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LAVORO DELLE DONNE: FRAGILITÀ E POTENZIALITÀ OGGI E NEL FUTURO. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

LAVORO DELLE DONNE: FRAGILITÀ E POTENZIALITÀ OGGI E NEL FUTURO. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Una lettura del lavoro delle donne attraverso storie e testimonianze diverse che parlano di ricerca di autonomia, di nuove idee di cura del benessere delle persone e del territorio

Giovedi, 15/09/2022 - A CONCLUSIONE DEL PROGETTO 'DA SOLE NON C'E' STORIA. DONNE AL LAVORO TRA PASSATO E FUTURO' GIOVANNA BADALASSI, COMPIE UNA LETTURA COMPLESSIVA DELLE TESTIMONIANZE RACCOLTE NEI TERRITORI DEL LAZIO ANALIZZANDO PUNTI DI DEBOLEZZA E POTENZIALITA' CHE CARATTERIZZANO IL LAVORO FEMMINILE IN QUESA FASE. IL VIDEO CHE ACCOMPAGNA QUESTO TESTO E' RELATIVO ALL'INCONTRO A DISTANZA del 13 SETTEMBRE 2022 IN CUI SONO STATE FATTE LE RIFLESSIONI FINALI DI ALCUNE DELLE PARTECIPANTI AL PROGETTO STESSO.

Il progetto realizzato da NOIDONNE TrePuntoZero - e sostenuto dalla Regione Lazio - “Da sole non c'è storia. Donne al lavoro tra passato e futuro - #lavoroperlei” capita in un particolare momento storico che impone una riflessione particolare grazie ad una serie di interviste a donne impegnate in diversi ambiti di lavoro e di impresa nel territorio del Lazio.

IL CONTESTO

#lavoroperlei tratteggia infatti un ritratto umano e professionale di come il lavoro femminile stia evolvendo nel territorio, cercando di comprenderne i punti di forza e di debolezza, ma anche le opportunità e le minacce di fronte alle sfide del futuro.

Possiamo così ascoltare la storia di imprenditrici “produttive” impegnate nella cultura idroponica, nella produzione di alimenti tipici e di oggetti di arredo con le pelli di bufala, nella pastorizia, ma anche di cooperatrici nel sociale, dedite al recupero di persone vulnerabili, ai servizi alla persona per famiglie, bambini e anziani, oppure alla formazione e all’inserimento lavorativo o alla gestione di comunità rurali.

Si tratta di storie imprenditoriali che consentono di cogliere i legami e i riflessi “glocal”, di scoprire come le dinamiche generali, che appaiono spesso così distanti, arrivino invece direttamente a riguardare anche la dimensione territoriale delle zone rurali o della periferia dei grandi centri urbani, solo apparentemente non toccate dai grandi cambiamenti in corso. Esiste invece un collegamento forte tra la dimensione macro e quella micro, che riguarda anche le donne e il contributo che queste possono dare alla collettività e all’economia.

A livello globale veniamo da una crisi economica lunga più di dieci anni, alla quale si è aggiunta una pandemia epocale, il cambiamento climatico, quello tecnologico, le dinamiche inflazionistiche e la crisi energetica legate alle tensioni geopolitiche, non ultime la guerra in Ucraina. Le diseguaglianze economiche e sociali sono così diventate sempre più ampie, soprattutto quelle di genere.

Le donne, a livello generale così come in quello territoriale, possono quindi essere vittime particolari di questo momento storico. Le dinamiche del mercato del lavoro femminile sono infatti quelle deleterie dell’aumento del precariato, delle retribuzioni troppo basse, della segregazione nelle carriere, degli stereotipi di genere nelle professioni: il lavoro femminile in Italia è oggi così debole e fragile che penalizza le donne anche nelle loro scelte di vita e di emancipazione.

D’altro canto, la complessità del momento e il patrimonio di talenti e competenze dei quali oramai le donne dispongono fanno sì che queste possano essere anche le protagoniste del cambiamento, basti pensare all’impegno delle donne nei mestieri sanitari più esposti durante la pandemia o alla loro continua crescita nei percorsi di carriera in questi ultimi anni, per quanto la parità effettiva sia certamente ancora lontana.

