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Lampi e flash sul decennio lungo

Lampi e flash sul decennio lungo

Anni Settanta - Ispirata alla logica del riesaminare quegli anni come costruzione di una estetica e di una aspettativa del vivere secondo i canoni di allora, la mostra ha l’obiettivo di far riemergere i conflitti e le angosce. Oltre alle utopie

Ciani Rossella Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2008

Termina il 30 marzo la mostra dedicata agli anni Settanta, “Annisettanta, il decennio lungo del secolo breve”, è tutta da vedere. Tante le emozioni, che suscita il percorso, soprattutto per chi, come chi scrive, quegli anni furono il periodo della crescita personale nella politica e l’avvicinarsi al mondo degli adulti con entusiasmo e desiderio di partecipazione. L’arrivo alla Triennale di Milano – splendida costruzione a lato di parco Sempione – vale già il viaggio. Si viene accolti da una sala bar con le pareti di vetro che guardano sul parco e ci si accorge che tutte, ma proprio tutte, le sedie del bar hanno appeso un cartellino con il nome del designer e l’anno di progettazione. Sono perciò una diversa dall’altra, e c’è pure la sedia – comodissima – fatta in cartone ondulato, su cui tutti provano a sedersi, lasciandosi cadere, per sfidarne la solidità. Tranquilli, tiene!
All’entrata della mostra la sfida continua: una fila di poltrone, fatte di tessuto bianco di nailon usato in l’agricoltura e imbottite di plastica a bolle d’aria, accolgono i visitatori per guardare i primi video appesi alle pareti. Per chi ha vissuto i comizi e i cortei di rabbia e rivolta di quegli anni quei video sono un riaffiorare di cose che sono state rimosse in modo collettivo attraverso la loro condanna.
Non è emotivamente semplice rivedere e pensare a se stessi in quel periodo, ma la costruzione delle immagini fatte alternando un video in b/n (la politica ufficiale) ed un video a colori (la media borghesia che inizia il consumismo), fa sorgere spontanea una domanda: ma questa che mostra d’arte è?
Seguendo il percorso, ispirato alla logica del riesaminare quegli anni come costruzione di una estetica e di una aspettativa del vivere secondo i canoni di allora, l’obiettivo culturale ed estetico della mostra emerge lentamente. Si cammina tra i corridoi tutti bianchi, di un candore quasi asettico e si entra in sale oscure dove i flash psichedelici (come quelli degli anni ’70, che ci sembravano una avanguardia di un futuro infinito) sparano lampi di luce che illuminano per qualche secondo gli oggetti; ad esempio, citando a caso: un mangiadischi colorato e progettato da qualche sconosciuto designer (e noi ci sentivamo dei mentecatti se non lo possedevamo), illuminano l’orologio di plastica arancione che allora si usava per arredare in modo moderno la cucina oltre a delle scarpe ora improponibili ed altri oggetti ancora. Si può entrare anche nella ricostruzione della cella fedelmente riprodotta dell’appartamento-prigione dove fu tenuto prigioniero Aldo Moro. Quella cella, vista con trenta anni di lontananza, impregnati come siamo ora di cultura del riciclo e del riutilizzo – che li si è sempre fatti dai tempi di Adamo ed Eva, ma senza l’attuale enfasi culturale – fu ricavata da una scatola di legno per l’imballaggio dei container e sembra un capolavoro di arte minimalista.
Poi la mostra prosegue; si seguono i corridoi e gli oggetti esposti fino a che ci si trova immersi in un gioco colorato di neon con le marche che allora andavano in voga. Fiorucci? Chi lo ricorda più? Fruit of the Loom? Che marca è? Eppure tutti cercavamo di avere quelle t-shirt. La musica accompagna il camminare dentro la mostra , verso la fine le luci si fanno più intense e più confusive, fino a che ci si chiede e si deve chiedere: dove è l’uscita? Un addetto alla vigilanza sorride e mostra da dove si scappa via da quel decennio lungo, anzi lunghissimo, del secolo forse breve.
La rivisitazione artistico/emotiva/musicale/culturale di quegli anni – organizzata grazie all’ideazione e regia di Gianni Canova e con la messa in scena Mario Bellini - è terminata e bisogna complimentarsi con i curatori della mostra: sono riusciti a riprodurre non solo l’estetica degli oggetti di quel periodo, ma anche la vita che vi si conduceva con il conflitto tra chi aveva il denaro e chi cercava di averlo, ma soprattutto sono riusciti a riprodurre l’angoscia di quegli anni e la sbornia del crescendo consumistico, che allora ebbe inizio ed ancora ci avviluppa.
Informazioni tel. 02 724341


(12 marzo 2008)

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