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L’isolamento di Helen

L’isolamento di Helen

Mondo/ Eritrea - Helen Berhane, cantante gospel, chiusa in un container da 20 mesi, è una delle tante vittime della repressione religiosa nel suo Paese

Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2005

“Non riceverai visite e rimarrai qui a marcire fino a quando non firmerai quel pezzo di carta”, questa è, secondo alcune fonti locali di Amnesty international, la minaccia di un comandante militare rivolta a Helen Berhane, cantante gospel della chiesa di Rema, una confessione non riconosciuta in Eritrea.
La giovane è detenuta in isolamento totale in un container metallico situato all’interno della base militare di Mai Serwa, dal 13 maggio 2004. È una delle numerose persone detenute in Eritrea per la loro appartenenza a una fede religiosa non riconosciuta.

Comitati segreti
Nel 2002 il governo aveva improvvisamente ordinato ai gruppi religiosi non registrati di chiudere i loro luoghi di culto e cessare la predicazione fino a quando non fossero stati riconosciuti. In seguito, sono state riconosciute solo quattro fedi: l’ortodossa, la cattolica, la luterana e l’islamica. Da allora, a nessun altro gruppo religioso è stata accordata la registrazione.
Negli ultimi tre anni, la stessa sorte di Helen Berhane è capitata ad almeno 26 pastori e sacerdoti, ed a 1750 membri di chiese evangeliche. Nell’ultimo decennio la persecuzione ha colpito anche i Testimoni di Geova: 22 di essi sono ancora in carcere.
Molti detenuti sono stati torturati e numerosi luoghi di culto sono stati chiusi dalle autorità. Il rapporto descrive i casi di fedeli di confessioni religiose non riconosciute condannati ad anni di carcere da comitati segreti per la sicurezza, senza alcuna difesa legale e senza possibilità di ricorso in appello.
I “dissidenti religiosi” sono sottoposti a un metodo di tortura chiamato “l’elicottero”: vengono legati mani e piedi dietro la schiena e tenuti in questa posizione per ore. Molti prigionieri sono in pessime condizioni di salute e non ricevono cure mediche adeguate.

L’inasprimento nel 2005
Il rapporto di Amnesty International denuncia che, nel corso del 2005, il governo ha ulteriormente inasprito la repressione nei confronti delle minoranze religiose. “Il giro di vite, lanciato senza alcuna spiegazione nel 2003, fa parte di un generale disprezzo per i diritti umani da parte del governo del presidente Isayas Afeworki in carica dal 1991, anno dell’indipendenza dell’Eritrea” è il commento l’organizzazione, che ha aggiunto: “Le procedure per la registrazione delle confessioni religiose in Eritrea devono essere riviste affinché non violino il diritto di ogni persona a praticare una fede religiosa. Il governo deve porre fine alla repressione violenta e rispettare il diritto internazionale”.

Il Paese più repressivo in Africa
L’Eritrea si è guadagnata la nomea di Paese più repressivo d’Africa non solo per la religione ma anche per la stampa.
Sulla questione eritrea è intervenuto anche il Comitato di Protezione dei Giornalisti (Cpj) che lotta a favore della libertà di stampa, denunciando il ritorno in carcere ad Asmara di Dawit Issak, 41 anni, un reporter che oltre ad avere il passaporto eritreo ha anche quello svedese.
Dawit, da quattro anni in carcere per aver pubblicato un articolo in cui chiedeva di ripristinare la libertà di espressione, era stato liberato inaspettatamente il 19 novembre. Da qualche giorno era stato ricacciato in galera. «Lanciamo un appello al governo eritreo perché lo rilasci immediatamente – ha detto Anne Cooper direttore esecutivo di CPJ – La sua detenzione serve a sottolineare ancora di più il cinismo con il quale il governo calpesta i diritti umani. L’Eritrea è il paese africano con più giornalisti in galera».

(10 dicembre 2005)


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