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L’Europa precaria

L’Europa precaria

Lavorare per 5 euro l’ora - Disuguaglianze di genere nei Paesi dell’Unione europea. Dati da una ricerca

Rossilli Mariagrazia Lunedi, 06/02/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2012

Nei rapporti di lavoro cosiddetti atipici usualmente si includono forme contrattuali che presentano una o più delle seguenti caratteristiche: lavoro a tempo parziale di 20 ore o meno a settimana, lavoro a tempo determinato, lavoro occasionale, lavoro interinale, lavoro a domicilio e telelavoro, lavoro a chiamata, contratti di collaborazione. L’European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions di Dublino, basandosi sull’entità della divergenza dai contratti standard, fa riferimento anche ad una categoria di lavori “molto atipici” in cui include: lavoratori che non hanno contratto di lavoro, lavoratori con un orario settimanale inferiore a 10 ore, lavoratori che hanno un contratto di lavoro temporaneo di durata uguale o inferiore a 6 mesi. I lavori molto atipici si confondono con l’area del lavoro sommerso, ma non ci sono analisi a livello UE dei rapporti tra queste aree.

Diversi livelli di precarietà conseguono dalla presenza o combinazione di alcuni dei seguenti aspetti: - poca o nessuna sicurezza del lavoro dovuta al carattere non-a tempo indeterminato; - basso livello di tutela o addirittura assenza di protezione sociale contro la disoccupazione e altri rischi; - basso livello di protezione contro le discriminazioni; - basso livello di controllo sull’attività lavorativa (condizioni, orario di lavoro); - livello di retribuzione basso e/o non formalmente definito.

L’aumento dei contratti non standard negli ultimi 20 anni ha una forte dimensione generazionale e di genere, dato che i giovani, i lavoratori anziani e le donne sono rappresentati in modo sproporzionato nell'occupazione atipica in tutti i paesi dell’UE.

Già prima dell’attuale crisi economica i giovani tra 15 e 29 anni erano sovrarappresentati in lavori atipici. Se la percentuale di ragazze e ragazzi (tra 15 e 29 anni) nei lavori atipici sembrerebbe più o meno simile, nell’UE27 il gap di genere si amplia molto nelle fasce di età più anziane, essendo le donne tra i 30-49 anni sovrarappresentate in occupazioni precarie nella misura di quattro punti percentuali e di tre punti percentuali per la fascia d’età al di sopra dei 50. Una percentuale alta di contratti molto atipici, oltre che nel settore a prevalenza maschile dell’edilizia, si trova concentrata soprattutto in settori altamente femminilizzati: dall’agricoltura (dove secondo Eurofound di Dublino, nel 2005 il 30% dei lavoratori agricoli sarebbe occupato in lavori molto atipici), alla grande distribuzione e il commercio al dettaglio, ai servizi domestici, agli hotels e ristoranti. Solo in alcuni casi si tratta di lavori temporanei connessi alla natura stagionale del settore, come negli hotels e ristoranti e nell’agricoltura - tutti settori che hanno anche la più alta concentrazione di lavoratori senza contratto.

Nell’UE27 il part-time rappresenta il 18.2% dell’occupazione nel secondo quarto del 2009.

A fronte dell’8.3 % di uomini part-timer, il 31.5 % delle lavoratrici nell’UE lavora part-time.

Esempi di lavori part-time sono i cosiddetti mini-jobs e midi-jobs in Germania in cui il salario non supera i 400 euro al mese (mini-jobs) o è tra 400 e 800 euro (midi-jobs). Nella primavera del 2009 il totale dei mini-jobbers, aumentati in seguito alla crisi, raggiunge il 17% dell’occupazione totale, cioè circa 6,8 milioni di lavoratori sono registrati come mini-jobbers di cui 2/3 sono donne. Dal momento che l’orario di lavoro non è più regolato in questi lavori, si può dare che i mini-jobbers lavorino un numero relativamente alto di ore con salario orario bassissimo. Dal momento che i mini-jobs sono stati in parte esclusi dalla norme di sicurezza sociale, lo status delle persone è precario, anche se alcuni di loro sono coperti da altri schemi di sicurezza sociale, in quanto mogli, studenti o pensionati.

In un’indagine sul part-time in imprese di 21 paesi europei appare che ci sia una relazione negativa con le prospettive di carriera, più significativa nel settore privato che nel pubblico.

