e politici del Paese”.
“L’autista del pulmino rifiuta ostinatamente di aiutarci a scendere da quel mezzo scomodo perché non vuole toccarci – scrive Elena -. Dopo due giorni di richieste di aiuto, si convince e con un po’ di difficoltà, agguanta le nostre braccia per tirarci fuori dall’abitacolo. Almeno con lui abbiamo sfondato la barriera del pregiudizio. Per quanto riguarda le barriere più grandi e più profonde che separano uomini e donne nella società afgana noi possiamo fare ben poco se non sostenere, assecondandoli, i processi di cambiamento che sapranno mettere in moto le donne afgane”.
Lascia un Commento