Parità/ Roma - Lavoratrice discriminata, perché in maternità, ha visto accolto il proprio ricorso grazie all’intervento del legale dell’Ufficio della Consigliera
Silvia Rulli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2005
Può capitare. Di essere donna, di avere una propria identità professionale, e insieme di avere una famiglia, di aspettare un figlio e di usufruire dell’ovvio congedo per maternità, previsto e giustamente garantito dalla legge. Ma può capitare, insieme, di essere, per tutto questo, discriminata. Come è successo alla dott.ssa S. M. L., dipendente presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Solo che stavolta il Tribunale di Roma – Sezione lavoro, ha accolto il suo ricorso e deliberato a favore della stessa. Il Giudice Cristina Monterosso ha pertanto stabilito il posto della ragione e del diritto, e disposto che la Direzione chiamata in causa provveda alla rimozione e alla riparazione del danno conseguente l’atto discriminatorio. Accanto alla parte lesa, la Consigliera di Parità Supplente della Provincia di Roma, dott.ssa Daniela Belotti, rappresentata e difesa dall’Avv. Gianna Baldoni. Chiediamo dunque alle protagoniste di questa significativa, per quanto amara, vittoria di spiegarci cosa ne determina l’importanza.
Avvocata, inizierei da lei, pregandola di riassumerci la vicenda giuridica.
La dott.ssa S.M.L, dipendente del Ministero del Lavoro, trovandosi in astensione obbligatoria per una recente maternità, non ha potuto partecipare ad un corso-concorso indetto dallo stesso ministero per accedere ad una categoria economica superiore a quella di appartenenza. Contrariamente alla prassi, sempre osservata dalla Pubblica Amministrazione, nel caso di specie, non era stata indetta una sessione di recupero del corso. La dott.ssa S.M.L. ha presentato ricorso al Tribunale di Roma - Giudice del Lavoro chiedendo di accertare l’illegittimità del comportamento discriminatorio tenuto dal proprio datore di lavoro. Il Ministero del Lavoro si è difeso affermando di aver agito secondo il principio di imparzialità ed ha osservato che l’effettuazione di una sessione di recupero, in attesa che le candidate terminassero il loro periodo di astensione obbligatoria, avrebbe determinato un vulnus all’interesse generale ed un deprecabile ritardo. La Consigliera di Parità ha inteso avvalersi della facoltà di intervento nel giudizio, ai sensi dell’art. 8 co. 5 d.lgvo 196/2000, al fine di ottenere l’accertamento del carattere discriminatorio della condotta posta in essere dal Ministero del Lavoro e la rimozione degli effetti. In particolare la Consigliera di Parità ha evidenziato la sussistenza di elementi di discriminazione diretta ed indiretta, posti in essere in violazione della normativa vigente, illustrandone il fondamento culturale e sociale. Il Tribunale di Roma, sentite le parti, ha accolto il ricorso della lavoratrice ed in via cautelare ed urgente ha ordinato al Ministero del Lavoro l’immediata predisposizione di un piano volto alla rimozione della discriminazione denunciata, mediante l’indizione di una speciale sessione del corso-concorso per l’accesso al superiore profilo professionale, al quale sia ammessa a partecipare la lavoratrice. Il Tribunale di Roma, pronunciandosi su un tema così poco “visitato” nelle aule giudiziarie, ha riconosciuto la rilevanza costituzionale dei principi di uguaglianza, opportunità e non discriminazione per le donne e gli uomini nel lavoro; principi trasfusi in una legislazione garantista, che impone l’adozione di “azioni positive” per la rimozione di ostacoli e l’effettiva realizzazione delle pari opportunità. Il Tribunale ha peraltro riconosciuto che la condotta discriminatoria ha arrecato alla lavoratrice un duplice danno, sia all’identità professionale, sia a quella di “madre – lavoratrice”; danno soggetto a permanere sino a che non ne siano rimosse le cause. L’azione positiva, omessa dal datore di lavoro, che avrebbe consentito alla lavoratrice di usufruire delle stesse opportunità degli altri colleghi, è stata imposta per decreto dal Tribunale.
Consigliera di Parità, ora chiediamo a lei di spiegarci il significato di questa sentenza.
