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L’ozio: vizio o utopia?

L’ozio: vizio o utopia?

Sondaggio - “Nell'ozio, nei sogni, la verità sommersa viene qualche volta a galla”, Virginia Woolf, Una camera propria.

Rosa M. Amorevole Martedi, 04/08/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Agosto 2009

Appare naturale parlare di ozio in prossimità delle vacanze estive, momento in cui tutti i tempi scanditi dal lavoro dovrebbero rallentare. È forse per questa ragione che il 54% delle risposte condividono che esso sia “un valore e un piacere da ricercare, significa avere il tempo per riposare, per divertirsi, per condividere”. Il dolce far niente piace perché “mi fa ricaricare, mi fa pensare, dà senso alla dimensione spirituale ed è contrappunto e contrafforte dell'azione”; del resto è “bello rilassarsi e magari godere del dolce far niente. Se la gente fosse meno stressata staremmo tutti un po’ meglio”. I vantaggi appaiono molteplici: “posso annullare tutto il resto e pensare a me stessa”,

“mi consente di gestire il tempo come voglio io”, “aiuta a ritrovarsi, a ritrovare il piacere delle relazioni”. In tutte queste definizioni l’ozio diviene uno spazio dove “incontrarsi senza l'alibi di dover essere altrove” o più poeticamente per “pensare, riflettere, ascoltare il silenzio”.

Tra i doveri e gli impegni ben poco tempo rimane libero per sé, c’è chi afferma che questo tempo occorrerebbe “trovarlo, disperatamente volerlo” anche “avendo il coraggio di dire dei no” perché “non è questione di ritagliare, ma bisogna avere il coraggio di dichiarare le proprie reali priorità”. Ritrovare “il piacere di stare con noi stessi e con chi amiamo” appare come l’obiettivo verso il quale tendere e anche ridare valore alle relazioni, il vero “sale della vita”.

Dal punto di vista semantico, il termine ozio (derivato dal latino "otium") indica un'occupazione principalmente votata alla speculazione intellettuale, attività di fatto riservata alle classi dominanti, ed è contrapposto al concetto di negotium, occuparsi (più per necessità che per scelta) dei propri affari. Per gli antichi romani il termine otium non significava “dolce far niente”, indicava un tempo libero da impegni nel quale era possibile aprirsi alla dimensione creativa.

Intorno a questo concetto molto è stato scritto, e non solo negli ultimi vent’anni: filosofi, sociologi, economisti ed esperti delle organizzazioni ci hanno regalato molte migliaia di pagine dalle quali emergono interessanti teorizzazioni concernenti la possibilità di poter ridurre i tempi di lavoro per lasciare spazio al più artistico “ozio creativo”. Tra questi c’è anche chi descrive dettagliatamente i principali errori dell’uomo nella società post-industriale, che ha costruito una società caratterizzata da: il cattivo impiego dei tempi e la cattiva distribuzione dei carichi di lavoro, la commistione di luoghi del tempo libero con quelli di lavoro, la sincronizzazione degli orari lavorativi e dei servizi, l’incremento delle ore perse nel traffico, la centralità del posto di lavoro e il mancato sviluppo del telelavoro, l’illusione che ci sarà un tempo futuro (la pensione) per godere di quanto oggi sacrifichiamo in nome della carriera, la convinzione che il lavoro sia il centro della vita, senza discussioni!

E al tempo della crisi, con la paura di perdere il lavoro che si ha – qualunque esso sia e a tutte le condizioni – la centralità del lavoro diventa ancora più importante. Serge Latouche, socio-economista francese che per molti decenni ha studiato i sistemi di sviluppo e della reciprocità nei paesi africani, nel suo “Breve trattato sulla decrescita serena” afferma che sia giunto il momento per sperimentare la rivoluzione pacifica della decrescita. Quanto propone implica un cambiamento di mentalità: non più una corsa allo sviluppo come fino ad oggi pensato, creatrice al contempo di inquinamento, malattie, spese per la salute e il depauperamento delle limitate risorse del pianeta. Ciò significa anche lavorare tutti ma lavorare meno, lasciando così ad ognuno la possibilità di vivere il tempo per sé.

E ogni volta che rievochiamo “il tempo per sé” dovremmo rammentare che, se l’evoluzione della società non sarà in grado di agire positivamente anche in termini di condivisione del lavoro di cura tra donne e uomini, allora continueremo a rilevare disparità tra l’ozio creativo di un genere e il lavoro riproduttivo dell’altro.

Nel rispondere al sondaggio, una giovane lettrice ci scrive: “per me che cerco lavoro (l’ozio) è pura utopia e come tutte le utopie ha una grande attrazione. Il mio ragazzo invece ci riesce benissimo, e principalmente mi ha affascinato proprio per questa sua misteriosa arte. Lasciandomi però col doppio del lavoro da fare”.



(4 agosto 2009)

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