Rifugiati e minori - Le contraddizioni del Vecchio Continente, e dei vari paesi cattolici, che ha smarrito gli anticorpi della barbarie conquistati attraverso la Shoah e la liberazione dal nazifascismo
Stefania Friggeri Mercoledi, 01/06/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2016
Negli ultimi due anni in Europa si sono perse le tracce di diecimila minori (ma “Save the Children” calcola che il numero degli scomparsi sia il doppio) e si teme che abbiano fatto una brutta fine: gruppi criminali potrebbero averli rapiti e schiavizzati per sfruttarli nei modi più perversi e violenti, dalla prostituzione minorile al prelievo di organi. Sono tremende le sofferenze di questi minori dopo la separazione dalla propria famiglia nel paese di origine, o durante la pericolosa e caotica peregrinazione per raggiungere l’Europa. A volte però sono gli stessi ragazzini che fuggono di loro volontà dai centri di accoglienza a causa delle insopportabili lungaggini burocratiche e delle degradanti condizioni di vita.
La tratta di esseri umani, e in particolare la scomparsa di minori non accompagnati, è ormai uno dei business più redditizi per le organizzazioni criminali che, infatti, nel 2015 ha fruttato dai tre ai sei miliardi. Numerose ong impegnate in questo campo chiedono una normativa comune europea che, grazie alla condivisione di informazioni, permetterebbe di allargare a più paesi la ricerca dei minori scomparsi. E l’Europa? Ne discute ma non prende provvedimenti concreti. Anzi, la Camera dei Comuni inglese lo scorso mese di aprile ha rifiutato di accogliere tremila minori non accompagnati di origine siriana, molti dei quali a Calais o Idomeni, con la scusa che il gesto umanitario della Gran Bretagna avrebbe aumentato il numero dei richiedenti asilo oltre la Manica.
L’Europa, maestra di civiltà, dove le Costituzioni parlano di “liberté, égalité, fraternité”, nel corso del 2015 ha spento la speranza dei rifugiati che, nel perdurare del conflitto in Siria ed in Iraq, tentavano di raggiungerla attraverso la Grecia e la Serbia; infatti, dopo la reintroduzione dei controlli nello spazio di Schengen, l’asse stradale da Salonicco a Belgrado, percorsa da migliaia di disperati in fuga dalla guerra e dalla miseria, non può rappresentare più un corridoio della speranza. E alla chiusura delle frontiere, alle barriere di filo spinato e reti metalliche si aggiungono i maltrattamenti e i pestaggi della polizia che talora si appropria anche dei danari e dei telefonini, uno strumento indispensabile per rimanere in contatto coi familiari e con chi può fornire utili informazioni per proseguire. Gli abitanti di Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia, che piange e rimpiange papa Wojtyla, hanno restaurato le chiese in abbandono e ne hanno edificato di nuove, liberi di praticare quella fede religiosa cui i precedenti governi guardavano con sospetto.
Ma nell’Europa cristiana com’è vissuta, com’è interiorizzata la figura di Cristo di cui il Vangelo tramanda queste parole: “Ama il prossimo tuo come te stesso”? Se per i migranti il viaggio è una vera “via crucis”, una scommessa (quanti cadranno lungo il percorso? o saranno rimandati indietro?) come è possibile per un cristiano non impegnarsi per salvare quella vita che viene da Dio? quella vita che in alcuni stati viene difesa anche contro la volontà della madre cancellando le leggi che al tempo dei regimi atei avevano permesso di abortire? Come la grave crisi economica che si è abbattuta sull’Occidente dopo la Prima guerra mondiale ha formato l’humus in cui si sono sviluppate le dittature, così oggi l’indomabile crisi avviata nel 2008, cui si è aggiunto il fenomeno delle migrazioni, spinge gli europei, obnubilati dalla paura, a dare credito ai leader della destra xenofoba ed autoritaria?
Eppure dopo la Shoah, dopo la Resistenza, si sperava che l’Europa cristiana avesse acquisito gli anticorpi della barbarie, distinguendosi come un continente ricco di umanità, un esempio di costumi civili. A papa Francesco, il primo papa non europeo dopo secoli, viene rimproverato di occuparsi in primo luogo dei paesi extraeuropei: ed è vero che, rivisitando la dottrina sociale della Chiesa, Bergoglio raccomanda di impegnarsi nelle periferie del mondo, preoccupato non solo della vita eterna ma anche di quella terrena, affinché sia dignitosa. Ed infatti, recandosi a Lampedusa e a Lesbo, ha spinto i fedeli a solidarizzare coi migranti. Ma l’Europa non risponde alle sollecitazioni di papa Francesco, nemmeno la Polonia dove Radio Maria continua a diffondere una cultura antisemita e razzista secondo la tradizione secolare, codina e bacchettona, del papa-re che il Concilio Vaticano II ha cercato di smontare. Durante il papato di Giovanni Paolo II schiere di politici hanno tentato inutilmente con dotte argomentazioni di inserire l’espressione “Europa cristiana” nella Nuova Costituzione Europea, e la mancata citazione ha destato grande disappunto nella Chiesa gerarchica che, allontanando e censurando chi non rinuncia al dubbio e alla critica, era, ed è rimasta, chiusa in un’arrogante pretesa di perfezione.
Ma un’Europa cristiana dovrebbe essere un mondo che alimenta spiritualmente i fedeli e, dunque, giudica angusta e manchevole l’azione pastorale che si limita a promuovere il rispetto dell’ortodossia, la ritualità delle cerimonie, la venerazione dei santi che difendono il campanile o intervengono miracolosamente per risolvere i guai personali. Quando invece il Cristo, il Salvatore che secondo i Vangeli ha subito la crocifissione per amore dell’uomo, dovrebbe nutrire il cuore dei fedeli facendoli capaci di accettare qualche sacrificio per amore del prossimo. A cominciare dai bambini abbandonati.
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