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Le affinità: anche le bielorusse hanno il loro “papi”

Le affinità: anche le bielorusse hanno il loro “papi”

Bielorussia - La campagna shock del presidente Aleksandr Lukashenko contro “il commercio e lo sfruttamento del fascino nazionale”. Obiettivo: non lasciar fuggire all’estero le belle donne

Cristina Carpinelli Lunedi, 22/02/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2010

Nel 2005 il governo bielorusso aveva adottato un provvedimento che gli fece guadagnare le prime pagine sui giornali europei. Il presidente della Bielorussia, Aleksandr Lukashenko, aveva, infatti, con tanto di decreto, stabilito quale “risorsa strategica nazionale” la bellezza delle sue concittadine. Le donne locali, bellissime, tentate dalle promesse di una vita più agiata e libera in Europa occidentale, dovevano essere controllate e pe-dinate, per evitare che ai poveri uomini bielorussi rimanessero solo le donne meno attraenti. La bellezza veni-va sottoposta a “tutela commerciale particolare”. Tasse, dazi, autorizzazioni impossibili per le agenzie stranie-re di moda, permessi scritti del governo per le giovani e affascinanti signore che intendevano espatriare. In breve: vietato lasciar fuggire all’estero le belle donne.

#foto5sx#Quasi tutte le ragazze-immagine, dotate di fisici perfetti, erano da tempo introvabili. Le bielorusse più avve-nenti emigravano tutte all’estero, essendo tra le più richieste, con tariffe da capogiro, dalle agenzie internazio-nali di top model. Questo aveva fatto sbottare il presidente: “Ma dove sono finite le nostre belle ragazze? (…) Perché ce le lasciamo scappare tutte se poi in patria dobbiamo accontentarci di vedere solo francesine consu-mate e a fine carriera? (…) L’esodo in Occidente delle donne migliori (sic! - n.d.a.) impoverisce il paese e in-debolisce la razza bielorussa!”. Ecco perché Lukashenko aveva dato ordine di prendere “sotto il controllo di-retto e totale dello Stato” le belle bielorusse, inaugurando una campagna shock contro “il commercio e lo sfruttamento del fascino nazionale”. Il presidente bielorusso pensava, dunque, alle bellezze “nazionali”, ma non faceva nulla di concreto contro la prostituzione, vera piaga del paese, dato l’alto numero di bielorusse (povere e più sgraziate), che emigravano ogni anno per prostituirsi sulle strade dell’Europa dell’ovest. E chi pensava a loro? E cosa dire dei mercanti di prostitute delle disastrate ex repubbliche sovietiche, drammatica-mente ignorati se non protetti dai governi?

Ma il presidente bielorusso non finiva di stupire. Nel 2007 il suo governo varava un’altra misura in base alla quale chiunque entrava nel suo paese con la macchina doveva avere con sé oltre ai documenti anche dei preservativi. Non era un invito al sesso facile, ma una nuova norma introdotta nel codice di sicurezza sanitaria. Tutti gli stranieri che arrivavano con l’automobile (non quelli che utilizzavano il treno o l’aereo, forse perché in questo caso era più difficile appartarsi) dovevano avere con sé obbligatoriamente dei profilattici da esibire alla dogana insieme con i documenti. Era nato così un mercato sotterraneo del “preservativo” nei pressi delle dogane. Un vero e proprio business. Una fonte di guadagno per venditori più o meno autorizzati di profilattici, che avevano visto inaspettatamente innalzare le loro vendite. Accanto alle tradizionali bancarelle con frutta e ortaggi, si stavano attrezzando banchetti abusivi che vendevano profilattici a prezzi “concorrenziali”. Gli anti-concezionali erano parte di un kit che non poteva avere che il nome di “Kit di precauzione sessuale”. Oltre ai condom, conteneva anche i normali strumenti per il primo soccorso. Era un modo (certo singolare!) di argina-re il problema del contagio delle malattie che si trasmettono per via sessuale, e che stava dietro il redditizio tu-rismo del sesso. Ma era anche un modo, tuttavia, di sdoganare “de facto” la prostituzione in un paese che la vietava per legge. Era il solito antico vizio del doppio standard!

Ma qual è l’identikit di Aleksandr Lukashenko? Ama la politica (cioè il potere), lo sport (in particolare l’hockey su ghiaccio), ha il culto della madre (colei che si sacrifica per i suoi figli - una sorta d’idealizzazione dell’essere donna disposta all’umiliazione e alla rinuncia totale), ama le donne piacenti, incomparabili amanti (di cui ha, appunto, decretato il divieto di fuoriuscire dalla nazione), e delle donne in generale afferma: “Le donne mi piacciono perché hanno in sé bellezza, tenerezza e fedeltà…al marito e alla patria (dom)”. Vive in una megavilla.