Il rapporto 2008 di Eurofound di Dublino su flessibilità e sicurezza nel corso della vita rivela che gli effetti di lunga durata del lavoro part-time sono considerevoli, anche se con differenze tra i paesi. I part-timer hanno minori probabilità di lavorare full time successivamente nel corso della loro carriera.Tra le lavoratrici con part-time molto corto solo il 17% dopo cinque anni lavora full-time e tanto più lungo è il periodo di lavoro part-time tanto inferiori sono poi le probabilità di trovare un lavoro full-time. In molti paesi il part-time molto corto, al di sotto di una certa soglia di ore settimanali, non dà accesso o dà accesso solo limitato alle prestazioni di sicurezza sociale. In alcuni paesi, però, come per esempio la Francia e l’Olanda, il part-time con orario molto corto è sostenuto con interventi di solidarietà, con contributi e prestazioni più che proporzionali.

Tra il 1990 e il 2005 gli impieghi temporanei, a tempo determinato e interinali, sono cresciuti in tutti i paesi UE e, nella stragrande maggioranza dei casi, piuttosto che risultato di una scelta, sono accettati come una necessità in mancanza di altri tipi di lavoro. Nel corso dell’attuale crisi economica e occupazionale sono invece diminuiti. Secondo i dati Eurostat nel secondo quarto 2007 nell’UE27, le occupazioni temporanee corrispondevano a una media del 14,5% degli occupati mentre nel secondo quarto del 2009 rappresentavano il 13.4%. Negli impieghi a tempo determinato e interinali sono sproporzionatamente sovrarappresentati i giovani.

Nel 2005 gli impieghi temporanei vedevano una percentuale molto simile tra donne e uomini (il 15% delle donne ed il 14% degli uomini) mentre nel secondo quarto del 2009 i dati dell’indagine sulla forza lavoro di Eurostat danno un divario di genere ampliato a livello UE con il 14.3% di lavoratrici e il 12.6% di lavoratori soprattutto per effetto della perdita di posti di lavoro di questo tipo nel settore a prevalenza maschile dell’edilizia. Nel 2009 infatti la percentuale di lavoratrici nei lavori temporanei è più alta di quella maschile in 19 paesi membri.

Una concentrazione particolarmente elevata di lavoratori senza contratto si riscontra nel lavoro domestico e di cura presso le famiglie che nel 2005 nell’UE è all’82% femminile. Stime relative ai lavori domestici e di cura nei paesi industrializzati ne valutano le percentuali tra il 5% e il 9% dell’occupazione totale. La grande parte del lavoro domestico ha luogo nell’economia informale: secondo le stime del rapporto della CES Out of the Shadow nel 2005 non è dichiarato circa il 70-80% dei lavoratori e lavoratrici di questo settore. Questo lavoro è per lo più precario, senza garanzie di diritti alle prestazioni di sicurezza sociale nemmeno in caso di maternità o disoccupazione e caratterizzato da condizioni di lavoro che possono essere non decenti, e persino abusive. Infatti le lavoratrici coinvolte appartengono di frequente alle categoria sociale più vulnerabile: quella delle immigrate extracomunitarie.

I contratti a tempo determinato e interinali sono regolati in modo diverso nei vari paesi membri, ma è comune che comportino effetti negativi rispetto alle prestazioni di sicurezza sociale, in particolare per quanto riguarda le indennità di disoccupazione.

Le lavoratrici con contratti temporanei sono esposte al rischio di esclusione dalla protezione contro i licenziamenti illegali anche durante la gravidanza e la maternità: la scadenza del termine di fatto erode o cancella il diritto fondamentale delle lavoratrici alla tutela della maternità facendo venir meno la tutela contro il licenziamento. Sotto questo profilo l’impatto negativo è forte e si somma al fatto che la misura delle indennità per congedi di maternità è a volte inferiore rispetto a quella delle lavoratrici standard.

Dati dell’OCSE indicano che i lavori temporanei sono associati con una penalizzazione salariale rispetto a quelli a tempo indeterminato. In Italia, ad esempio, le donne occupate con contratti di lavoro parasubordinato (collaborazioni, contratti a progetto) mostrano, secondo dati recenti dell’Inps, addirittura guadagni medi pari al 50% di quelli degli uomini.

La maggiore presenza di donne nei lavori precari è dunque un elemento di rilievo dell’ampio differenziale retributivo che si riscontra nell’UE.

Gli effetti dell’accumulo di svantaggi retributivi e previdenziali connessi ai lavori precari nel corso della vita diventano particolarmente visibili sui trattamenti pensionistici, tanto più nei sistemi pensionistici basati sul sistema contributivo.

La crisi economica esplosa al massimo della virulenza nel 2009 ha fatto emergere drammaticamente gli effetti della precarizzazione del lavoro.

