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L’ingordigia avida del cuore

L’ingordigia avida del cuore

Poesia / Dona Amati - Una vena lirica feconda e sincera ruota in una danza sfrenata attorno all’asse dell’essere donna, amante e madre capace di donare la vita

Benassi Luca Lunedi, 27/07/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2009

Ci sono scritture che sembrano nascere direttamente dalle ferite della carne viva, dal sangue, dalla pelle; paiono prendere il ritmo dal battere del cuore, dal respiro affannato dall’emozione, dal gusto metallico del dolore. Sono scritture che accorciano disperatamente la distanza fra letteratura e vita, si abbeverano all’istinto per donarci versi sinceri e palpitanti, testi nei quali più che altrove si percepiscono sapori, odori, improvvise lacerazioni. Dona Amati possiede una vena lirica feconda e sincera, capace di spaziare dalla sottile ironia dei versi in dialetto romanesco alla sensualità umorale e inquieta di quelli erotici. Si tratta di un’eroticità che pare riversarsi sulla carta direttamente dal corpo, dal calore nascosto della propria femminilità, dal sussurro, dal gemito; sono poesie nelle quali umori, odori, sapori si mischiano con il dolore dell’assenza, con la ferocia della passione che scuote e lascia stupefatte e prive di forze. Come una moderna baccante, la poetessa ruota in una danza sfrenata attorno all’asse dell’essere donna, amante e madre capace di donare la vita. Ogni sentimento, ogni pulsione, ogni scuotimento è vissuto fino alle sue estreme conseguenze, nella vita come nella poesia, penetra nel linguaggio rendendolo liquido, curvilineo come un corpo, sonoro come un gorgoglio di sorgente pronto a farsi torrente e poi cascata. Anche quando il verso si fa duro e il dolore colpisce come uno schiaffo, non manca mai il senso di una sonorità che regala a questi testi una musica dal ritmo circolare e ipnotizzante, ricca di assonanze e rime interne. Si tratta di una ricerca formale che spesso sfocia in endecasillabi e settenari, o nella forma chiusa del sonetto manovrato con perizia. Chi ha avuto l’occasione di ascoltare Dona Amati leggere in pubblico i suoi versi, ha sentito la forza di una poesia capace di evocare, stupire, emozionare, trovare la sua misura nel graffio e nel sussurro, nel silenzio della pausa, nel battere delle consonanti. Sono versi che danno il meglio nella vocalità della declamazione, trascinando chi ascolta in un mondo primordiale fatto di voce e danza, battito e suono, attraversando l’aria e facendola vibrare.

Ecco dunque una poesia coraggiosa e tesa, che non sconta nulla, da assaporare e ascoltare, sapendo che in essa palpita una vita, un inquieto cuore di donna.

Dona Amati è nata a Roma nel 1960 nel quartiere Testaccio, vive e lavora a Viterbo. Ha pubblicato “Il pomo e la mela” (insieme a Michele Caccamo Lietocolle 2006), “Emisferi – Al nudo delle voci” (insieme a Davide Pelizzari, Enrico Folci 2006 “Il dito del diavolo – Op. 71”, musicato da Marco Pietrzela (Ed. Musicali Berben 2007). È presente in numerose antologie tra le quali: “Ti bacio in bocca” (Lietocolle 2003), “Fotoscritture” (Lietocolle, 2003), “Versificando” (Perrone, 2004), “Navigando nelle parole” (il filo 2004) e “Scritture urbane” (Lietocolle 2007). È stata assistente del regista cinematografico Roberto Faenza. È attiva, oltre che come poetessa, come lettrice di testi in reading e presentazioni di libri, moderatrice in rassegne poetiche.









Ti chiedo per me un momento

un frutto del tempo che lussureggi

su una storia che mi

preme tempesta

soliloquio di incanti spontanei

un obelisco di sete

incuneato nel cuore e

nella valle avida

alla fine del ventre

- scioglimi gli occhi –







ti desidero la linea

l’eruzione della pelle

farti tramontare la lingua

all’orizzonte del seno.

Io zitta come

casualità bianca scogliera

che cerca spinge

carnalità messaggere

dell’incanto del mondo

- racconta l’amore, il tempo nuovo -







Quel modo che ho di toglierti dalla mente

Strappare pian piano la carne

L’ingordigia del cuore

La memoria ambigua dell’ombra.

E uccidermi l’acqua sterile alla fontana

La vena a questo punto muta

L’essere ingrato del sentimento.

Io, quale modo ho?







Oh, Dido, pallore d’angustia



Potessi somigliarti, Dido,

nuda d’amore sulla riva d’Africa, bianco

esempio di sabbia dilatarsi fuoco, dolce

trasparire esangue alle lingue d’acqua.



T’invidio il ristorare di Cartago in pianto,

la pira amara e “l’amoroso strale” che

Enea lascia effigie abdicata al cuore

Giove ti nega l’alcova eletta.



Conosci la vela bianca che s’allontana,

la coda dell’onda che chiude dietro.

La scia a ritroso della chiglia sul mare

potesse abbracciarti come un ritorno lento.







Di ex bacio, il mattino d'autunno



Stamani è il soffio che recita con me

nell’accorgersi che qualcosa è

da tenere stretto.

Perché le luci del mattino più rosse

non claudicano alle solite insofferenze

e ingoiano un altro saluto a

fingere ancora che

l’eco del selciato sia spazio dei tuoi passi.

Si muovono queste foglie sul chiaro dei tuoi occhi?

Si muovono perbene sull’orecchiabilità del vento.

Chissà se l’autunno di un bacio

intristisce anche dell’alba il sottofondo

quello che fa di tutto,

già orfano di verde.



(27 luglio 2009)

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