In questo contesto generale, il progetto #lavoroperlei offre l’opportunità di scoprire nelle storie individuali e nei singoli vissuti una corrispondenza di dinamiche e di senso che le colloca all’interno di un disegno ben più ampio, mostrandoci come tutto si tiene, e come ciascuna esperienza individuale non sia un unicum a sé, ma si collochi all’interno di una dimensione collettiva della quale tutti facciamo parte e alla quale tutti contribuiamo.

LE TANTE SFUMATURE DELLA CURA

Tutte le storie imprenditoriali narrate in #lavoroperlei possono ad esempio essere collegate tra di loro attraverso quella che è la dimensione della cura, così intensa nella cultura femminile, che si ritrova sempre in modo trasversale in tutti i racconti, anche se declinata in modi diversi ma comunque sempre all’insegna dello slancio verso le persone, l’empatia, la disponibilità, il desiderio di fare sempre meglio. Ritroviamo quindi la cura intesa come alimentazione, nutrimento, accudimento, dedizione alla crescita, delle persone così come delle produzioni e delle imprese. Si tratta di un modo diverso di fare le cose, una vera e propria postura che può guidare, sostenere ed accompagnare tutte le imprese, anche le più diverse, grazie all’eredità di un retaggio culturale antico.

Questo approccio di cura si colloca poi nell’ambito di un preciso territorio che è anch’esso attore e protagonista di tutte queste storie. Se la lavorazione di pelli di bufala così come quella del cibo o dell’allevamento degli animali hanno un evidente legame con la terra e con l’ambiente, anche le esperienze legate ai servizi sociali, ai minori, alle donne vittime di violenza, rendono evidente una forte connessione con il territorioche fa risaltare il carattere “reale” del lavoro delle donne, alle prese con la concretezza quotidiana di problemi e bisogni delle persone, così distante dalla dimensione virtuale e rarefatta, frequente in tante professioni, spesso maschili, del terziario avanzato.

STEREOTIPI DI GENERE, CREATIVITÀ, PASSIONE

Un’altra dimensione importante che accomuna tutti questi racconti è ancora quella degli stereotipi di genere nelle professioni. Le donne sono entrate nel mercato del lavoro retribuito all’inizio soprattutto attraverso la trasformazione in una dimensione industriale della produzione cibo, tessuti o vestiti che per secoli avevano svolto gratuitamente a livello artigianale nelle famiglie. Si sono poi creati anche nuovi bisogni e nuove professioni, come quelle legate sempre alla cura, ai servizi per il sociale, per i bambini, gli anziani, le fasce vulnerabili ecc. È stato in un certo senso “naturale” che le donne diventassero protagoniste di queste nuove professioni, che hanno anch’esse trasformato in retribuito un lavoro di cura svolto gratuitamente per secoli all’interno delle famiglie. Si colloca quindi in questa evoluzione storica la nascita, la crescita e l’evoluzione della cooperazione sociale, le cui esperienze imprenditoriali sono partite spesso da collettivi di donne grazie all’esternalizzazione di alcuni servizi di welfare da parte dello Stato. La cooperazione sociale rappresenta quindi non solo un’opportunità di emancipazione femminile importante per le donne che vi lavorano, ma anche un supporto importante per soddisfare il bisogno di attività di cura delle lavoratrici, nell’educare e nel crescere le comunità, le nuove generazioni e nell’affrontare le vulnerabilità e le diseguaglianze in tutte le sue diverse forme.

La gioia e la passione delle intervistate nel raccontare il proprio percorso e nel descrivere il proprio lavoro, sempre sentito come alto e importante, deve però portare non tanto a chiedersi le ragioni e l’origine di un possibile stereotipo di genere inconscio, in questo caso benevolo, quanto a ragionare su come rendere questi lavori sempre più riconosciuti nel loro valore umano e morale, e, di conseguenza, nel loro valore economico, ad oggi ancora troppo penalizzato rispetto ad altri mestieri.

