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Le Americhe al Vertice

Le Americhe al Vertice

Gli Stati Uniti smettono di attaccare e spendono grandi sorrisi e strette di mano ma ancora non hanno delineato una politica nei confronti degli altri paesi del continente

Sabato, 09/05/2009 -
Il vertice delle Americhe di Trinidad e Tobago, che si è svolto dal 17 e 19 aprile scorso, come spesso accade in occasioni di questo tipo, si è concluso con un nulla di fatto. Il documento finale, una “dichiarazione di compromesso” in 97 punti molto generici su come promuovere la democrazia, la “prosperità umana”, la sicurezza pubblica ed energetica, la sostenibilità ambientale, i diritti dei migranti, non ha ottenuto il consenso degli stati partecipanti ed è stato firmato, simbolicamente, solo dal primo ministro di Trinidad e Tobago Patrick Manning. Non si è arrivati neanche a discutere di quello che doveva essere l’argomento centrale dell’incontro e cioè la crisi economica globale e il modo di affrontarla. Su tutto aleggiava, neanche tanto celatamente, lo spettro delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba, unico paese dell’emisfero a non essere rappresentato nell’incontro. Ma più volte tirato in ballo, direttamente e non, dai protagonisti della Cumbre, in primis i rappresentanti dei paesi aderenti all’ALBA ( Alternativa Bolivariana per le Americhe). La richiesta di sospendere l’embargo non è stata presa in considerazione dagli USA e ha scatenato, dopo il Vertice, le ire di Fidel Castro contro Obama, che pure aveva espresso precedentemente apprezzamenti nei confronti del nuovo Presidente USA.

Nessuna decisione presa dunque, ma soddisfazione da parte di tutti i presenti. Come mai? Perché tutti pensavano che avrebbe avuto luogo una battaglia e invece si è assistito ad un dialogo, duro a volte e con posizioni radicali, ma con un atteggiamento generale rivolto a trovare un accordo piuttosto che motivi di divisione. E questa è indubbiamente la novità più grande. Barak Obama, che aveva sulle spalle il peso dell’eredità di Bush e di otto anni di sistematica distruzione dei rapporti con l’America Latina (Bolivia e Venezuela hanno interrotto le relazioni diplomatiche con gli USA durante la presidenza Bush), ha detto di voler instaurare una nuova forma di vincoli con il vicino Sud, basate sul riconoscimento dell’eguale dignità e sulla non ingerenza negli affari interni degli altri paesi. Soprattutto quest’ultima affermazione è assai importante e prefigura realmente nuovi scenari. Affermando che gli Stati Uniti non interferiranno nella politica interna dei paesi vicini Obama ha detto due cose.

La prima è che riconosce la legittimità dei processi politici e la sovranità nazionale delle nuove democrazie latinoamericane. La seconda è l’ammissione che gli Stati Uniti nel passato, anche molto prossimo, hanno effettivamente tentato di influenzare, quando non sono direttamente intervenuti, proprio per manovrare quei processi politici di rinnovamento avviati. Si riferiva, implicitamente, alle responsabilità degli USA nel fallito colpo di stato contro Chavez in Venezuela nel 2002 e al ruolo dell’ex Ambasciatore americano Golberg in Bolivia, già capo della commissione statunitense a Pristina, in Kosovo, e implicato nella creazione delle condizioni per la secessione del Kosovo dalla Serbia, accusato da Morales di sostenere le spinte secessioniste delle province orientali e per questo dichiarato persona non grata nel 2008.

Il nuovo corso nelle relazioni con Venezuela è stato rappresentato dalla ormai storica stretta di mano tra i due protagonisti e dall’omaggio ad Obama del libro ‘Le vene aperte dell’America Latina’ (tra l’altro balzato al 2° posto nelle vendite mondiali dopo il gesto di Chavez, ndr); le relazioni più trasparenti con la Bolivia sono state impostate a partire dalla discussione per nomina di un nuovo ambasciatore. Tale atteggiamento aperto  è poi stato confermato anche dalle dichiarazioni di Jimmy Carter, ex Presidente USA e Premio Nobel per la Pace nel 2002, che, durante un recente viaggio in Bolivia, ha affermato di essere sicuro che “gli Stati Uniti si opporranno assolutamente a qualsiasi movimento separatista in Bolivia” e di essere fiducioso che tra i due paesi presto verranno ristabilite relazioni diplomatiche.

Tutto politically correct, insomma. Ma a chi pensa che dietro i grandi sorrisi ci sia effettivamente un grande accordo occorre ricordare che, per usare una metafora calcistica, i protagonisti di questa storia stanno ‘facendo melina’. Nessuno fino ad ora ha interesse a prendere l’iniziativa. Obama sa bene che nei prossimi mesi non potrà dedicare grande attenzione ai suoi vicini, impegnato com’è con la devastante crisi economica interna e con tutti i fronti di guerra aperti da Bush dai quali diventa sempre più difficile disimpegnarsi; ma è cosciente che il tema delle risorse naturali e dei mercati si fa sempre più urgente.

Gli stati sudamericani, apparentemente forti ed uniti in questo momento, hanno ancora grande bisogno di tempo per lavorare ad una effettiva integrazione regionale (la questione degli accordi commerciali con la UE e di Trattati di Libero Commercio con gli USA negoziati in maniera bilaterale dimostrano la fragilità del continente) per poter davvero presentarsi ad un tavolo di trattative con un peso politico condiviso e forte e non solo come serbatoio di energia e materie prime per i ‘grandi’ del pianeta.

Le reali decisioni politiche sulle nuove relazioni tra USA e gli stati del continente sono di nuovo rimandate.



Nadia Angelucci

 

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