... siamo chiamati, nell’affollato luogo non durevole e cangiante del tempo, ad essere capaci di stare dinanzi al tribunale delle stagioni ...
L’estate fredda, il racconto di Matilde Tortora
A volte penso che il tramutarsi del verde nel rosso che presto si fa giallo sia anche il desiderio a lungo covato di cangiarsi in altro da sé, oltre che il sottostare all’imperio del mutare delle stagioni.
Cominciamo ad avvertire folate di vento che sembrano lievi con punte già fredde, ma che non ci dispiace di sentire sulla pelle. E ci sono tuttavia ancora mattine di puro splendore e di caldo.
Riceviamo, se pure con qualche indugio, un invito ad accorgerci di inusitate parentele, affinché possiamo provvederci di un qualche più adatto vestiario:“La rosa non è più nella città. / L’acero indossa una sciarpa più gaia. / La campagna una gonna scarlatta, / Ed anch’io, per non essere antiquata, / mi metterò un gioiello.” - scrisse Emily Dickinson.
Ciascuno di noi, chiunque noi si sia, siamo chiamati, nell’affollato luogo non durevole e cangiante del tempo, ad essere capaci di stare dinanzi al tribunale delle stagioni, ascoltarne le istruttorie, in attesa che il vino novello sia pronto, che la nebbia inizi il suo racconto e che ci sospinga ad andare.
E rileggere versi, leggerne di nuovi, finanche avere desiderio noi pure di scriverne altri.
Ricordarsi, nel freddo che s’annuncia, d’essere stati bambini, di esserci prefigurati che avremmo percorso strade scorrevoli, di avere indossati abiti diversi: “Che dolcezza infantile nella mattinata tranquilla! / C’è il sole tra le foglie gialle /e i ragni tendono fra i rami/ le loro strade di seta.”- scrisse Federico Garcìa Lorca.
Una profluvie di poesie abbiamo a disposizione, non c’è grande poeta o scrittore che non abbia scritto di questa stagione in ogni lingua, in ogni tempo, in ogni paese del mondo.
Allora che i versi ci prendano lungo l’iniziato non sempre facile percorso! Il poeta Ezra Pound disse che i versi di Dante sono da considerarsi femminili nel loro “donneare” e noi tutti, non c’è chi ne possa dubitare, siamo in essi narrati: “Come d’autunno si levan le foglie / l’una appresso de l’altra”.
E ogni volta daccapo immedesimarsi: “Io credo che solo, che eterno / che per tutto nel mondo è novembre.” - scrisse Carducci e ogni anno noi avvertiamo il secco rumore della pinzatrice che taglia il biglietto che la sua donna in procinto di salire sul treno offre al controllore per poi allontanarsi e per sempre scomparire alla vista dell’uomo che l’ama.
Noi tutti sentiamo di essere l’amante triste e anche Lidia che s’allontana, il predellino e il finestrino del treno dove la pioggia ha scrosciato e continua a scrosciare, lo sguardo del poeta e ci stringiamo ancor più nel giaccone per ripararci, noi con indosso la nostra ereditata pungente “estate fredda” come Giovanni Pascoli ebbe a chiamarla in alcuni dei suoi noti bellissimi versi.
Immagine: Autumn di Virginia Mori, per gentile concessione dell'autrice, inedito, 2021
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