Lo stereotipo di genere nella sua versione più deleteria e penalizzante si scopre invece sempre nella difficoltà di alcune di queste imprenditrici nell’esprimere il proprio talento in mestieri tradizionalmente considerati maschili, come ad esempio quello della pastorizia e della conceria delle pelli, spesso e volentieri svolti in contesti ostili. Certo, viene da pensare come queste iniziative imprenditoriali avrebbero potuto crescere di più e più velocemente in assenza di tutti questi ostacoli e impedimenti, ma è innegabile che oggi vi sia una maggiore consapevolezza, oltre che competenza, spesso anche tecnica, da parte delle donne che ne rinforza la determinazione e la volontà nell’affrontarli e nel superarli.

Il superamento degli stereotipi di genere negativi o la valorizzazione di quelli positivi, come si può vedere da queste storie, deve quindi necessariamente passare attraverso una forte creatività.

Tutte le esperienze raccontate ne’ il #lavoroperlei sono infatti accomunate da un forte processo creativo e da un elevato tasso di innovazione, anche tecnologica, che si può esprimere in innovazione di prodotto, di processo, di servizi. Tutte le donne intervistate in qualche modo si sono infatti dovute “inventare” un lavoro che prima non c’era e che quindi nessuno aveva proposto loro di fare. Una creatività e propensione all’innovazione che è stato gioco forza esprimere attraverso l’autonomia del lavoro imprenditoriale e cooperativo.

LEADERSHIP E IMPRENDITORIALITÀ

La dimensione imprenditoriale o comunque di lavoro autonomo che contraddistingue tutte queste esperienze rappresenta quindi un’altra comune sfida per l’emancipazione oltre ogni stereotipo di genere: se il genere femminile è tradizionalmente visto come economicamente dipendente da quello maschile, l’imprenditoria femminile rappresenta senza dubbio una chiara manifestazione di autonomia, di leadership e di empowerment alla ricerca di una parità concreta e fattiva. Anche in questo caso, il percorso è lungo e impervio, denso di ostacoli, anche nella mancanza di competenze imprenditoriali delle donne che spesso si devono reinventare nel modo di gestire sistemi organizzativo complessi, magari partendo da esperienze iniziali più vicine all’autoimpiego che all’imprenditoria, e che poi, con il tempo e lo studio, evolvono.

CONCLUSIONI, IN PROSPETTIVA

#lavoroperlei è, in conclusione, un vero affresco collettivo composto da storie imprenditoriali che condividono un percorso comune attraverso un riconoscimento reciproco, favorendo così la creazione di dinamiche orizzontali di reteproprie della cultura femminile della relazione, alternative a quelle verticali di potere, così spesso praticate dalla cultura maschile della competitività e dunque dell’esclusione.

Si tratta quindi di un progetto “politico” nel senso più ampio e nobile del termine, teso ad alimentare una crescita collettiva a beneficio del territorio e della comunità.

Il futuro così denso di incognite può infatti essere affrontato solo attraverso la riscoperta di un nuovo senso di comunità che può partire proprio dal territorio e dalle realtà rurali più piccole, come ha così ben raccontato la community manager intervistata.

Le donne possono e devono quindi essere protagoniste della costruzione di questo nuovo senso di comunità e di condivisione di un comune destino, attraverso il loro lavoro e la loro potenza di cura, declinata in tutte le forme che abbiamo visto.

Questa capacità sarà infatti sempre più indispensabile per affrontare tempi così complessi e difficili grazie ad una forza trasformativa, di visione e di slancio che, partendo dalle singole esperienze imprenditoriali, saprà sprigionare sinergie importanti nella comunità, fino a proporre un contributo importante e costruttivo alla vita democratica del paese.

I cambiamenti ai quali stiamo assistendo hanno infatti bisogno di essere affrontati da Stati democratici e istituzioni con forti capacità di governo e di indirizzo che solo un elettorato coeso e maturo, di donne e di uomini in grado di resistere alle spinte populiste e sovraniste, può sostenere.

In questa prospettiva il contributo di donne come quelle raccontate da #lavoro per lei, nella loro molteplice veste di lavoratrici, imprenditrici, cittadine ed elettrici si potrà allora rivelare in tutta la sua pienezza di senso, di iniziativa, di capacità e di talento nel promuovere, sviluppare e sostenere il benessere comune per tutte e tutti.

Giovanna Badalassi


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