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L’origine e la voce

L’origine e la voce

Poesia - Maria Grazia Calandrone. Versi che ricordano il primordio del linguaggio, con tensione lirica frastagliata, a tratti rocciosa

Benassi Luca Lunedi, 21/03/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2011

La storia del linguaggio e delle letterature ci insegna che il primo messaggio veicolato da una nuova lingua è in poesia e non in prosa. Il balbettio che mette insieme fonemi in forma di parole è subito verso, canto, preghiera; l’origine è già stupore per l’abisso dell’animo umano. Maria Grazia Calandrone, voce fra le più significative della poesia contemporanea, sembra mirare costantemente a questo primordio del linguaggio, quasi che l’incanto del suono della poesia possa avvicinare l’essere umano ad una condizione edenica, vicina a quella animale dalla quale proveniamo. Nei versi della Calandrone, capaci di dilatarsi e restringersi sulla pagina inseguendo ritmi e melodie ancestrali, vi è un’oscurità apparente che è invece bagliore e chiarezza di immagini, come un’amigdala di selce o una scheggia d’ossidiana; un “silenzio neolitico”, per citare un suo verso, che ci porta ad una funzione simbolica, prima che estetica, del fatto letterario. Scrive in proposito Gianmario Lucini: “Non è facile entrare nella poesia di Maria Grazia Calandrone. Lo si deve fare con accortezza, ascoltando e riascoltando, creando nessi fra grumi emotivi disseminati nel testo e intanto seguire quel filo lirico, che è insieme un filo logico, anche se di una logicità non certo filosofica.” Si tratta di versi che hanno una tensione lirica frastagliata, a tratti rocciosa, nonostante una rastrematura paziente fatta di silenzio, un continuo lavorio sul materiale sonoro del linguaggio. È possibile leggere tutto questo negli inediti di “La scimmia bianca dei miracoli”, gentilmente offerti dalla poetessa a Noidonne. Sono testi scritti per la lettura pubblica, fatta da due voci che si intersecano: una in italiano, l’altra che declama le parti in sardo logudorese e latino e che rappresenta la terra.

Maria Grazia Calandrone (Milano, 1964, vive a Roma): poetessa, performer, autrice e conduttrice per Radio 3, critica letteraria per “Poesia” e “il manifesto”. In poesia ha pubblicato: “Pietra di paragone” (1998), “La scimmia randagia” (2003), “Come per mezzo di una briglia ardente” (2005) “La macchina responsabile” (2007), “Sulla bocca di tutti” (2010) e “Atto di vita nascente” (2010); ha scritto testi teatrali ed è autrice e conduttrice di programmi culturali per Radio 3. Dal 2008 porta in scena in Italia e in Europa con il compositore Stefano Savi Scarponi il videoconcerto “Senza bagaglio”.



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Una fame di bestia.

Io bevevo l’amore come una che stia per morire e veda entrare dal chiaro della soglia quello che l’ha abbandonata tanti anni prima, sempre.

Antis, sempere.



Vede che quello s’inginocchia. Bìdet cuddu imbenujato

Vede che china la testa e le prende la mano e se la preme contro le sue labbra. Niente. Non dice niente. Lasciano a versarsi su fiùmene de lagrimas

tutta la loro inutile solitudine

di anni, sos annos

pustis sos annos et daboscas

le dice sottovoce solo podes andare.

Così si può morire. È così che si riesce.



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Io vivevo l’amore come un perdono che la terra implorava da me per avere sepolto una volta tutto quello che amavo.

Aspettavo giustizia. Ispectàbo justitia.

Mi sono fatta amare senza riconoscenza, io sono andata in sposa come una colpevole. Sa isposa inculpada. Per la sua spaventosa gioia di vivere.

Sposa incresciosa.

Ora io sto nella mia ombra. In varie gradazioni. Sposa introversa.



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La materia sa dove deve andare, nel più bianco silenzio vuole vivere. Tutto vuole soltanto ottusamente vivere. Tutto il volere. Tòttu su chèrrere.

Fin che nemmeno vuole, solu manet sub lege, solo rimane, sotto la legge emanata prima che noi fossimo emanati. Vivere.

Vedo la vita nel suo nucleo radioso ovvero tutto il non chiedere e l’assoluta

non volontà, la materia che dice solo io vivo.

Sas cosas narrent solu eo bivo.



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Guardo e basta, e provo la curiosità elementare di un primate per la creatura nuda: il corpo piccolo esposto, così debole che potrei divorarlo

qui soe devorare ipsu.

Non è uno stato di felicità, è uno stato di contatto.

Non est istadu de felitzidàde est istadu de toccamèntu. Materia con materia. Cosa cum cosa.

I nostri corpi emettono la gioia.

I corpi irradiano la loro gioia contro il mio viso. Specialmente i bambini.

Ascoltano meu sì, su sighi meu. Il mio consenso al fondo del mio male. Radiazioni.

I nostri corpi emanano la loro rinuncia. La fine della volontà. Sa fine de su cherrere.

La volontà li ammala. Specialmente i bambini. Questi bambini

dopo di me hanno la perfectura di un oggetto. Perché i bambini vedono.

Questi bambini hanno visto nei miei occhi l’ottusità del nulla, la perfetta inerzia di una cosa. Hanno visto

che al fondo del mio urlo di dolore c’è il neutro del muso di una bestia. Niente. Cioè l’incorruttibile.

Neutru murru de bestia. Nudda. Ciò est su incorruptìbile.





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