Cultura/ Interrogando Shakespeare - Dalle quote rosa all’eroina del Re Lear, Cordelia, portatrice di una visione alternativa al patriarcato, che ancora oggi può essere di esempio
Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2005
La recente vicenda parlamentare italiana, della bocciatura dell’emendamento “quote rosa”, se da una parte conferma la presenza di importanti “strascichi” di una cultura patriarcale e maschilista, dall’altra pone a noi donne l’opportunità, come insegna Virginia Woolf, di continuare a pensare e a porci ancora domande.
Cordelia, nella scena iniziale di “Re Lear”, la prima volta che parla lo fa per porsi - “a parte”, “tra sé” - una domanda: “Che potrà fare Cordelia?” Mentre il padre sta suddividendo il regno tra le figlie, fermo nella sua logica di “realpolitik” secondo cui, come scrive il politologo Ekkehart Krippendorff nel suo Shakespeare politico, “il mondo è una carta astratta di carte geografiche su cui sono tracciati i potenziali economici e gli equilibri militari” (p. 275), Cordelia si pone da subito come figura appartenente ad un’altra logica, un’altra dimensione etica, rivelata dalle sue battute “tra sé”: “Amare e starsene zitta”. La sua persuasione etica, che non conosce “la lingua convenzionale degli interessi e dei calcoli del potere”(K., p. 276), la spinge all’intransigenza e al rigore della parola: “il mio amore ha più peso della mia lingua”. E, pur sapendo di rischiare la perdita di un regno, ovvero la possibilità di stare nei processi decisionali, si rifiuta di adulare il potere: come invece fanno le sorelle, ottenendo il regno.
Pur meno studiata, Cordelia, va recuperata tra le figure femminili (come Antigone) portatrici di etiche e politiche alternative alla cultura patriarcale dominante. Già Jane Addams l’aveva individuata come “cittadina del mondo” portatrice di “una nozione di giustizia così ampia” da farle accettare la “piccola conseguenza” della perdita di un regno. In un saggio del 1912 dal titolo “A modern Lear”, l’intellettuale americana fa una acuta analisi sulla necessità di relazioni umane maggiormente responsabili e reciproche, paragonando la figura di Lear a quella del capitalista filantropo, indignato per l’irriconoscenza degli operai, che si riuniscono in sindacati e reclamano i propri diritti a più salutari ed eque condizioni di lavoro. Per Addams, il fallimento dell’incontro tra interessi diversi non è dovuto solo al Re-Capitalista, incapace di vedere la reale condizione di vita e le effettive esigenze delle persone a cui crede di fare del bene; ma anche alla “ristretta concezione di emancipazione degli operai”, che nella tragedia di Lear vede rappresentati sia dalle due sorelle avide di potere che, pur di ottenerlo, si piegano all’adulazione per poi perseguire in una gestione arrogante dello Stato, sia da Cordelia, che sceglie un altro strumento politico, “avendo una visione della vita più ampia”. Il motivo del fallimento di Cordelia, a parere di Addams, sta nel peccare di auto-centrismo, nel dimenticare di includere, nella propria idea di salvezza, ogni singolo lavoratore, “dal primo all’ultimo”, ed anche... Lear stesso. La pensatrice nonviolenta constatando il fallimento politico e morale sia di Lear, sia delle due sorelle sia di Cordelia, auspica una visione del mondo più ampia e relazioni più attente/responsabili degli interessi di entrambe le parti: perchè in una concezione nonviolenta, di trasformazione della politica e di cambiamento sociale, non c’é solo un passaggio di potere da una classe all’altra, ma è il sistema che muta radicalmente, divenendo democratico ed etico.
Questa riflessione di Addams, esposta qui molto in sintesi, volendo provare a riportarla in domande, a proposito delle donne nei posti decisionali, potrebbe diventare così: “quote rosa, sì, ma per tutte le donne, dalla prima all’ultima?”. E poi: “che vanno a fare queste donne nei processi decisionali? “Si ricorderanno, una volta lì, di far qualcosa per cambiare le regole del gioco? O faranno solo gli interessi della propria classe (sia pure quella delle donne!) e propri?”
Per provare ad andare ancora più a fondo alla questione continuerei a interrogare Shakespeare, anche con l’aiuto dell’interpretazione di Krippendorff, al quale, pure, piace porsi domande: “La domanda che deve essere posta a Cordelia è la seguente: perchè alla decisione della spartizione non ha risposto come Lear si aspettava? Perchè rifiutandosi di partecipare al rituale di Stato, alle convenzioni d’amore da parte di una figlia, aveva consegnato suo padre all’arbitrio delle sue sorelle?”(p. 288).