Innanzi tutto, ci tengo a dire che si tratta della prima azione in giudizio che affronto in questo ruolo che ricopro già da due anni e che mi ha molto emozionato “lottare” accanto a S.M.L. per difendere il suo diritto di essere mamma e insieme lavoratrice. E ritengo che l’importanza di questo giudizio possa essere sintetizzata in pochi ma essenziali punti. La lavoratrice in questione si è rivolta al nostro ufficio lamentando il trattamento discriminatorio descritto mentre si trovava in congedo di maternità. E’ stato pertanto immediato, interessarsi al caso, da manuale direi, anche per gli aspetti umani forti e le implicazioni psicologiche connesse ad un evento tanto importante nella vita delle donne che lavorano e che non rinunciano per questo a “mettere su famiglia”, la maternità appunto, valore peraltro ampiamente tutelato a livello giuridico nel nostro paese (N.d.R. tema questo affrontato da Daniela Belotti nel suo libro “Tra lavoro e famiglia. Guida al Testo Unico sulla tutela della maternità e paternità”, di cui in questi giorni è uscita la seconda edizione a cura di Ed. CAFI), cui si aggiunge l’altro aspetto, non secondario vista la larga parte di donne che nel mercato del lavoro vanta curricula di tutto rispetto, quello legato alla professionalità. Intesa come possibilità di sviluppo di carriera, che non può venire meno quando la lavoratrice si trova a svolgere la basilare funzione sociale di madre (non si grida infatti da ogni parte che siamo l’ultimo paese in fatto di natalità e che questo è alla lunga un fattore grave per lo sviluppo della nostra società?). In secondo luogo, si trattava di una dipendente del Ministero del Lavoro, il che ha senz’altro contribuito a far ritenere sorprendente il comportamento tenuto, giacché, come tutti sanno, è proprio questo dicastero preposto alla tutela e vigilanza nel mondo del lavoro, quindi il garante tra l’altro della concreta e corretta attuazione della legislazione di parità e pari opportunità. In ultimo, mi è sembrato doveroso intervenire in giudizio al fine di rimuovere la ravvisata discriminazione, per affermare nel caso di specie, in un qual certo senso emblematico, come ho detto, il ruolo dell’istituzione che rappresentiamo sul territorio, al fine di acquisire un provvedimento giurisprudenziale, che, se positivo, avrebbe costituito un autorevole e significativo precedente per tutte le donne che, ancora oggi, sono discriminate nei luoghi di lavoro. Per quanto ancora in poche e, in pochi, si rivolgano a nostri uffici per denunciare tali discriminazioni.
Quale crede che siano le ragioni di tanta distanza tra gli organi istituzionali preposti all’effettiva attuazione delle pari opportunità e i cittadini?
Nel caso specifico della Consigliera di Parità, credo che molto dipenda dalla scarsa conoscenza e delle figura e della normativa che ne regolamenta compiti e funzioni. Per non parlare della difficoltà psicologica che gli interessati in genere hanno nell’affrontare un’azione in giudizio. Invece vorrei dire ai cittadini che le istituzioni, tra cui la nostra, possono, in molti casi, svolgere un importante ruolo a supporto delle persone che ad esse si rivolgono, a cominciare dalla diffusione di informazioni e dai servizi che offrono, gratuiti e improntati sulla competenza .
Se qualcuno ha bisogno di voi, dove è possibile trovarvi?
E’ stato disposto un accesso al nostro sito, aprendo la finestra chi siamo su quello della Provincia di Roma (www.provincia.roma.it ). Sulle nostre pagine web è possibile individuare nel dettaglio ogni informazione utile, dalla normativa vigente alle funzioni specifiche. L’ufficio si trova a Roma in Via Nomentana 54, è inoltre possibile contattarci scrivendo all’indirizzo di posta elettronica d.belotti@provincia.roma.it. Come vedete non stiamo nascoste, ma senz’altro anche noi incontriamo difficoltà nell’impatto con una cultura della parità che ancora, evidentemente, fatica a trovare una sua riconoscibile identità nella collettività.
Infine ecco l’intervento della protagonista della vicenda giudiziaria che, pur rimanendo anonima, più di ogni altro rende testimonianza dell’accaduto. Dott.ssa S.M.L, ci parli di questa esperienza che, per quanto a lieto fine, deve senz’altro aver rappresentato per lei un banco di prova molto importante.
Nel momento in cui ho realizzato con assoluta certezza che il corso supplementare non si sarebbe mai tenuto, i sentimenti che ho provato sono stati contrastanti, tra di essi ho anche avvertito una sorta di senso di colpa per l’accaduto, in quanto io avevo deliberatamente scelto di anteporre la mia vita privata a quella professionale e pertanto ora dovevo subirne le conseguenze. Ma poi, da una successiva e più attenta rielaborazione, ho deciso di affrontare la situazione e dire a voce alta quello che era successo. Ad essere decisivo è stato l’aiuto delle Consigliere di Parità, che mi hanno offerto una risposta pronta ed efficace e non si sono affatto limitate ad una semplice solidarietà femminile. Da questa esperienza ho compreso che in Italia, per quanto siano spesi ogni giorno fiumi di parole sulla parità, il cammino da percorrere è ancora molto lungo e si tratta spesso di una parità formale molto lontana da quella sostanziale. Inoltre credo sia fondamentale arrivare alla consapevolezza della necessità di una crescita personale, che prepari ciascuno ad affrontare le conseguenze delle sue scelte e soprattutto a lottare per difendere i propri diritti.
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