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Lavoro, diritto negato

Lavoro, diritto negato

Occupazione femminile - La crisi economica e finanziaria ha penalizzato soprattutto donne e giovani. Per superarla bisogna coniugare la democrazia con la crescita

Rea Anna Martedi, 10/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2012

Scorrendo i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro a primo acchito si evince un dato positivo per le donne lavoratrici che, dal 1997, sono aumentate di 200 milioni di unità in tutto il mondo. Ma a guardare bene dietro a questi dati, analizzando la realtà Paese per Paese, si rivelano le tinte cupe delle condizioni in cui sono ancora costrette ad operare le donne.

La perpetrata negazione di diritti, in taluni casi anche quelli più elementari, le disuguaglianze salariali, le discriminazioni sui luoghi di lavoro, il tipo di occupazione in cui spesso sono “relegate” le donne, sono tratti di un presente poco confortante, ma che ci mettono in guardia sul lavoro e sugli strumenti ancora da adottare o da reinventare.

Ci sono donne nell’Asia del Sud o nell’Africa Sub-Sahariana che lavorano presso un familiare o privatamente, senza ricevere lo stipendio e senza nemmeno conoscere i diritti basilari. E ci sono giovani donne dell’Italia meridionale che lavorano anche 12 ore quotidianamente per poco più di 500 euro al mese; così come sono ancora tantissime le lavoratrici costrette a firmare dimissioni in bianco, prassi che estorce e nega la libertà di diventare madri. E ancora, occorre un rogo in un sottoscala, a Rosarno, per scoprire quante donne, soprattutto giovani, sono costrette a lavorare nell’anonimato, in nero, per 4 euro all’ora.

Se ci inoltriamo nel mondo arabo, in alcune gruppi religiosi musulmani, le donne non possono nemmeno fare la spesa, presentarsi in pubblico da sole, né possono vestire senza mortificare il proprio corpo, lì il lavoro femminile non è un diritto, ma è haràm, proibito. In tutti questi casi, con le dovute differenze, siamo di fronte ad un “oscurantismo dei diritti” esistente nel mondo orientale, quanto in quello occidentale globalizzato, tecnologico e del “benessere”. Anche qui, nei nostri “luoghi”, nella nostra cultura, che hanno visto, grazie alle generazioni passate, i frutti dell’emancipazione, la donna è ancora, come diceva Simone De Beauvoir in una sua celebra opera del 1949, il “secondo sesso”. La donna è il “secondo sesso” non solo nei diritti, ma anche nelle opportunità e negli strumenti che le si offrono, per fare carriera, per avere ruoli eminenti in politica o nel mondo dell’economia e allo stesso tempo per conciliare la vita lavorativa con quella familiare. Allora, ci ritroviamo donne eclettiche, consumatrici di ore, di multi-attività e di lavoro da gestire spesso senza alcun supporto, senza leggi all’avanguardia, senza la presenza di un welfare efficiente e con poche, pochissime risorse. Eppure da più parti si è dimostrato come le aziende guidate da donne abbiano ottenuto risultati brillanti e lo stesso Governatore della Banca d’Italia e le numerose statistiche hanno, in più occasioni, ribadito quanto l’occupazione femminile possa incrementare la crescita del PIL.

L’attuale crisi economica e finanziaria non ha aiutato le donne, anzi, sono state le prime ad essere state penalizzate insieme ai giovani.

L’Italia è il fanalino di coda dell’Europa in quanto ad investimenti nel welfare, (nonostante il drenaggio fiscale che si ha sul costo del lavoro) lo abbiamo visto per ultimo con le scelte inique sulle pensioni, ma anche con i tagli efferati che il Governo Monti ha dovuto realizzare nella sua politica di austerity agli Enti Locali, ai Servizi sociali, alla Sanità, alla Scuola, tutti settori che gravano direttamente o indirettamente sulla vita sociale, economica e lavorativa della donna. E la stessa riforma del Lavoro non sembra andare nella direzione giusta: si era partiti per dare tutele ed opportunità a chi oggi non le ha, in un mercato del lavoro ingessato e troppo precario, e si è giunti per togliere le tutele già esistenti, come la cassa integrazione, la mobilità, che hanno scongiurato la possibilità di un’implosione sociale nel momento più difficile della crisi.

Mi auguro che la Ministra Fornero non dimentichi proprio le donne, a partire dalla possibilità di ridarle dignità eliminando il ricatto della firma in bianco, ritornata in grande uso da parte di molti nuovi “padroni”. Ma insieme alla battaglia per i diritti, contro le discriminazioni e la violenza, in questi duri anni di crisi economica, finanziaria, sociale ed anche politica, la madre di tutte le battaglie per le donne e con le donne è quella di saper coniugare la democrazia con la crescita. È questa la battaglia ancora in corso delle donne nel Mediterraneo, lo era per quelle argentine, colombiane, come per le donne cinesi ed indiane.

Senza prospettive occupazionali saremmo costrette a faticare di più e a dividerci per poche ricchezze. E come la storia ci insegna saranno i più forti a vincere, sarà la “legge della giungla” a prevalere.

Prospettive di crescita, quindi, chiediamo all’Europa, così lontana dagli obiettivi del trattato di Lisbona e che si affatica a proporre soltanto misure di austerità che peggiorano le condizioni di vita di milioni di donne e di cittadini, piuttosto che adottare un contratto sociale. E non basta il fiscal compact, firmato lo scorso 2 marzo a Bruxelles da tutti i capi di Stato, ma servono azioni virtuose per lo sviluppo e l’equità sociale. Sono sicura, che in questa direzione, le donne che “muovono il mondo” potranno e sapranno fare la differenza nelle politiche future.







* Segretario Confederale UIL nazionale



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