La prima risposta che io, immedesimandomi in Cordelia, darei è qualcosa che Krippendorff sembra dimenticare, e cioè che Cordelia, così facendo, perde il regno, ma ottiene libertà. E il vantaggio arriva immediato: dandole la possibilità di sposarsi non per convenienza, ma per amore. Dopo di che Cordelia, affidandosi al “tempo”, che “prima copre i difetti, ma alla fine svergogna”, esce già dal primo atto, per ricomparire solo al quarto. Ma la sua scelta di intransigenza etica avrà un peso non indifferente su quello che è stato individuato come il tema centrale del “Re Lear”: la scoperta di sé.
Il processo di conoscenza, che Lear compie attraverso umiliazioni e follia, comprendendo “qualcosa su se stesso, sugli esseri umani, sul carattere (auto)distruttivo e patologico del potere e della sovranità” (K., pag. 273), risulta necessario a porre le basi per un cambiamento sostanziale di una società malata e accecata dalla brama di potere. Lear è costretto a comprendere, pur se tardi e sotto forma di metafora, ciò che prima non riusciva a vedere: in misura proporzionalmente inversa al graduale smantellamento del suo esercito, e in fine della sua regalità, “ridotto alla sua pura esistenza di essere umano..., poeta padrone della lingua” vede il mondo della realpolitik e della politica razionale in tutta la sua logica distruttiva. Il suo stesso modo di governare era stato letale: perchè basato sulla violenza (le forze armate) e perché noncurante del dialogo tra parti, degli effettivi bisogni dei cittadini, e perchè più attento ai rapporti di potere, che a quelli umani.
La trasformazione di Lear avviene prima di rincontrare Cordelia, che rappresenta, per lui, la possibilità concreta di potere ricominciare a vivere da essere umano integro e demaschilizzato, essendo stata “scossa la mia maschilità”(I, iv, 298). Cordelia rappresenta la possibilità di una politica trasformata in “attività umana” intesa ad “attuare ordinamenti duraturi e la realizzazione di principi morali” e “orientata alla schietta amicizia tra gli esseri umani, concepita come servizio, impegnata nell’amore” (K., p. 25). Tornata in patria, a difendere la giustizia, ecco come si esprime Cordelia: “Non è tronfia ambizione ad incitare le nostre armi, ma amore, amore e affetto, e il diritto del nostro vecchio padre”(IV, iv, 25). E poi ancora, incontrando Lear, maltrattato dalle sorelle: “il cane del mio nemico, pur avendomi morso, in una notte simile l’avrei tenuto accanto al mio focolare” (IV, iv, 36) In queste parole si rileva l’affermazione di un’etica fondata sull’amore, sul diritto e sul riconoscimento dell’altro, fosse pure il “nemico”, portatore di interessi diversi dai propri. E tale riconoscimento-amore, come già annunciato nel primo atto (“io non ho l’arte disinvolta e untuosa di dire senza intenzione di fare, perché quel che intendo lo faccio prima di dirlo”, I, i, 227), è molto lontano dalla consuetudine formale e vuota retorica di una politica più attenta al consenso che alla legittimità: è concreta pratica civile, che si attua in un atteggiamento di estrema coerenza dei propri presupposti politici, e che ne accetta le conseguenze.
Se la immediata conseguenza della intransigenza politica e morale è la perdita del regno, quella successiva è l’ottenimento di riconoscimento e potere morale, rappresentati dalla mirabile scena della richiesta di perdono di Lear, in ginocchio di fronte a Cordelia. Ma questa non è la scena finale della tragedia, in cui invece Cordelia muore, uccisa da un freddo esecutore, che ubbidisce ad ordini folli, pur di non “tirare la carretta e nutrirmi di baccelli secchi”(V, iii, 39).
Allora la domanda che l’accostamento, scusandoci per l’azzardo, tra questa tragedia e la discussione sulle “quote rosa” suscita è: “come fare a far sopravvivere un’etica di amore e riconoscimento dell’altro/a in un mondo in cui la povertà, ignoranza e disperazione dei molti viene sfruttata per sostenere e difendere (armando chi non è abituato a pensare) gli interessi dei pochi?” E ancora: “Ma, noi donne, vogliamo assomigliare più all’intransigente Cordelia, o alle sorelle lusingatrici?”
* Ricercatrice presso l’Università Roma Tre, si occupa di studi sulla pace e di genere, in particolare nella prospettiva pedagogica
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