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Lavoro: sempre sostantivo maschile?

Lavoro: sempre sostantivo maschile?

Dis/occupate - Ovunque, anche in economia, manca una visione femminile. Se a cambiare fosse il punto di partenza dove potremmo finire?

Giancarla Codrignani Giovedi, 28/10/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2010

Il mondo è certamente una gabbia di matti. Anche i maschi - economisti e perfino giornalisti in primo luogo - raccontano la perdita prodotta, a tutti i livelli, dalla scarsa partecipazione delle donne al processo produttivo, ma nessuno - tanto meno gli addetti all'organizzazione reale del lavoro - fa i passi giusti per avviare a soluzione il rischio del danno collettivo. Un amico sindacalista Cisl, un paio di anni fa, mi faceva un discorso preoccupato sulle giovani che abbandonano il lavoro quando le responsabilità familiari si fanno pressanti. E ragionava: "le donne non sono più quelle di un tempo, educate più ad essere casalinghe che lavoratrici; oggi una ragazza che abbandona un lavoro anche non gratificante, ma necessario alle sue aspettative di vita, dopo due anni di accudimento di casa, bambino, quando non anche di un genitore non autosufficiente, rischia di finire frustrata". Perfetto. Eppure né lui né alcun altro sindacalista ha mai posto pubblicamente la questione come problema di tutti i lavoratori. Adesso vediamo aumentare le rinunciatarie e le laureate bussano alle agenzie di pulizie per un lavoro qualsiasi....

Alla fine dell'estate un'intera puntata di "Presadiretta" è andata in onda su RaiTre proprio per informare (una rarità, in tv) di tutti i fattori negativi a carico delle donne lavoratrici e del danno sociale che ne deriva. Ma nei normali dibattiti i conduttori reclutano le donne come individui (Raffaella Lamberti direbbe "non le ritengono individue") neutri, cioè "uomini" e non fanno emergere correzioni di sistema se, per esempio, i servizi fossero una priorità.

Ma ormai siamo all'allarme rosso: Chiara Saraceno dalla constatazione dell'inattività delle italiane nel contesto statistico europeo (dove sono finiti gli obiettivi di Lisbona?!), evocava, al di là della depressione di chi non cerca neppure più di spedire i curricula, lo spettro - che è "sollievo dei governanti"- del ritorno della dipendenza femminile dallo stipendio, ormai magro, di un uomo. Eppure, davanti alla minaccia di chiusura di una delle più importanti imprese nazionali di biancheria intima, con manodopera quasi esclusivamente femminile, a Bologna la rabbia delle lavoratrici è esplosa in un grido d'allarme: "Mai casalinghe per forza, piuttosto occupiamo". Questo "per forza" traduce in termini feminili l'articolo 1 della Costituzione.

Quello che manca è, appunto, purtroppo ovunque, la "visione" femminile. Sempre a fine settembre il Sole 24ore sosteneva l'inopportunità delle "quote rosa" nei consigli di amministrazione: in Norvegia, infatti, i risultati sono stati negativi. L'affermazione era priva di dati disaggregati che dimostrassero le responsabilità fallimentari attribuibili a donne-manager e non ai contraccolpi della crisi. Neppure io ho passione per le quote, ma nessun sistema negoziale elimina il pregiudizio che emargina il femminile e privilegia il maschile. Meglio del Sole 24ore, rende chiari i nostri problemi l'interrogativo di un'economista americana. Elinor Ostrom, la prima donna "Nobel per l'economia" (2009), a proposito della crisi finanziaria mondiale iniziata con il crollo della Lehman Brothers: "sarebbe andata in un altro modo se si fosse chiamata Lehman Sisters?". La battuta non significa che, se invece dei fratelli ci fossero state le sorelle Lehman, non ci sarebbe stata la crisi mondiale; ma fa il paio con un'altra domanda paradossale: "e se l'economia non fosse costruita sulla competitività?". Elinor usa il metodo della trasgressione femminile per scoprire la nudità dei re e cercare di riposizionare le questioni.

L'economia è essenziale e vedremo quanto potrà progredire. Ma è una vera pena che tutti raccontino quanti miliardi perde lo stato per l'esclusione delle donne rifiutando il loro contributo teorico e pratico all'innovazione dei processi. Flessibilità e mobilità possono non essere solo un tormentone: la donna lavoratrice, perfino l'addetta alle pulizie o la straniera che non parla l'italiano, potrebbero diventare maestre di correzione di rotta di questi tormentoni, perché la vita femminile è di per sé flessibile.

Adesso siamo tutti al palo, anche perché l'Italia è il paese che, per responsabilità del malgoverno e di una cultura di sudditanza, da un lato passò alla sponda sicura dell'euro raddoppiando "dal basso" i prezzi in lire (il governo non impose per legge la dicitura del doppio valore) e dall'altro si trova con gli stipendi più bassi e il pagamento più alto alle banche - a spese del contribuente - del servizio del debito. Le donne finiranno anche loro per fare solo rivendicazioni. Ma desidererebbero rivoltare un poco il mondo economico davanti ad una crisi che sta diventando sistemica ed è destinata a cambiare anche questa fase del capitalismo (sulla cui definitiva stabilità nessuna scuola di pensiero giura).

Perché mai bisogna, tutte le volte che c'è una crisi, andare a fondo tutti insieme, uomini e donne, senza mai neppure tenere conto della domanda scomoda: "e se fosse sbagliato qualche punto di partenza?". Non ci basta se una donna che ha posto quesiti scomodi alla scienza ha ricevuto il Nobel....





(1 novembre 2010)

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