La perdita di posti lavoro ha portato nel febbraio 2010 al 9,6% il tasso di disoccupazione dell'UE e quello giovanile al 21,4%, più del doppio di quello totale. tra il maggio 2008 e il settembre 2009, il tasso di disoccupazione nell'Unione è aumentato più sensibilmente per gli uomini (dal 6,4% al 9,3%) che per donne (dal 7,4% al 9%) in quanto i settori finanziario, dell’industria e delle costruzioni, a prevalenza di manodopera maschile, sono stati i primi e i più duramente colpiti. Successivamente, però, i tassi di disoccupazione femminile e maschile si sono mediamente assestati su un ritmo di crescita simile riflettendo l'allargamento della crisi ad altri comparti in cui la composizione degli occupati per sesso è più equilibrata e anche al settore femminilizzato dei servizi e del commercio. Comunque in tredici Stati membri, la disoccupazione è sempre rimasta più elevata fra le donne (in Grecia oggi è al 19,5% contro il 13,8% di disoccupazione maschile). La disoccupazione femminile risulta però sottostimata se non si tiene conto del fatto che durante la recessione è ulteriormente aumentata la sovrarappresentazione delle donne tra gli inattivi: rappresentano più dei due terzi dei 63 milioni di persone tra 25-64 anni che sono inattive nell'Unione europea. Così come è aumentata la loro sovrarappresentazione nel part-time involontario e tra i disoccupati part-timer, ossia tra i lavoratori a tempo parziale che vorrebbero aumentare il loro orario di lavoro ma non sono registrati come disoccupati.

La crisi ha evidenziato drammaticamente il problema dell’esclusione in molti paesi dei lavoratori non-standard dai sistemi di protezione sociale e in particolare dall’accesso ai sussidi di disoccupazione. Si è reagito alla crisi con la ulteriore diffusione di contratti atipici a scapito dei contratti di lavoro standard.

Il rischio che si sta profilando è quello paventato anche dal PE e dalla Commissione europea di una fuoriuscita dalla crisi attraverso la sostituzione dei contratti di lavoro standard con quelli atipici e precari. Sta emergendo che queste forme di flessibilità del lavoro più che funzionare come trampolino per un’occupazione stabile per gli outsider del mercato del lavoro rischiano di intrappolare nella precarietà, mentre aggravano la segmentazione dei mercati del lavoro, rendendo socialmente esplosiva la divisione e le disuguaglianze tra insider e ousider, attraversata come è dalle disuguaglianze di genere e generazionali. Più che una flessibilità “mite”, volta a favorire una maggiore occupazione di giovani, di anziani e delle donne, in alcune fasi della loro vita e per periodi determinati, e accompagnata da un adeguato sistema di protezione sociale, si sta profilando il rischio della “stabilizzazione della precarietà” con l’erosione per un numero crescente di giovani e donne delle tutele fondamentali del lavoro, anche di quelle considerate inalienabili come la tutela della maternità.

Si potrebbe dire che la crisi economica ha svelato alcune delle ambiguità connesse al modello di “flessibilità nella sicurezza”. Mentre la nozione di flexicurity prevederebbe un approccio integrato e olistico delle sue componenti, nei paesi UE l’implementazione è stata squilibrata - più flessibilità e meno sicurezza - e la crisi ha messo in luce che l’equilibrio tra flessibilità e sicurezza è molto difficilmente raggiungibile, specie in periodi di recessione intensa e prolungata.

La sostituzione dell’occupazione regolare con forme di lavoro precario oltre a creare nuove disuguaglianze di genere e fra le donne sta causando - specie in alcuni paesi come quelli mediterranei - crescenti difficoltà a progettare scelte di vita familiare, finanche scelte di maternità.

Anche il PE ha sottolineato che la flessibilità lavorativa raggiunge i propri limiti quando le possibilità di vita e di realizzazione delle persone si trovano ad essere ridotte in modo eccessivo, quando diventa difficile fondare una famiglia e provvedere al suo sostentamento.



* MARIAGRAZIA ROSSILLI, Ex docente a contratto Università di Parma. Docente nel Master in Pari opportunità dell’Università Roma Tre e nei Corsi DPI in varie Università

NOTA. L’articolo è estratto dalla relazione “Precarietà del lavoro delle donne e politiche dell’Unione Europea” presentata alla Conferenza Espanet “Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa” (ottobre 2011). In particolare si è estrapolato in sintesi il contenuto del secondo capitolo, riguardante le disuguaglianze di genere nei lavori atipici. Il testo integrale della ricerca è su www.noidonne.org/files/allegati/Lavoro_Donne_Europa_Rossilli.pdf



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Sondaggio fra le nostre lettrici


LAVORARE PER 5 Euro L'ORA (o per mille Euro al mese)...


