Lunedi, 13/01/2020 - È ancora possibile dare sguardo e voce a chi muore sul lavoro?
Esiste libertà di parola e cittadinanza per chi denuncia gli oltre 1200 infortuni dall’esito mortale che ogni anno marcano di ignominia la filiera economica della nostra società. O non si rischia di essere esclusi come testimoni scomodi di una realtà che è nell’ordine delle cose e che si vuole muta, parte del sistema.
La riflessione fa da filo conduttore alla piéce teatrale scritta da Betta Cianchini: “L’Italia è una Repubblica affondata sul lavoro “3,5”, In scena in questi giorni al Fringe Festival Roma – La Pelanda, Macro Testaccio. Un testo di denuncia con l’obiettivo di disturbare la memoria corta della politica.
Sullo sfondo le Tecniche di un potere mimetico che ha per obiettivo il guadagno e che relega lo scandalo delle morti bianche nei buoni propositi o in sporadici titoli sui media senza mai andare alla radice del problema. Tutto per non scardinare l’essenza stessa di quella che gli analisti chiamano modernità post capitalista.
Un sistema produttivo deformato nella sostanza e nei mezzi. Un’ottica neo-liberale che non vediamo più perché ne siamo parte e manchiamo di strumenti per opporci a chi continua a far profitto abbassando i salari. Risparmiando anche sulla sicurezza di chi lavora.
Ma in questa arena c’è qualcuno che non tace. Sono le madri che vogliono riprendersi la scena, e che entrano di prepotenza, nel fatto discorsivo. Che incitano a parlarne. Argomenti che escono dal grigiore della statistica per imporsi nel gesto artistico, capace di penetrare corpi e pensieri restituendoli alla vita.
Nato nel 1947 a Edinburgo, il Fringe Festival è diventato l’emblema dello spettacolo indipendente con circa 240 festival annuali in giro per il mondo. Londra, San Diego, Sidney, Amsterdam, New York. Una vetrina internazionale che ospita lavori in cui ciascuno crea un proprio spazio scenico, sia in teatro che in strada. Un evento per il pubblico romano, giunto alla ottava edizione, con la premiazione finale il 24 gennaio a Testaccio.
Ne parliamo con Marina Pennafina, protagonista, con Chiara Becchimanzi e Betta Cianchini dell’opera diretta da Alan Bianchi: L’Italia è una Repubblica affondata sul lavoro “3,5”.
Quanto è stata dura confrontarsi con un tema così doloroso e perché “3,5” ?
“3,5” è la media delle persone che muoiono ogni giorno sul posto di lavoro, è pazzesco se pensi che sono quasi 1300 le madri che rimangono senza figli. Un incubo. Quando ho letto queste cifre sono rimasta scioccata, tutto quel dolore, tutti quei morti ammazzati, e tutto quel silenzio, non mi sembrava possibile...
Dietro la scrittura del testo si percepisce un gran lavoro di ricerca...
Si, abbiamo lavorato intensamente e c’è stata subito una buona intesa con Betta e Chiara. Volevamo che si accendesse un riflettore forte sulle morti bianche, che sono donne e uomini non macchine ma persone, persone che muoiono di lavoro.
Dopo tanti ruoli televisivi in serie di successo è la seconda volta che ti confronti con la maternità, negata, strappata, penso Maternity Blues, il film del 2011 presentato a Venezia e pluripremiato…
È vero, il ruolo materno ricorre nella mia vita professionale. Anche se la cifra stilistica è diversa l’intensità è fortissima tornare al teatro e alla scrittura è stato un po’ come riprendere il filo di tante cose, pensieri, esperienze, vita ma soprattutto rompere il silenzio su un dramma che accomuna tante donne e tante famiglie. Troppe.
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