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Laurearsi per lavorare: quali opportunità?

Laurearsi per lavorare: quali opportunità?

I numeri della formazione - Aumento della disoccupazione, duplicazione dei titoli, discriminazioni di reddito e in base al sesso, tagli finanziari: le mille facce dell’istruzione universitaria

Pennello Alessandra Lunedi, 22/06/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2009

Si afferma da più parti che l’Italia potrà uscire dalla crisi puntando sul terreno dello sviluppo, dell’innovazione e della ricerca grazie alla dotazione di capitale umano. Questo significa che per le ragazze e per i ragazzi che oggi frequentano le università il futuro, se sapranno impegnarsi a dovere, potrà essere foriero di opportunità.

La parte femminile poi, così come annunciato nel Rapporto “The Bologna Process in Higher Education in Europe – Key indicators on the social dimension and mobility” divulgato nel mese di aprile, non solo ha raggiunto ma addirittura superato i colleghi maschi: tra i 25 ed i 34 anni ci troviamo di fronte a valori nettamente più alti per le ragazze (33,5% invece del 26,4% dei ragazzi). Eppure non riesco ad essere così ottimista leggendo alcuni dei risultati dall’XI Rapporto di AlmaLaurea “Occupazione e occupabilità dei laureati” che si basa sull’analisi di oltre 300 mila laureati di 47 università italiane, quasi il 90% dei laureati italiani.

La prima informazione interessante è stata quella che mi ha permesso di capire che il raddoppio del numero delle lauree tra il 1999 e il 2007 è, di fatto, dovuto alla duplicazione dei titoli (lauree di 1° livello e lauree specialistiche) tanto che il numero è lievitato fino al 2005, per poi arrestarsi e rimanere stabile negli ultimi due anni. Destinato poi a contrarsi nel prossimo futuro per effetto del calo degli immatricolati (-9% negli ultimi 2 anni).

Questo smentisce il luogo comune che in Italia ci sarebbero troppi laureati: nel 2006 i giovani laureati italiani fino ai 34 anni costituivano il 17% della popolazione totale, contro il 37% nel Regno Unito, il 39% negli Usa ed il 54% in Giappone.

Per quanto riguarda l’occupazione, la ricerca mette in luce come “escludendo coloro che già lavoravano al momento della laurea, l’ammontare dei laureati che ha fatto il proprio ingresso nel mercato del lavoro” sia salito “di oltre il 35% (da circa 55mila nel 2001 a 74mila nel 2007)”. Al crescere del livello di istruzione, crescono anche l’occupabilità e il reddito. Del resto “i laureati sono in grado di rispondere meglio ai mutamenti del mercato del lavoro”.

La seconda informazione interessante è riferita al fatto che chi è in possesso di un titolo di studio universitario presenta un tasso di occupazione di oltre 10 punti percentuali in più di chi ha conseguito un diploma di scuola secondaria superiore (78 contro 67%). Anche il reddito premia i titoli di studio superiori: misurato per la stessa classe di età (25 – 64), è più elevato del 65% rispetto a quello percepito dai diplomati di scuola secondaria superiore. A cinque anni dal conseguimento della laurea, la stragrande maggioranza dei laureati è comunque inserita nel mondo del lavoro, ma nell’ultimo anno l’occupazione è calata di 0,5 punti percentuali, la disoccupazione è aumentata di 3 punti, mentre la quota dei laureati occupati si è contratta – negli ultimi 7 anni – di 6 punti. Nei primi due mesi del 2009, rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, si è registrato un calo nelle richieste dei laureati del 23%, con forti contrazioni nei titoli di studio solitamente al vertice (- 35% per i laureati del gruppo economico-statistico, - 24% per gli ingegneri).

Gli uomini, all’interno di ciascun gruppo, guadagnano il 23% in più delle colleghe (1.158 euro contro 942); un’analisi approfondita mostra che a parità di condizioni gli uomini guadagnano in media 160 euro in più al mese.

La spesa pubblica nel campo dell’istruzione universitaria è pari allo 0,78% del PIL, contro il 2% dei paesi Scandinavi, 1,02% del Regno Unito, 1,16% della Germania, 1,21% della Francia e 1,32% degli USA. Per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo, l’Italia destina l’1,10% del PIL risultando così l’ultimo fra tutti i Paesi più sviluppati.



(22 giugno 2009)

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