• MAGARI          20%


• NON LO FAREI MAI     16%


• È LA MIA SITUAZIONE, MEGLIO CHE NIENTE 20%


• È LA MIA SITUAZIONE, SONO ARRABBIATA/O               44%


 Il 64% delle nostre lettrici dichiara di guadagnare circa 5 euro l’ora, o mille euro al mese. Quali sono le loro tecniche di sopravvivenza? “Evitare gli sprechi e spendere in ciò che è prioritario”, dice Susy. Mentre Roberta fa la spesa in tre posti diversi e si specializza in “acrobazie quotidiane”. E aggiunge: “Se potessi, emigrerei. Subito.” C’è chi si sente messa a dura prova e azzarda pronostici funesti, come Ines: “con il liberismo andremo a sbattere la faccia al muro... si finanziano le industrie degli armamenti, s'investe nella difesa, eh già.. nel futuro l'Italia dovrà affrontare la guerra ...si sa”. Non manca un sobrio e affaticato pragmatismo, ben sintetizzato da una anonima lettrice che ci scrive: “controllo tutto, penso prima di spendere anche un solo euro, mi stresso tanto”.



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SPORT E FITNESS: LA PARTITA È… IVA


 “Sono una mamma di due splendide bimbe e un’insegnante nell'ambito del fitness, ho 38 anni e lavoro in questo campo da 19 anni. Lavoro 28 ore a settimana. È una vita che ho la partita IVA, ma in tanti posti non mi chiamano a lavorare proprio per questo.”


A raccontarci la sua esperienza è Fiammetta Franco, istruttrice di ginnastiche musicali, aerobica e fitness. Fiammetta vive e lavora in Piemonte e ha iniziato a lavorare quando aveva vent'anni. All'epoca si guadagnavano circa diecimila lire all'ora, 5 euro di oggi. Adesso per chi insegna queste discipline le cose vanno un po' meglio. Ma se fai l'assistente di sala pesi o di body building le cifre sono ancora quelle.


Cosa significa lavorare con la partita IVA? Quali sono i limiti e i vantaggi e che tipo di tutele hai nel lavoro che svolgi?


Lavorare con partita IVA non ti dà molti vantaggi, anzi l’unico vantaggio che hai è che puoi gestirti il tempo in maniera un po’ più elastica; per tutto il resto solo svantaggi: per cominciare metà dello stipendio mensile va in tasse (IVA, INPS, ritenuta d’acconto); se stai male non vieni pagata; se sei in gravidanza è meglio che lavori fino alla fine e che riprendi il più presto possibile altrimenti perdi molti soldi; quando è nata la mia prima figlia sono stata a casa solo due mesi, e poi me la portavo dietro e la allattavo nelle pause; vacanze, permessi, mutua, tredicesime e quattordicesime, non esistono. Per tutelarti devi stipulare un’assicurazione personale che copra te e i tuoi allievi, ovviamente te la paghi autonomamente.


C'è da dire che in questo settore, come in tanti altri, c'è molto lavoro nero, nonostante la maggior parte delle palestre siano registrate come società sportive, quindi abbiano sgravi fiscali. Hai mai avuto un contratto "normale"?


No. Nel nostro campo nessuno ti assume con un contratto normale, anzi quasi sempre si lavora con contratti a chiamata. Ora con la nuova manovra ci sono delle agevolazioni per chi apre la partita IVA, ma soltanto se hai meno di 35 anni. Personalmente continuo a fare questo lavoro, perché mi piace molto e perché mio marito ha un lavoro con un contratto che mi permette di continuare in questo ambito.


Quali sono i tuoi desideri e i tuoi progetti per il futuro?


Per il futuro sto cercando di mettere dei soldi da parte e aprirmi una mia attività, anche perché l’età avanza e non potrò insegnare per sempre. Sinceramente in questo momento mi interessa di più pensare al futuro delle mie bimbe, sperando che almeno loro possano avere un lavoro normale. Oggi come oggi bisogna inventarsi un mestiere, se aspetti il posto fisso perdi non solo tempo, ma anche speranza. Nello sport secondo me essere donna è limitante: vedo tanti miei colleghi maschi che continuano a lavorare qualsiasi cosa accada. Prima di diventare mamma il mio lavoro rendeva tantissimo, ero sempre fuori, bastavano poche ore in una convention per chiudere due giornate con 300 mila lire in tasca. È vero che ti preparavi mesi prima e che dietro ci sono anni di esperienza, ma poi con le bimbe ho dovuto scegliere. E ho scelto di rinunciare a tante cose, non ultima l’indipendenza economica. Lo rifarei perché il tempo passato con le mie figlie non ha prezzo, ma tanti colleghi maschi questa scelta non la devono fare. (E.R.)



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