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L'India del caos e del mistero

L'India del caos e del mistero

Torino - Fino all'otto ottobre una mostra originale e accattivante svela aspetti sconosciuti del caleidoscopio umano e culturale rappresentato dall'immenso subcontinente indiano

Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2006

Da un intreccio di tradizioni eterogenee e una spinta inarrestabile verso la modernità e la globalizzazione nasce l’espressione artistica contemporanea dell’India, che una mostra collettiva dal fascino prorompente mette in luce a Torino nelle sale della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Questo pianeta sconosciuto si svela per la prima volta in Italia e in Europa in un bel museo (se così si può chiamare una realtà vivace e attualissima) che grazie alla tenacia e alla passione di una giovane signora appassionata di cose d’arte, Patrizia Sandretto, ha raggiunto una notorietà internazionale. Lo sguardo della Fondazione, che con intuizione acuta si immerge nel presente con l’intuizione del futuro, si è spinto fino all’Asia, e proseguirà la sia indagine nei mesi a venire, scrutando Cina Giappone e Corea, sempre soffermandosi non solo sull’arte, ma sull’identità di ogni individuo “disperso nel mondo per casualità storiche di un destino non scritto”. Intanto, posandosi sull’India, ha aperto un’ampia prospettiva, una visione piena di vita, di calore e di colore inattesa, sciolta da quella immobile che l’arte tradizionale ha tramandato nella nostra immaginazione. Un catalogo ricco di interviste e di immagini e una generosa profusione di interessanti schede illustrative accompagnano il visitatore che ha il privilegio di vivere la singolare esperienza che i curatori Ilaria Bonacossa e Francesco Manacorda hanno intitolato 'Subcontingente'. Titolo bizzarro e un po’ contorto, che vuole significare contesti e contrasti di un’entità geografica sociale e politica messa a confronto con la realtà occidentale e intende suggerire l’intreccio fitto di circostanze che mescolano le innumerevoli identità del subcontinente indiano (27 lingue nazionali e più di 200 non ufficiali). Il panorama creativo così variegato è rappresentato nella rassegna da artisti provenienti da paesi molto diversi fra loro: Bangladesh, Bhutan, Nepal, Pakistan, Sri Lanka, Myanmar/Birmania, Maldive e include anche produzioni appartenenti ad altre etnie in qualche modo correlate. Sotto l’insegna esplicativa 'Il Subcontinente indiano nell’arte contemporanea' si osservano le espressioni più disparati: video, installazioni, pittura, scultura e numerose belle fotografie d’epoca e attuali: Nel paesaggio composto da ventisette artisti, molto sfaccettato, ricco di richiami, di rimandi, di sollecitazioni, di provocazioni, l’apporto femminile è considerevole. E questa presenza che non sorprende in un Paese in piena evoluzione.
Salta subito all’occhio l’installazione di Shila Gupta, che in uno stanzino dalle pareti rosse ha collocato in bell’ordine file di piccole bottiglie di vetro. Sull’etichetta figura in tutte le lingue possibili una parola: “Blame”, colpa. Il contenuto, un liquido rosso, simile al sangue, forse è il simbolo di uno stato inconscio di malessere autopunitivo o una risposta alla mortificazione femminile in un paese che la pratica ancora. Certo è che quel piccolo, soffocante recinto dà un brivido. E lo danno anche le atmosfere arcane e stillanti sensualità di Chitra Ganesh, nata e vissuta a New York, autrice di fumetti sinuosi e di disegni audaci tinti di surreale e morbida ferocia, intrisi dei segni antropologici e dei miti della sua terra d’origine. Meno sogni traccia la pakistana Alia Hasan-Khan, che ha specchiato realtà amare in modo franco e diretto, come dimostrano le crude foto di immigrati arrestati nei vari paesi. Temi sociali e politici anche con un’artista che vive e lavora a Lahore, Huma Mulji, la quale affronta il tema di cosa significhi essere pakistano e musulmana oggi, in un clima di sospetti che incalza, assedia, intossica e umilia. Esponendo 'Da quale paese viene, signora?', una valigetta contenente una doccia musulmana, utilizzata nel suo paese dopo la sosta alle toilette, mette in ridicolo, con rabbia velata di ironia, ossessioni e classificazioni.
Ma citare pochi esempi è un’assurdità. È troppo denso l’itinerario in questo immenso percorso culturale, radioso e sfaccettato, crepuscolare e umoristico, sognante e concreto, che parla di un’India emergente dal sottosviluppo (N.d.r. Gli artisti che espongono sono: Bani Abidi, Sarnath Banerjee, Enrico David, Chitra Ganesh, Shilpa Gupta, Alia Hasan-Khan, Runa Islam, Tushar Joag, Amar Kanwar, Sonia Khurana, Huma Mulji, The Otolith Group (Kodwo Eshun, Anjalika Sagar e Richard Couzins), Ashim Purkayastha, Raqs Media Collective (Shuddhabrata Sengupta, Monica Narula e Jeebesh Bagchi), Sharmila Samant, Tejal Shah & Varsha Nair, Kiran Subbaiah, L.N. Tallur, Dayanita Singh e taxi_onomy (Celine Condorelli e Beatrice Gibson). Non c’è un tema unificante, un filo teorico e ideologico: ci si deve dunque abbandonare alle immagini che si parano davanti agli occhi e vagare per scrutarle nella loro varietà e nelle infinite differenze. E se capiterà l’occasione di imbattersi in una rassegna cinematografica rara e fantastica come 'Off Bollywood - Il cinema indiano d’oggi', che il Museo del Cinema ha affiancato all’eccezionale mostra, si completerà perfettamente la mappa di un universo di cui si conosce ancora troppo poco.

(30 settembre 2006)

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