Aleksandr Lukashenko ha origini contadine e prima di buttarsi in politica dirigeva un sovchoz, una fattoria statale. Democraticamente eletto presidente per la prima volta nel 1994, l’allora quarantenne Lukashenko (o Bat’ka Luka, “Papà Luka”, come si fa chiamare) diede una decisa sterzata alle politiche della giovane nazione (nata dallo sfaldamento dell’Unione Sovietica nel 1991), salvandola dagli effetti devastanti delle riforme economiche neoliberiste post-sovietiche (rifiutò le indicazioni del FMI, mantenendo gran parte degli apparati pubblici esistenti). Vinte una prima volta le elezioni, sei anni dopo fece il bis e poi si attribuì con un referen-dum poteri speciali per accentrare il potere sulla sua persona, stringere la morsa su quello giudiziario e ridurre il parlamento ad un’assemblea senza alcun ruolo e funzione. Con un altro referendum cambiò poi la costitu-zione, al fine di consentire al capo dello Stato più di due mandati. E fece, quindi, tris. Figlio di una donna single, Lukashenko afferma che vuole essere per il suo popolo il padre che lui non ha avuto: “Miei cari bielo-russi, non ho che voi al mondo, voi siete per me la cosa più cara”. Le sue figure guida sono Adolf Hitler (pub-blicamente elogiato, nel 1995, come uomo che aveva saputo riportare l’ordine in Germania dopo un decennio di caos democratico) e Josif Stalin, che incarnano la sua idea di rifondare un’Unione Sovietica panslavica con un’economia regolata dallo Stato e geograficamente allargata fino ai Balcani (per questo motivo la Bielorussia aveva sempre fornito fondi alla Serbia di Milosevic). Il suo stile è autoritario, e non si vergogna di questa sua caratteristica: “È necessario avere il controllo della situazione, e per far ciò bisogna fare di tutto per non rovi-nare la vita della popolazione”. Le sue parole e il suo atteggiamento sembrano aver avuto effetti positivi sul paese. Il tasso di disoccupazione è fermo al 2%, mentre il tasso di crescita del Pil raggiunge il 7,8%. Il suo controllo dell’informazione è totale. Il cervello della gente è inghiottito nel vortice della televisione e della ra-dio di Stato. Meno del 10% della popolazione accede regolarmente a Internet. In ogni caso, Lukashenko gode di un forte appoggio delle masse, la sua ipnotica popolarità è indiscussa, e con il suo carismatico populismo si dipinge come una specie di “Robinh Hood slavo”.

Silvio Berlusconi è amato dall’ex-direttore del sovchoz, che nell’aprile del 2009 è sbarcato in Italia proprio per incontrare il premier italiano e Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI. I rapporti con la Santa Sede erano già da tempo migliorati, dopo il viaggio del segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone a Minsk, tanto da trasformare Lukashenko in un ambasciatore del dialogo tra il Patriarca ortodosso Kirill e il Papa. Nella visita in Vaticano, accompagnato dal figlio Nikola, Lukashenko era stato accolto con tutti gli onori di un capo di Stato. Costui aveva, a sua volta, invitato il Pontefice a recarsi nel paese della piccola Maria-Vika, nascosta dai coniugi Giusto di Cogoleto (provincia di Genova) presso un istituto religioso, per non farla tornare nell’orfanotrofio di Vileika, in Bielorussia, dove la minore aveva subito violenze. Il sottostante lavoro di ricu-citura tra le Chiese era stata opera di Matthew Festing, Grande Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. Confusione di patriarchi. Tuttavia, per Lukashenko, il “vero patriarca della politica italiana ed internazionale” - cosi lo aveva definito - era Berlusconi, una persona “piena di energia”, che con “volontà e decisione” risol-veva velocemente crisi drammatiche come i rifiuti a Napoli e il terremoto in Abruzzo. Ai giornalisti che gli chiedevano se aveva dato dei consigli al premier italiano aveva risposto: “Berlusconi è una persona che non ha bisogno di alcun consiglio e anche se qualcuno in Italia lo chiama dittatore, il 75% degli italiani ripone fiducia in lui. Ero io a chiedergli consigli, lui non ne ha bisogno”. Recentemente, Berlusconi si è recato a Minsk, pri-mo leader di un governo occidentale ricevuto dal presidente bielorusso. In passato, Lukashenko aveva ricevu-to nella capitale solo leader politici come il colonnello Gheddafi, il presidente venezuelano Chavez e quello iraniano Ahmadinejad. In quell’occasione, il premier italiano ha avuto modo di contraccambiare le parole di cortesia che il presidente bielorusso gli aveva a suo tempo riservato: “Il suo popolo la ama, e questo é dimo-strato dai risultati delle elezioni che sono sotto gli occhi di tutti, che noi conosciamo e apprezziamo”. Parole che sembrano essere in sintonia anche con il nostro paese. Così come l’atmosfera generale che si respira in Bielorussia.



(22 febbraio 2010)

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