Cultura/ Mirra Alfassa - “Sbarazzarsi di tante e tante cose” è il segreto per cambiare il mondo di Mirra Alfassa, una pensatrice sottile, edificatrice di città
Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2005
Mirra Alfassa (Parigi, 1878, Pondicherry 1973) fondatrice della città di Auroville, nel sud dell’India, ha vissuto la sua lunga vita per metà da “artista” ambiziosa, nella sua estrema “volontà di perfezione”, tra la natia Francia e il resto del mondo, e per metà in India da “materialista dello spirito”, con l’ambizione di cambiare il mondo, a partire dalla propria crescita spirituale. Ma non soltanto: “Un’illuminazione interiore, che non tenga conto del corpo e della vita esteriore non è di grande utilità: lascia infatti il mondo così com’è”. Mirra Alfassa, detta Mère, non è stata solo una sottile pensatrice, né solo mistica e yogi, né solo un’utopista, edificatrice di città; e neanche solo uno strumento vivente per l’evoluzione della specie, come lei stessa amava considerarsi.
Difficile definire una donna così ambiziosa e al tempo stesso libera dalla propria ambizione, una donna che non ha sentito il bisogno di alcuna identificazione, non ha avuto paura di toccare estremi opposti per dissociarsene: né bene né male, né giusto né sbagliato, solo essere, con la gioia di essere: “Essere capaci di capire l’estremo spirituale, l’estremo materiale e trovare il punto di congiunzione là dove ciò diventa una vera forza”.
Difficile definire una donna così instancabile nella ricerca del “vero reale”, che non corrispondesse alle tante ingannevoli “verità” di cui sovrabbonda il mondo: “niente di più pericoloso di una verità presa in trappola; quando una verità viene presa, è già quasi una menzogna ...Quando una cosa è vera, potete star certi che è vero anche il suo contrario. E quando lo avrete capito, allora comincerete a capire”. Capire come? Capire cosa? “Se soltanto capissimo”, ripeteva spesso Mère, ci fa sapere Satprem, suo confidente e testimone, curatore dei tredici volumi dell’Agenda de Mere, in cui vengono raccolte conversazioni, lettere, lezioni, pagine di diario e messaggi mistici di questa donna straordinaria, che non ha disdegnato di sottoporre il proprio corpo sia per capire sia per trovare uno strumento di trasformazione di se stessa, e, quindi, del mondo: “Sembra che non si possa capire davvero altro che quando si capisce col proprio corpo”.
“Cambia te stesso, se vuoi cambiare il mondo. Le condizioni in cui vivono gli uomini sulla terra sono il risultato del loro stato di coscienza. Voler cambiare le condizioni senza cambiare la coscienza è una vana chimera”.
Per capire la filosofia, pratica e mistica al tempo stesso, di Mirra Alfassa può aiutare partire da due sostanziali componenti di essa: la pratica della esperienza corporea; e l’estrema libertà di ricerca. Una ricerca rivolta non a qualcosa cui aggrapparsi per vivere comodamente il resto della propria vita, bensì un continuare a cercare, e, andando cercando, trasformare, trasmutare, sulla scia di quanto già affermato da Sri Aurobindo, compagno di vita di Mère dal 1920 fino alla morte di lui, nel 1950: “Essendo divenuti spiritualmente capaci di una libertà che abbraccia la vita senza bisogno di ritrarsene per esistere, possiamo, liberi dalla servitù e immersi nella vastità, liberi dall’egoismo e dalle reazioni personali, sia della mente che del corpo, divenire il canale di un’azione che irradia liberamente sul mondo”. (1)
La ricerca e la pratica di Mère sono state rivolte a comprendere, a vedere, - “tutto è strada, ma bisogna saper vedere”- il “canale d’azione”, il “meccanismo” adeguato a migliorare la vita, non costruendo ricette, mediche o morali, ma trovando, ognuno a suo modo, interesse per il mondo: “Gli uomini non possono vivere senza ridurre le cose a un sistema mentale; ma dal momento che si costruisce un meccanismo, è finita. Questo meccanismo deve andare bene per chi l’ha trovato; ma si tratta del suo PARTICOLARE meccanismo. E non può andare bene che per lui. Quanto a me, io preferisco non averne nessuno!”
