L'attuale deriva antiabortista: una comparazione tra Italia e Stati Uniti
Nonostante la comparazione giuridica tra Italia e Usa subisca la grande differenza che intercorre tra civil law e common law, la comparazione politica sul tema dell’aborto rimane comunque interessante e attualissima
Giovedi, 21/02/2019 - In Italia, mentre la maggior parte delle femministe chiedevano la depenalizzazione dell’aborto, la legge 194/78 ha scritto nero su bianco che l’aborto è un diritto, ma non ha lasciato pochi problemi per la sua attuazione: i festeggiamenti sull’aver raggiunto un grande traguardo in Italia sono durati molto poco. Sulla Relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della 194 del 22 dicembre 2017 si legge a chiare lettere che l’obiezione di coscienza non ostacoli l’accesso all’aborto con tanto di analisi dei dati nazionali e regionali, nonostante l’Italia venga ripresa spesso in sede europea proprio per il contrario. La battaglia che si era sopita e riguardava soltanto l’applicazione di una legge, emanata più per far placare le acque che altro, ha trovato nuova linfa nelle attuali mozioni antiaborto dei vari comuni italiani. Un susseguirsi di documenti stravaganti con affermazioni preoccupanti al loro interno: Verona, Ferrara, Roma, Milano e Treviso. La Lega a Verona con la mozione 434 del 4 ottobre 2018 è la prima a parlare di una “mancata applicazione” della legge, ma riferendosi all’aborto clandestino ancora in auge e al “ricorso all’aborto come contraccettivo” e non alla dilagante obiezione di coscienza. Il messaggio è lapalissiano: se alle donne si offrisse un’alternativa, “un piccolo aiuto economico o la possibilità di un lavoro” il tasso di IVG diminuirebbe, ma ciò che salta all’occhio è soprattutto un riferimento alla fantomatica “crisi demografica” causata dalle pillole abortive che contribuiscono alla “cultura dello scarto”. Di fondo ovviamente vengono addotte preoccupazioni riguardanti la “salute fisica e psichica della donna” che abortisce, nulla che non avessimo già sentito. A Roma, invece, Fratelli d’Italia il 9 ottobre 2018 presenta una mozione antiabortista e il giorno dopo a Ferrara senza applicarsi particolarmente nel testo ripropone quello della mozione di Verona quasi per intero, dopo aver aggiunto, tolto, smussato qualcosina qua e là. A Milano, dopo il tentativo del centrodestra di far approvare una mozione antiaborto poi ritirata grazie alle pressioni di NonUnaDiMeno, Forza Nuova ripresenta un inno alla vita nel Municipio 5. Ad aggravare la situazione il 21 febbraio 2019 viene discussa la mozione a Treviso contro l’aborto e le famiglie omosessuali, mentre già dall’inizio del mese il Consiglio Regionale della Liguria ha approvato un’altra brillante mozione antiaborto del partito di Giorgia Meloni riproponendo, per lo più contenente come i testi precedenti, la mancata applicazione della legge in toto e la difesa del diritto alla vita.
La grave situazione politica in cui verte il nostro paese, in realtà, viene a pesare maggiormente quando ci si rende conto che sia il frutto di un vento che attraversa anche l’oceano. In America è la sentenza Roe v. Wade della Corte Suprema a dettare legge nel 1973, così l’aborto è riconosciuto come diritto. La sentenza per anni, come la nostra 194, ha lasciato una scia di inadeguata applicazione sino all’ultima sentenza Whole Woman’s Health v. Hellerstedt del 2016 che invalida le cosiddette Targeted Regulation of Abortion Providers (leggi TRAP) che tentano di porre restrizioni statali all’aborto. Un po’ come in Italia, in Usa esistono i movimenti pro-life e gli abortisti/e pro-choice che si danno filo da torcere da decenni, alcuni pro-life sono arrivati sino all’omicidio di alcuni medici che provocavano l’aborto. Ora la crisi è vicina, con la presidenza Trump la Roe v. Wade è a rischio essendo la Corte Suprema composta da giudici pro-life dopo le nuove nomine: i nove giudici ora sono quattro liberal (Stephen Breyer, Ruth Bader Ginsburg, Sonia Sotomayor ed Elena Kagan) e cinque conservatori (Samuel Alito, Clarence Thomas, John Roberts, Neil Gorsuch nominato da Trump nel 2017 e Brett Kavanaugh nel 2018). Per ribaltare la sentenza ci vorrà tempo, ma un po’ come per le nostre mozioni comunali, il problema deriva dalla possibilità che ogni singolo Stato crei sempre più restrizioni all’aborto, lasciando alle Corti d’Appello federali l’ultima parola sui singoli casi, senza contare che l’obiezione di coscienza è difesa spudoratamente, ma si chiama clausola di rifiuto. Ricordandoci comunque che Donald Trump, che si diceva inizialmente pro-choice ha purtroppo cambiato idea: il 30 gennaio 2018 ha proposto invano al Senato di rendere illegale l’aborto dopo la ventesima settimana; il 19 maggio 2018 ha promosso il taglio dei fondi federali alle cliniche che praticano l’interruzione di gravidanza e che forniscono consulenza a riguardo; e il 5 febbraio 2019 si è pronunciato contro l’aborto e a favore della vita, sapendo che l’appoggio dei pro-life è fondamentale per la campagna presidenziale 2020.
Lo stato della questione in Italia e Stati Uniti è allarmante, perché stiamo mettendo in discussione un diritto basilare per cui tante e tanti prima di noi hanno lottato, credendo di aver vinto. Ma è proprio vero: le battaglie si possono vincere o perdere, l’importante è vincere la guerra.
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