Così, con nessun meccanismo, con qualsiasi strada, Mira Alfassa, - parigina di nascita, due matrimoni alle spalle, un figlio ormai ventenne, avuto dal primo marito, il pittore Henry Morrisset, allievo di Moreau, da cui divorzia nel 1908 per sposare il filosofo Paul Richard, con il quale nel 1914 si reca in India dove conosce Sri Aurobindo, con cui inizia da subito una profonda intesa spirituale - dal 1920 sceglie di fermarsi in India, e per sempre: per continuare a viaggiare, non più in giro per il mondo ma verso l’interno, per conoscere e trasformare il corpo all’interno di se stesso, abbandonando definitivamente la filosofia fondata unicamente sulle capacità dell’intelletto: “La civiltà che sta ora finendo in modo tanto drammatico era fondata sul potere della mente, su una manipolazione della vita e della materia... La strada della sovraumanità si aprirà all’uomo quando esso dichiarerà coraggiosamente che tutto quanto ha costruito finora, compreso l’intelletto di cui è tanto fiero a giusto titolo, e così vanamente, non gli basta più, e che la sua preoccupazione è ormai quella di affrancare, di scoprire, di liberare un potere più grande all’interno di se stesso”.
Dall’incontro con la persona, e con la pratica dello yoga integrale, di Sri Aurobindo l’ambizione di Mira Alfassa, ormai divenuta per tutti La Mère o anche The Mother, diventa quella di cambiare il mondo, di partecipare all’imminente evento futuro della trasformazione della specie. E se, perchè questo possa verificarsi, il primo imprescindibile passo è cambiare se stessi, il secondo è quello di rivolgersi agli altri, formare gruppi di cambiamento: “Le circostanze sono state tali che non c’era scelta, vale a dire il gruppo si è formato in modo talmente naturale, spontaneo, da essere una necessità imperiosa. E allora, una volta partiti così, è fatta, bisogna andare fino in fondo”.
Nasce così, intorno agli anni Cinquanta, l’Ashram di Pondicherry, primo gradino verso la fondazione di Auroville, un luogo “dove ognuno potrà vivere in pace, senza conflitti e rivalità tra nazioni, religioni e ambizioni; dove niente e nessuno avrà il diritto di imporre la propria come esclusiva verità”. Prima della fondazione, avvenuta nel 1968, ci sono stati tanti piccoli “laboratori”: le varie attività, di tipo sia spirituale che pratico, sia fisiche che artigianali che pedagogiche, proposte alle migliaia di persone che confluivano nell’Ashram. A partire dal 1950, inoltre, ogni mercoledì Mère teneva delle lezioni rivolte a bambini e giovanissimi: “Insegnava loro l’Unità vera del mondo – non quella schiacciante e livellatrice di una ‘unione delle masse’, ma quella che abbraccia ed entra dentro e che rispetta l’infinita complessità degli elementi”, ci fa sapere Satprem.
Ciò che più Mere desiderava trasmettere era l’“atteggiamento diverso”, necessario per costruire il prossimo “stadio dell’umanità”: “la vera chiave di tutto il problema della trasformazione sta nell’atteggiamento giusto... fare la stessa cosa in un modo migliore”. Fare le cose in modo tale da partire dalla complessità data dalle condizioni del “laboratorio terrestre”, con tutte le sue contraddizioni, malattie anche molto gravi (come la guerra), inquinamenti di ogni genere; fare le cose in modo tale da cominciare a gettare un ponte verso il cambiamento. Scrive Satprem: “semplicemente un atteggiamento sincero grazie al quale, attraverso tutto quello che c’è, persino di più oscuro, di più ribelle, di più contraddittorio..., nonostante tutto e contro tutto esiste quel ‘qualcosa’ dentro che ci mantiene nella rotta evolutiva: è là che vado, è quello che voglio. Allora ogni contraddizione diventa una forza di più”.
Per Mère, il modo migliore per fare la stessa cosa non consiste nel non sbagliarsi mai, non è fatto di un’unica strada ma di infiniti possibili percorsi che solo all’inizio si assomigliano l’un l’altro: “Viene un momento in cui la vita qual è, in cui la coscienza umana qual è sembrano assolutamente impossibili da sopportare e allora... Non c’è che da buttar via tutto quello che si ha – tutti i propri sforzi e tutta la propria forza, tutta la propria vita, tutto il proprio essere – ... vale la pena buttar via molti bagagli, sbarazzarsi di tante e tante cose per potere compiere il salto là”.
E perchè allora edificare una città come Auroville? Forse per avere uno spazio, abbastanza ampio (una città in espansione!) e abbastanza contenuto (il Matrimandir dedicato alla meditazione e allo yoga) dove potere lasciare andare, lasciare scorrere liberamente, tutto ciò di cui non è facile sbarazzarsi.
* Ricercatrice presso l’Università Roma Tre, si occupa di studi sulla pace e di genere, in particolare nella prospettiva pedagogica
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